Bere Chateau Latour alla cieca e…

Complice il solito gruppo di amici bevitori – ehm volevo dire … degustatori – ho partecipato ad una bellissima degustazione alla cieca. Di seguito ti riporto le bottiglie bevute accompagnate dalle mie note scritte di getto e senza correzioni successive, magari in seguito all’aver scoperto l’etichetta del vino.chaussette-blind-test-rouge Ci sono molte conferme e qualche sorpresa.

Champagne Extra Brut L’Amateur – David Laclapart: bellissimo questo champagne da uve chardonnay. Al naso mela golden ed agrumi accompagnati da delicati fiori bianchi. Bocca con acidità ben presente, ficcante ma in filigrana nel corpo del vino, insomma integrata. Chiude di media lunghezza ma molto molto fine.

Greco di Tufo 2008 – Pietracupa: note cerealicole accompagnate da frutta gialla e una bellissima affumicatura. La mineralità scura si percepisce fin dal naso e si ritrova in bocca, dove acidità e polpa dialogano in un entusiasmante tiki taka. Il vino è all’apice, giustamente evoluto ma non ancora in fase calante, lo sviluppo in bocca è di grande personalità e il retrogusto affumicato in chiusura invoglia ad un nuovo sorso. Per quanto mi riguarda penso il miglior greco mai assaggiato!

Meursault 1er cru Les Genevrières 2008 – Antoine Jobard: Borgogna bianca riconoscibilissima, ma purtroppo è una di quelle versioni che non mi fanno impazzire. Le note preponderanti sono quelle derivanti dall’affinamento in legno piccolo: polvere da sparo, qualche nota lattica, poi arrivano gli agrumi che però non riescono a riequilibrare il quadro. E’ però la bocca che fa penalizzare il vino nel mio taccuino: dolce e acida insieme con un finale amaricante in cui esce fuori l’alcol. Per un vino che costa almeno 80 € a bottiglia ed in un’annata molto buona è lecito aspettarsi di più.

Meursault Tillets 2009 – Domaine Roulot: un “semplice” village in annata difficile annienta il vino precedente. Il gran manico di Jean Marc Roulot è qui in evidenza: mineralità chiara, polvere da sparo, un tocco di frutta secca e gli agrumi; nel cavo orale il vino è incredibile per finezza e fittezza, acidità e sapore. Continua a crescere nel bicchiere anche all’alzarsi della temperatura. Chiude lunghissimo.

Gevrey-Chambertin 1er cru Clos Saint-Jacques 2008 – Sylvie Esmonin: naso strano e piuttosto scuro di cola, medicinale, rosa canina e arancia. Bocca un po’  evoluta e diluita, chiusura sulle erbe amare.

Gevrey-Chambertin 1er cru Lavaut Saint-Jacques 2007 – Domaine Drouhin Laroze: parte un po’ sporco (pollaio, merde de poule), si pulisce parzialmente su note di bergamotto, arancia e china, la bocca è acida e però anche scomposta. Non lascia il segno. Squilibrato.

Brunello di Montalcino Riserva 2004 – Poggio di Sotto: violetta, scorza di agrumi, amarena, foglia di the, mineralità calda, bocca sferica e succosa, calda ma saporita e profonda. Potenza ed eleganza convivono in questo vino eccellente.

Barolo La Rocca e La Pira 2003 – Roagna: naso non così definito, tra le note di catrame ed i fiori macerati. Bocca calda e tannica ma poco equilibrata. Annata difficile ma da questo produttore era lecito attendersi una prestazione più convincente.

Rioja Viña Tondonia Gran Reserva 1994 – Bodegas López de Heredia: vino giustamente evoluto, fragole e fiori, sabbia, bocca calda e magra, ficcante con acidità spiccata (poco integrata dalla materia piuttosto esile). Ha il suo fascino comunque, soprattutto per una chiusura molto sapida.

Pauillac Premier Grand Cru Classé Chateau Latour 1994: frutto rosso, tabacco e vegetale nobile, bocca però un po’ debole e “passante” (soprattutto pensando al “grand vin”), c’è poi da dire che nel bicchiere migliora parecchio e gioca sull’eleganza e la precisione. Non un vino indimenticabile ma solo più che discreto, in un’annata comunque non facile.

IL PODIO

I migliori vini della giornata il Meursault di Roulot, Poggio di Sotto e il Greco di Pietracupa (con lo Champagne medaglia di legno).

4 pensieri su “Bere Chateau Latour alla cieca e…

  1. Il vero problema, caro anonimo degustatore, è che questi assaggi non aggiungono nulla a quello che (in parte) già si sa, è un ripetersi stanco di formule lette e rilette (e dette e ridette). Qui è vero non si assiste a nessuna “deriva olfattiva”, ormai dominante nell’enomondo (anche se quella “sabbia” grida vendetta…), ma in ogni caso è sempre più difficile evitare il manierismo. Solo un’ultima nota: sei mai entrato in un pollaio? Credimi, la puzza è terribile, toglie il fiato.

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  2. Mi piacerebbe, davvero, ma vorrei spingermi verso altri confini, trovare (insieme ad altri, of course) nuovi linguaggi, sperimentare qualcosa di nuovo. Ammetto che tutto è un po’ cambiato (e tutto mi appare vecchio purtroppo…) dopo aver letto il saggio del prof. Nicola Perullo “Epistenologia” (Mimesis Ed.) Una lettura che consiglio, non fosse altro che per guardare il mondo del vino da un’altra prospettiva.

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  3. Grazie della segnalazione del libro!
    Devo dire che, sulla necessità di trovare un nuovo modo / un nuovo linguaggio per parlare di vino, concordo con te. Però fino ad ora i tentativi fatti, la sinestesia, le metafore, i paragoni con musiche e film, etc. non hanno prodotto risultati soddisfacenti.
    Trasmettere e far capire ad un lettore un’esperienza complessa come quella della degustazione del vino è una sfida molto ardua.
    Ma io non mi arrendo e, consapevole di essere lontano dalla perfezione, ci provo cercando una mia strada affinando il linguaggio il più possibile e cercando di andare alla radice dell’esperienza. Ma non è certo facile, di Veronelli ne è nato solo uno…
    Non arrenderti neppure tu! 🙂

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