Grauburgunder: Ried Stradner Rosenberg 2021 di Frauwallner

Ried Stradner Rosenberg 2021

Oggi ospitiamo volentieri un post di un blog amico, NoTastingNotes. Con NoTastingNotes condividiamo un approccio appassionato, sincero e non marchettaro al mondo del vino. Questo è il primo post che nasce dalla collaborazione, altri ne seguiranno nei prossimi mesi, magari scritti a due mani. Buona lettura!

Il pinot grigio che in Italia non esiste

Parliamoci chiaro: in Italia, dire pinot grigio vuol dire evocare un bianco semplice, dritto, a tratti anonimo. Un vino spesso da mescita, da scaffale di supermercato. In Austria, o meglio in Stiria, tutto questo non esiste. Più precisamente: il grauburgunder (che è esattamente il pinot grigio, nome tedesco) è un’altra cosa. È un vino spesso ricco, di struttura, a volte persino opulento. Un vino che, nelle mani giuste, riesce ad essere complesso e longevo. E tra le mani migliori che potete trovare nella Stiria sud-orientale ci sono senza dubbio quelle di Frauwallner.

Chi è Frauwallner

La famiglia Frauwallner coltiva vigne da generazioni nel comune di Straden, nel cuore del Vulkanland Steiermark, una delle tre zone DOC della Stiria austriaca. Qui i terreni sono dominati da suoli vulcanici, spesso basalto, sabbie e tufi che danno ai vini una combinazione rara: volume e tensione, maturità e salinità. La filosofia di Frauwallner è semplice ma rigorosa: rispetto del terroir, vinificazioni pulite, espressione nitida delle singole vigne. E qui viene il bello: nel sistema di classificazione austriaco, alcune parcelle sono considerate superiori per costanza qualitativa. Sono le Erste STK Lagen, un po’ l’equivalente dei Premier Cru. Il vino di cui parliamo oggi proviene proprio da una di queste: Ried Stradner Rosenberg, una collina esposta a sud-est, posta a 475 metri sul livello del mare.

Ried Stradner
Rosenberg 2021

Cosa aspettarsi da un Grauburgunder stiriano

Prima di entrare nel calice, vale la pena dire cosa NON è questo vino. Non è un pinot grigio italiano. Non ha quella linearità acida, quella neutralità aromatica, quella leggerezza spesso fine a sé stessa. Qui siamo su un registro completamente diverso. Il Grauburgunder di Frauwallner è un bianco denso, vellutato, costruito con precisione e ambizione. È un vino che punta a occupare lo spazio della bocca e a restarci. Ma, cosa niente affatto scontata, riesce a farlo senza risultare stucchevole.

L’assaggio: una sinfonia che cambia tempo

Alla vista si presenta con un giallo paglierino scarico, quasi ingannevole nella sua semplicità. Al naso si apre con note di mela, mandarino, e una lieve riduzione che è diventata firma stilistica di tanti bianchi stiriani moderni.

L’ingresso in bocca è morbido, pieno, quasi burroso. Sembra un vino che voglia cullarti, più che stimolarti. Ma poi cambia tutto.

Un’esplosione acida, granulosa, che rompe la rotondità e introduce una nuova tensione. È questo il tratto distintivo del vino: la sua capacità di passare da un’estrema cremosità a una finezza sapida, senza mai perdere coerenza. Il finale è lungo, persistente, con ritorni di scorza di mandarino e sensazioni agrumate. Una chiusura che ribadisce il carattere del terroir.

A tavola: la prova con la schnitzel

Per l’abbinamento ho scelto una classica schnitzel, piatto iconico della tradizione austriaca. Il risultato? Interessante, ma sbilanciato: il vino ha troppa personalità, finisce per sovrastare la pietanza. È un bianco che non accompagna: guida.

Conclusioni

Il Ried Stradner Rosenberg 2021 di Frauwallner è un vino che dimostra quanto possa essere grande un pinot grigio quando nasce in un contesto serio e ambizioso. È un bianco voluminoso ma elegante, capace di evolversi nel bicchiere e nella mente di chi lo beve.

Frauwallner, ancora una volta, dimostra che in Stiria non si fanno semplicemente vini “diversi”, ma si costruiscono identità. E questa bottiglia è, oggi, una delle più riuscite incarnazioni di quella identità.

Se pensavate che il pinot grigio fosse un vino “minore”, questo è il vino che vi farà cambiare idea.

NoTastingNotes

Manifesto, l’orange da johanniter di Tenuta Cocci Grifoni

C’è un vino che non si limita a raccontare una storia: la incarna. Si chiama Manifesto, ed è l’ultima creazione delle Tenuta Cocci Grifoni, una famiglia che da 90 vendemmie, nelle Marche, non smette di sperimentare e innovare.

Oggi più che mai, il cambiamento climatico ci costringe a fare scelte coraggiose. E Marilena Cocci Grifoni, insieme alle figlie Marta e Camilla, ha deciso di puntare su qualcosa di attuale: i vitigni PIWI, varietà resistenti alle malattie fungine e al freddo, che permettono di ridurre drasticamente i trattamenti in vigna e l’impatto ambientale.

Tra queste la scelta è ricaduta sul johanniter, un’uva bianca nata in Germania nel 1968 dall’incrocio tra riesling e un ibrido chiamato Freiburg 589-54. Quando nel 2021 la Regione Marche ha autorizzato la coltivazione di alcune varietà PIWI, la cantina ha deciso di sostenere un agricoltore locale che già coltivava johanniter. Da lì è iniziato un percorso fatto di microvinificazioni, osservazioni sul campo e tanta curiosità.

Nel 2024, dopo due anni di prove, è arrivata la prima vera vendemmia: da quei grappoli è nato Manifesto, un vino che di grande personalità.

Manifesto

La buccia dell’uva, spessa e ricca di sostanze aromatiche, ha suggerito una vinificazione con macerazione sulle bucce, tecnica che ha dato vita a un orange wine moderno, vinificato in acciaio con le bucce a contatto con il mosto per un periodo di due settimane a temperatura controllata, segue una fase di affinamento sempre in acciaio per 5 mesi.

Il risultato? Un vino dal colore ambrato, con riflessi ramati, profumi intensi di sambuco, mandarino, mela, pera e un tocco speziato di zenzero e pepe bianco. Al palato, il sorso è teso, diretto e con una vibrante acidità sostenuta da una notevole parte sapida e un tannino levigato.

Il packaging è un altro punto forte: bottiglia in vetro riciclato al 100%, etichetta ridotta al minimo, tappo in plastica riciclata recuperata dagli oceani. Tutto parla di sostenibilità e attenzione al futuro.

E anche se la normativa italiana non permette ancora di inserire i PIWI nelle denominazioni di origine, Manifesto va avanti per la sua strada. Perché, come dice Camilla Cocci Grifoni, “è un progetto totale, una risposta concreta al cambiamento climatico”. Perfetto con piatti orientali, sushi, crudi di pesce o ricette speziate, Manifesto è un vino che invita a superare i pregiudizi e ad aprirsi a una nuova idea di viticoltura.

Walter Gaetani

Les Suchots di Confuron-Cotetidot alla prova del tempo

I vini della Côte de Nuits sono senza ombra di dubbio i più desiderati dagli appassionati di tutto il mondo. E purtroppo, soprattutto da una decina di anni, le quotazioni stellari che i più ricercati pinot noir di Borgogna hanno raggiunto li hanno relegati al ruolo di chimere irraggiungibili, piuttosto che di vini di prestigio certo, ma che con qualche sacrificio anche appassionati bevitori non milionari possono saltuariamente degustare. E le cose peggiorano ulteriormente se malauguratamente si decide di assaggiare vini del comune di Vosne-Romanée, terroir baciato dal dio Bacco in cui si annoverano i grand cru più prestigiosi del mondo.

Vosne-Romanée
Vosne-Romanée (photocredit: Vins De Bourgogne)

Ma la passione, si sa, porta a far dei sacrifici e trovare qualche compromesso e così, con alcuni amici degustatori, ci siamo organizzati per una verticale di un premier cru di ottima reputazione e dalla quotazione meno esorbitante dei grand cru di Vosne-Romanée: Les Suchots.

Condividiamo di seguito dunque la degustazione di cinque annate del Vosne-Romanée 1er cru Les Suchots del domaine Confuron-Cotetidot. Les Suchots è un premier cru di poco più di 13 ettari rivendicato da ben 25 aziende. L’interpretazione che ne dà il domaine Confuron-Cotetidot, come vedremo, è piuttosto lontana dall’idea di pinot noir tutto fruttini e spezie orientali, il produttore persegue infatti uno stile di vinificazione più austero fatto di uva raccolta a piena maturazione, fermentazione con raspo, macerazione prolungata, utilizzo solo di legno di secondo o terzo passaggio (quindi non legno nuovo), per vini che hanno bisogno di tempo per esprimere tutto il loro potenziale.

Di seguito il resoconto dei vini assaggiati!

2015

Fin dal colore lo stile di Confuron-Cotetidot si differenzia da molti pinot noir di queste latitudini, non il solito rubino chiaro e luminoso, ma piuttosto un rubino compatto e profondo, colore che accompagnerà con piccole differenze tutti i millesimi assaggiati. Al naso un bel frutto rosso maturo (fragola, lampone) che cambia molto nel corso della serata, si susseguono altre note più chiare (arancia bionda) e boschive (aghi di pino), il tutto avvolto da un intrigante ricordo di foglia di menta. La bocca è compressa e fitta, il tannino è ben presente e sopra la media borgognona (ricordiamo la fermentazione con i raspi), la chiusura dolce-amara. Un bellissimo vino che va atteso ancora per esprimere tutto il suo potenziale. L’evoluzione nel bicchiere fa ben sperare in tal senso. La scommessa del futuro (se ti piace vincere facile).

2014

Vino più rassicurante e aperto del precedente, si muove su sentori di frutti di rovo (more), fiori e tocchi vegetali. Le spezie dolci qui fanno capolino ed introducono ad un sorso setoso e fresco, dal tannino fine e dalla chiusura lunga e sapida. Il vino dunque è più aperto e immediato rispetto all’annata 2015, ma anche più semplice e meno dinamico. Carpe Diem.

2012

Vino purtroppo rovinato da un tappo non perfetto, che porta ad un naso poco nitido ed un sorso piuttosto astringente. Non giudicabile.

2010

Colore più chiaro dei precedenti e olfatto delicato, elegante e complesso: ribes ed agrumi, spezie, floreale di viola. Dei vini assaggiati quello con il sorso più terso ed fresco, l’acidità lo rende ficcante e gustoso, ma al contempo il vino si sviluppa soffice ed aggraziato. Una bottiglia di grande eleganza e compostezza, che manca forse, ad essere severi, di un quid di intensità in più per renderlo indimenticabile. Signorile.

2009

In questo generoso millesimo il vino si presenta con note mature di frutta (pesca, lampone), ma anche viola, tamarindo, spezie (chiodi di garofano), erbe macerate, liquirizia. Sorso sferico, di buon volume e impatto, dalla progressione entusiasmante, la bocca è saporita, vellutata e sapide e chiude lunga e soffice su ritorni di liquirizia, spezie e lamponi. La quadratura del cerchio.

La degustazione si è tenuta presso il Ristorante Novanta di Bressana Bottarone (PV), che oltre a sopportare una gang di agguerriti bevitori ci ha deliziato con piatti ottimamente eseguiti. Da segnalare una carte dei vini di assoluto rilievo.

Diego Mutarelli
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Morus Alba 2017 Vignai da Duline: ritorno a casa

Aprire una bottiglia di Vignai da Duline, anche se non l’assaggi da tempo, ti riporta alle stesse sensazioni che si provano a rivedere un vecchio amico: ne conosci la personalità, ti senti subito a casa, ma ogni volta ti sorprende quanto ti faccia stare bene. E ti chiedi come hai fatto a farne a meno così a lungo, promettendoti di non aspettare tanto la prossima volta.

Queste riflessioni mi hanno accompagnato mentre sorseggiavo Morus Alba 2017 di Vignai da Duline, un vino molto rappresentativo dell’azienda condotta da Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini. Se vuoi saperne di più sull’azienda ti invito a leggere il resoconto di una visita effettuata ormai quasi 10 anni fa, ecco il link: Vignai da Duline la coerenza senza compromessi e senza proclami.

Vignai da Duline, 2017 Morus Alba

Il vino che sto degustando è un blend di malvasia istriana (60%) e sauvignon (40%) di due vigne piuttosto vecchie, rispettivamente La Duline e Ronco Pitotti. La fermentazione avviene senza utilizzo di lieviti selezionati e l’affinamento di 11 mesi è in barrique e tonneaux usati.

Friuli Venezia Giulia IGT “Morus Alba” 2017 di Vignai da Duline

Colore giallo dai bei riflessi oro antico.

Olfatto complesso e articolato che mescola sapientemente note fruttate mature a note più fresche, il tutto accompagnato da una bella terziarizzazione. Ecco dunque che si riconoscono note di nespola e mela renetta, ma anche cedro e ricordi di frutta esotica (mango). Quindi note di affinamento e evoluzione che richiamano il pepe bianco, il burro, la polvere pirica.

Il sorso è pieno, di ottima dinamica e allungo, lo sviluppo è elegantemente aristocratico. Le morbidezze sono ben equilibrate da supporto acido e (furiosamente) salino.

Chiusura lunga ed elegante su ritorni di spezie e sale.

Plus: vino ancora di grande energia, il tempo che avanza non lo sta scalfendo ma anzi gli sta conferendo una compiuta armonia. Raffinato ed energico.

Diego Mutarelli
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Nuova Selezione Don Armando di Lidia&Amato: passione e visione!

La presentazione della Selezione Don Armando, dell’azienda Lidia&Amato, è stata l’occasione per tornare a Controguerra, cittadina adagiata sulle amene colline teramane, in un paesaggio che riflette gli ideali di bellezza e armonia tra l’uomo e la natura, dove i dolci e diseguali colli intervallati da vigneti e uliveti sembrano creare uno sfondo quasi pittoresco.
Città dell’Olio e del Vino, è uno dei territori più identitari dell’enologia abruzzese con la sua particolare struttura del terreno e il favorevole microclima determinato dalla vicinanza al “Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga” e dalle brezze del Mare Adriatico che favoriscono la produzione di un vino dalle peculiari sensazioni organolettiche, che ben si presta all’invecchiamento.

Lidia&Amato vigna


Nel 2003, a testimonianza della grande attenzione verso il territorio, nasce il Consorzio di Tutela Vini Colline Teramane Docg, che si occupa di valorizzare, promuovere e tutelare i vini, e che si è dotato di un rigoroso disciplinare che stabilisce le regole per la produzione a tutela della denominazione di origine. In questo contesto si inserisce la Cantina Lidia&Amato di Controguerra (Teramo), guidata da un gruppo imprenditoriale con a capo la famiglia Di Florio originaria di Tocco da Casauria (Pescara), che ha acquisito la proprietà della storica azienda di Contrada San Biagio direttamente da Lidia Tavoletti, erede della famiglia Tavoletti che da nove generazioni ha coltivato i vigneti di famiglia. Attualmente la proprietà può vantare 16 ettari vitati con conduzione a regime biologico.
La nuova cantina, adiacente e integrata alla storica struttura esistente, è un progetto a impatto zero per l’ambiente con lo scopo di creare una sinergia con il territorio circostante.
È stato operato uno scavo di 5 metri di profondità in un’ottica di sostenibilità ambientale per ridurre al minimo l’impatto ambientale con i due tetti che riprendono i Monti Gemelli che si possono vedere in prospettiva.
Il giovane avvocato pescarese Nico Di Florio, invitato a raccontare la nuova esperienza in campo enologico, ha sottolineato la grande ambizione aziendale di proporre un prodotto espressione di un territorio così importante e vocato alla viticoltura ma che deve crescere in ospitalità puntando sulle attività enoturistiche.
Il socio Johnny Kyriazis, greco-canadese ed export manager dell’azienda Lidia&Amato, sta invece lavorando per far conoscere i valori e la storia dei vini di Controguerra anche oltre i confini delle Colline Teramane.
La filosofia aziendale è quella di lavorare in cantina lo stretto necessario in modo da intervenire il meno possibile nel processo di vinificazione, basandosi sulla spontaneità del terroir, come spiega con grande chiarezza l’enologo aziendale Giorgio Ficerai. Uve sane, con bucce spesse che consentono lunghe macerazioni, che provengono da vigne vecchie.
Luca Panunzio, consigliere dell’Associazione Italiana Sommelier, delegato AIS di Pescara e referente della Guida Vitae Ais, ha magistralmente guidato i partecipanti attraverso un percorso sensoriale esaltando le caratteristiche dei vini della Selezione Don Armando.
La nuova Selezione Don Armando è una intrigante linea dedicata al capofamiglia, Armando Di Florio. Il relatore ha esordito puntualizzando che “il territorio di Controguerra, pur essendo una zona altamente vocata alla produzione di vini rossi strutturati e di carattere, sa regalare anche un ottimo Trebbiano d’Abruzzo e un elegante Cerasuolo d’Abruzzo”.
“Sono vini tipici che esprimono le caratteristiche peculiari del territorio abruzzese e riconoscibili per intensità gusto olfattiva e per una sapidità che invita al successivo sorso” aggiunge il delegato AIS Pescara.

La sequenza di servizio dei vini prevede in apertura il Trebbiano d’Abruzzo Superiore DOC 2023, prodotto con uve Trebbiano d’Abruzzo in purezza.
Siamo di fronte ad un giallo paglierino intenso con riflessi dorati. Al naso il bouquet olfattivo presenta un ventaglio di sfumature di frutta gialla matura come pesca, albicocca e melone, cenni di erbe officinali e aromatiche con il rosmarino e alloro in evidenza.
Al palato il sorso è secco, fresco con una bella vena acida sostenuta da una fine parte sapida. Il finale è incentrato su una nota ammandorlata e un cenno iodato di importante struttura e complessità con una discreta persistenza. Abbinamento ideale con del pesce al forno.
In sequenza il Cerasuolo d’Abruzzo Superiore DOC 2023 prodotto con uve Montepulciano d’Abruzzo in purezza.
Nel calice un luminoso colore rosato ramato intenso. Al naso arrivano netti sentori fruttati di cerasa e piccoli frutti di bosco rossi. Al palato il sorso è fresco e sapido con un’elegante nota ammandorlata. Un vino equilibrato con una lunga persistenza e una sapidità che allunga il sorso. Si abbina armonicamente con primi piatti a base di verdure, con la pizza e con i brodetti di pesce.
A seguire il Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane DOCG 2020 prodotto con uve Montepulciano in purezza, con affinamento per un minimo di 18 mesi in tonneaux di rovere di Slavonia.
Alla vista un rosso rubino carico di buona consistenza. Al naso il bouquet olfattivo è intenso e complesso con sensazioni floreali di viola, note fruttate di more, prugne e ciliegia sotto spirito, pout pourri di fiori rossi, cenni di radice di liquirizia, rimandi speziati di pepe e noce moscata e un ricordo di foglie di tabacco dolce. Al palato il sorso è secco, pieno con una bella vena acida sostenuta da una traccia sapida, una splendida morbidezza e un tannino presente e ben integrato nella struttura del vino.
Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane DOCG Riserva 2018, prodotto con uve Montepulciano in purezza con affinamento per un periodo minimo di 24 mesi in barrique di rovere francese di primo passaggio.
Nel calice un rosso carminio luminoso e intenso. Al naso è elegante e intenso con note di amarena in confettura e sentori speziati di radice di liquirizia e vaniglia.
Al palato il sorso è pieno, corposo e vellutato con una buona morbidezza e un tannino presente e ben integrato nel corpo del vino.
Il finale è incentrato su intense note di liquirizia e note tostate di caffè e cacao con una persistenza lunghissima. Fine ed elegante è un vino dal grande carattere, ideale da degustare in occasioni speciali.

Ci sentiamo di ringraziare Sara Lattanzi, Brand Manager, e Nico Di Florio della proprietà, che ci hanno accolto con grande gentilezza, disponibilità e cortesia.

Walter Gaetani

L’Abruzzo fa sistema al Vinitaly 2025

Trebbiano 1986

E’ da qualche tempo che notiamo come i vini di Abruzzo si stiano sempre più ritagliando uno spazio di maggior visibilità nell’affollato e competitivo mercato del vino. Non si tratta solamente di qualche exploit di singoli produttori (le punte di diamante non sono mai mancate!), ma di un vero e proprio ecosistema che cresce all’unisono puntando sul territorio, sulle denominazioni di origine e sui grandi vitigni autoctoni della regione.

i vini in degustazione

Queste considerazioni sono state ulteriormente rafforzate e avvalorate a seguito del Vinitaly 2025 grazie ad una notevole masterclass organizzata dal Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo a cui abbiamo avuto modo di partecipare e che naturalmente, come da missione del blog, condividiamo! Si noterà come i “produttori faro” della regione, Valentini e Emidio Pepe, abbiano generosamente messo a disposizione del Consorzio (per un evento collettivo dunque e non per un’autocelebrazione) etichette del loro archivio storico di difficilissima reperibilità.

Trebbiano d’Abruzzo 1986 – Valentini, azienda che non ha bisogno di presentazioni e che è da decenni nell’élite del vino mondiale. Il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini è un vino iconico e dalla longevità straordinaria. Consideriamo un vero e proprio privilegio aver potuto assaggiare questo 1986 che a quasi 40 anni dalla vendemmia lascia stupefatti. Il colore è un giallo oro integro e luminoso. L’olfatto è valentiniano fino al midollo: caffè verde e cereali, pâté di fegato e fiori di campo, fieno, liquirizia, pepe bianco, ferro… Sorso fresco ed energico, elegante ma non certo domo, un vino che ha dinamica, allungo e stratificazione. Da bere ora e ancora per qualche decennio!

Trebbiano 1986

Pecorino “Giocheremo con i Fiori” 2017 – Torre dei Beati, 100% pecorino in quel di Loreto Aprutino (PE), solo acciaio, per un vino che vuole esaltare le caratteristiche di questo vitigno senza forzature di sorta. Annata non recentissima (attualmente è in commercio il millesimo 2023) ed in ottima forma, si muove su note agrumate e floreali, di olive verdi e fieno con un tocco di piacevole dolcezza che ricorda lo zucchero a velo. Bocca sapidissima e di grande persistenza, schietto ed elegante.

Pecorino Colli Aprutini “Cortalto” 2016 – Cerulli Spinozzi, ci troviamo in provincia di Teramo e anche in questo caso il pecorino che abbiamo nel calice ha qualche anno sulle spalle. Vino integro con un naso intenso di agrumi e oliva verde, un tocco di cera e qualche sbuffo etereo accompagnato da una nota mielata. Il sorso è morbido e carezzevole, piacevolmente risolto ma ancora vivace e sapido in chiusura.

Cerasuolo d’Abruzzo “Cerano” 2024 – Pietrantonj, l’azienda esiste da due secoli e si trova a Vittorito, in provincia dell’Aquila. Il Cerasuolo che abbiamo nel calice si presenta con un bel fruttato di ciliegia e fragoline, lineare e semplice nello sviluppo, fresco e di ottima beva. Chiude dolce di frutto senza alcuna mollezza però. Il prezzo quello sì è dolce, circa 10 € ben spesi!

Cerasuolo d’Abruzzo “Fossimatto” 2023 – Fontefico, l’azienda di Vasto (CH) presenta un cerasuolo paradigmatico fin dal colore fieramente intenso. Olfatto divertente di fragoline ma anche finocchietto, liquirizia e pepe rosa. Sorso di impatto e carattere, il vino è stratificato e ampio, di volume e allungo. Chiude su note di frutta rossa e sale.

Montepulciano d’Abruzzo 2001 – Emidio Pepe, altro produttore che non ha bisogno di presentazioni e che ha sempre pensato che il tempo fosse il miglior alleato del Montepulciano di Abruzzo (e del Trebbiano). L’azienda ha uno storico di oltre 350.000 bottiglie, che immette regolarmente sul mercato anche a diversi lustri dall’imbottigliamento. Il vino che abbiamo assaggiato, un 2001, porta il naso sulle montagne russe: prugna, rose macerate, cuoio, cioccolato fondente, chiodi di garofano… impatto gustativo fruttato (amarena), tannino giustamente croccante, sviluppo denso e dinamico, sapido e lungo in chiusura. Un vino orgogliosamente contadino nella concezione e aristocratico nel risultato.

Montepulciano d'Abruzzo

Montepulciano d’Abruzzo “Docheio” 2021 – La Valentina, ci troviamo in provincia di Pescara per un Montepulciano d’Abruzzo originale, a partire dalla scelta di fermentare parte delle uve con i raspi in orci di terracotta. Ne risulta un vino che sa di cioccolatino all’amarena, ampio e materico, dolce nel sorso e dal tannino carezzevole.

Montepulciano d'Abruzzo La Valentina

Montepulciano d’Abruzzo Riserva “Iskra” 2011 – Masciarelli, anche questo Montepulciano si presenta materico e denso con richiami di cioccolato, prugna, chiodi di garofano su un fondo balsamico. Lungo in chiusura con un tannino ancora ben presente che dona grip e sapore.

Montepulciano Iskra Masciarelli

Diego Mutarelli
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Le Carignan 2019 – Catherine Bernard

Le Carignan 2019

La storia del vino è ricca di professionisti di altri settori che, folgorati sulla via di Bacco, mollano tutto per dedicarsi alla vigna. Lo stesso accade a Catherine Bernard, giornalista di Libération, che nel 2005 cambia vita per dedicarsi al vino.

Si installa a Saint-Drézéry, non distante da Montpellier (siamo in Languedoc), dedicandosi a poco meno di 5 ettari (carignan, cinsault, grenache noir, marselan, mourvèdre e terret blanc). Azienda che possiamo senz’altro annoverare nel filo dei vini naturali, è certificata biologica e segue le pratiche della biodinamica. Nonostante l’azienda proponga vini estremamente territoriali, l’azienda sceglie di etichettare la sua produzione come semplice Vin de France.

Il vino che abbiamo assaggiato è ottenuto da due vigneti di carignan (uno di questi è ricco di viti centenarie), fermentazione spontanea e macerazione di 7 giorni, affinamento in barriques dai 6 ai 9 mesi a seconda dell’annata.

Le Carignan 2019 – Catherine Bernard

Rosso rubino chiaro e luminoso. Olfatto accattivante che si apre su note di fruttini rossi (lamponi in confettura), ma anche rosa, macchia mediterranea, un nota balsamica e spezie come cannella e liquirizia. Bocca di ottima freschezza e dinamica, scorrevole e dolce di frutto. Il basso tenore alcolico (12,5%) agevola la beva senza svuotare il sorso e ridimensionarne il gusto, anzi la materia è saporitissima nonostante un tannino affusolato e risolto. In chiusura persiste a lungo su ritorni fruttati e di spezie.

Plus: vino naturale di grande pulizia e mirabile equilibrio.

Diego Mutarelli
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Come evolve il sangiovese? 7 bottiglie alla prova del tempo

Brunello di Montalcino Cerbaiona

Un piccolo drappello di degustatori si è riunito intorno ad un tavolo per una degustazione alla cieca a tema sangiovese. Ne è venuto fuori un viaggio nel tempo, con bottiglie che hanno coperto svariati decenni e che hanno dimostrato – una volta di più – quanto il sangiovese, nelle sue varie declinazioni territoriali, possa essere goduto sì giovane, ma mostri tutto il suo potenziale solo dopo decenni di invecchiamento.

Non poteva mancare una bollicina per iniziare, il Metodo Classico “Grosso” 2015 di Paltrinieri da uve Lambrusco di Sorbara si è comportato molto bene. La sboccatura piuttosto datata (03/208) ha fornito complessità e fascino per un vino dal color buccia di cipolla che sa di scorza di agrumi, erbe amare, resina, ma anche note più dolci come crema al limone; il sorso è freschissimo, leggero, perde qualche colpo a centro bocca ma chiude saporito. Intrigante.

Lambrusco Paltrinieri

Le Viti di Livio 2015 – Fattoria di Lamole: interessante vino chiantigiano, anche se etichettato come Toscana IGT, proveniente da vigne vecchie a piede franco in quel di Lamole. Si esprime sul frutto rosso, ma anche con note di sottobosco, spezie ed un tocco balsamico. Sorso di ottima freschezza, tannino ben presente e ancora da smussarsi, molto saporito in chiusura. Buono oggi, sarà ottimo tra un lustro almeno.

Brunello di Montalcino 2016 – Le Potazzine: naso abbastanza timido ma pian piano emergono note di frutta rossa (ciliegie), affumicatura, rose rosse, terra smossa, un tocco di spezie dolci (vaniglia).
Fresco, sapido e lungo con un tannino in chiusura leggermente rigido ed in rilievo, vino da attendere, sembra attraversare una fase di evoluzione. Scorbutico.

Brunello di Montalcino “La Cerbaiola” 2012 – Salvioni: il naso appare ancora giovanissimo e sa di frutto rosso e fiori freschi, e il sorso conferma, si tratta di un vino energico e saporito, di ottima dinamica e dal tannino fitto ma di grana fine. Chiusura dolce di frutto rosso e lunghissima persistenza. L’annata calda è stata gestita al meglio. Solare.

Brunello di Montalcino 2006 – Le Ragnaie: vino ancora di un’integrità irreale: ciliegia, viola, canniccio, spezie…Sorso gustoso e molto sul frutto, di grande equilibrio e dinamica. Fresco e sapido in chiusura. Un vino di grande armonia ed esuberanza “giovanile”, il che diventa paradossalmente un (piccolo) difetto a quasi 20 anni dalla vendemmia. La maturità è ancora lontana, da tenere in cantina con fiducia. Highlander.

Brunello di Montalcino 2003 – Cerbaiona: gran bella riuscita anche (ma non solo) considerando l’annata torrida. Caramella all’amarena, corteccia, terra, peonia, sorso risolto, fresco e delicato a dispetto del calore alcolico che sarebbe stato lecito aspettarsi dall’annata 2003. Ritorni di agrumi amari e frutta rossa. Vino di grande integrità ed armonia, persino delicato nelle sue sfumature e nella progressione soave. Sorprendente.

Cetinaia 1985 – Castello di San Polo in Rosso: partiamo dalla fine, strepitoso! In generale e non solo considerando l’età. Humus, tartufo, confettura di lamponi, eucalipto, sorso dolce, succoso, delicatamente risolto e “cremoso”. Sapido e lungo. Grande vino (che non esiste più purtroppo).

Vino Nobile di Montepulciano Riserva 1958 – Tenuta Sant’Agnese: naso evoluto ed affascinante, ancora dinamico che richiama il sottobosco, poi tartufo, corteccia, tamarindo…bocca risolta, leggera e saporita.
Vive e lotta insieme a noi.

Chiusura in (relativa) dolcezza con un Friuli Colli Orientali Picolit 2017 di Sara&Sara, una vendemmia tardiva elegante e assolutamente non stucchevole, ma che manca, ad essere severi, un po’ di grinta e personalità. Si può osare di più.

Picolit

Diego Mutarelli
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Tenute Polini: una storia di famiglia da quattro generazioni!

Tenute Polini

L’Azienda Tenute Polini, alla quarta generazione, nasce dal naturale ricambio generazionale dell’Azienda Agricola Polini Luigi viticoltori dal 1883 e si inserisce di diritto nel tessuto vitivinicolo del territorio ascolano.
La casata Polini è presente a Carassai sin dal 1700 e i gigli presenti sullo stemma di famiglia testimoniano la nobiltà d’animo e cura del proprio territorio.
Ci troviamo a Carassai, un borgo di origine medievale nell’entroterra Ascolano lungo la Val Menocchia. Il paesaggio è disegnato da dolci colline dove dominano vigneti, oliveti e boschi con un clima influenzato dal Mare Adriatico e dai Monti Sibillini.
L’azienda vanta un totale di 22 ettari vitati di proprietà con una parte significativa di 14,6 ettari data in affitto nel gennaio dello scorso anno da Luigi Polini a Francesca sua figlia e a Simone, cognato di Francesca.
Ora la guida aziendale è passata nelle mani della nuova generazione, che ama sottolineare che la loro è una passione che si rinnova nel casale tipico marchigiano, ristrutturato sull’antica pianta.
Simone ha da sempre ricoperto il ruolo di enologo e responsabile in cantina vantando anche altre esperienze in cantine fuori regione. Francesca lascia la carriera di graphic designer a Parma e rientra in azienda con l’intento di portare avanti la tradizione di famiglia e intanto si diploma come sommelier.
Le uve coltivate sono passerina, pecorino, chardonnay e garofanata per quelle a bacca bianca e sangiovese, montepulciano, merlot e syrah per quelle a bacca rossa.

Il primo progetto nel quale la nuova gestione sta investendo e dedicando tempo e risorse è incentrato sulla garofanata, un vitigno autoctono a bacca bianca marchigiano che è stato re-impiantato e vinificato secondo le regole del metodo classico. Uno spumante unico ed esclusivo!
La garofanata è un antico, affascinante e quasi dimenticato vitigno delle Marche – per molto tempo confuso con il moscato bianco – che stava rischiando l’estinzione. È stato recuperato recentemente con il nome garofanata in un vecchio vigneto nell’area di Corinaldo (AN), dove un tempo era stato coltivato. Giancarlo Soverchia, enologo di fama nazionale, agronomo e consulente presso molte aziende vinicole in collaborazione con l’A.S.S.A.M., l’Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche, ha contribuito al recupero dell’unico biotipo nell’area di Corinaldo (AN) e conservato presso il vigneto dell’A.S.S.A.M. “Germoplasma vinicolo delle Marche” a Carassai (AP).
Tracce bibliografiche della presenza nelle Marche del vitigno garofanata è stato possibile trovarle solo nel dattiloscritto non pubblicato, sono appunti, ”Ampelografia marchigiana” (1962) dell’ampelografo marchigiano Bruno Bruni. Il Bruni segnala la garofanata come sottovarietà di moscato bianco.

i vini in assaggio

In apertura degustiamo lo Spumante Brut Leggerezza Tenute Polini “sans année”, un metodo classico vinificato con uve Garofanata in purezza con un sosta sui lieviti per 24 mesi e un lungo affinamento in bottiglia per 60 mesi. Il terreno è di natura argillosa di medio impasto con un’altitudine media dei vigneti di 100 metri s.l.m. con esposizione sud-est e nord-est.
Nel calice risplende di un brillante colore giallo paglierino molto intenso dai riflessi dorati con un perlage finissimo e persistente. Al naso si svela in tutta la sua elegante complessità aromatica dove emergono intensi profumi di agrumi canditi, note fruttate di mela Golden matura accompagnati da note floreali di fiori d’arancio e acacia. Si avvertono sottili cenni di lievito, pane tostato e nocciola, derivanti dal lungo periodo di affinamento sui lieviti e lievi sentori di fieno.
In bocca il sorso è avvolgente e cremoso, con una vibrante effervescenza che accarezza il palato. Una bellissima vena acida sostenuta da una grande parte sapida che dona complessità e profondità al sorso. Il finale è incentrato sulle note fruttate di mela Golden matura, pera Williams e leggere note di agrumi. La persistenza è lunghissima con un lieve rimando di mandorla tostata e una sottile nota iodata.
Si accompagna bene con antipasti leggeri con formaggi di capra e zest di limone, uno spaghetto a vongole con scorza di limone, secondi di pesce al forno, formaggi di media stagionatura e può sorprendere in abbinamento ad un dolce al cucchiaio come la delizia al limone!

Passerina Doris

In sequenza assaggiamo l’Offida Passerina DOCG 2023 “Doris”, un vino bianco di grande eleganza e freschezza, espressione autentica del territorio marchigiano che nasce da uve Passerina accuratamente selezionate. Fermentazione in acciaio e matura per 12 mesi sulle fecce fini in acciaio.
Nel calice un vivace e luminoso colore giallo paglierino con leggeri riflessi dorati.
Al naso, il bouquet aromatico è intenso e complesso dove si apprezzano subito sensazioni floreali di fiori come ginestra e camomilla, note fruttate di mela verde, pera e pesca con lievi sentori agrumati e delicate sfumature erbacee.
Al palato il sorso è secco per la sua vibrante acidità mai eccessiva che dona al vino una piacevole sensazione di freschezza. Il finale è incentrato sulle note fruttate avvertite al naso con un rimando ad una nota di mandorla amara il tutto sostenuto da una grande parte sapida. Buona la persistenza.
Un vino che si sposa magnificamente con antipasti di pesce, crostacei, molluschi, piatti a base di verdure e formaggi freschi. Ottimo compagno di un aperitivo, per la sua freschezza e leggerezza.

A seguire l’Offida Pecorino Docg 2023 “Sabbione” chiamato così dalla contrada dove ha origine, sulle dolci colline della Val Menocchia e vinificato in purezza con uve pecorino. Fermentazione in acciaio e invecchiato 12 mesi sulle fecce fini.
Alla vista si presenta con un vivace e luminoso colore giallo paglierino con riflessi dorati che suggeriscono una certa complessità.
Al naso il bouquet olfattivo è intenso e complesso dove emergono subito note fruttate di mela verde e pesca bianca, sentori agrumati di limone e pompelmo, sensazioni floreali di fiori bianchi e gialli, come acacia e ginestra. Si percepiscono inoltre eleganti sfumature di erbe aromatiche come la salvia e note iodate e salmastre.
Al palato è decisamente fresco e vivace con una bella vena acida sostenuta da una grande parte sapida. Il finale è incentrato sulle note fruttate avvertite al naso, una lieve nota ammandorlata e un cenno agrumato con un richiamo alla traccia sapida che regala eleganza e complessità. Buona la persistenza.
Un vino che accompagna egregiamente piatti di pesce, crostacei, molluschi ma ideale anche come aperitivo, per la sua freschezza e vivacità.

In chiusura il Rosso Piceno Superiore Doc 2022 “Primus”, il primo vino della tenuta che nasce da uve Montepulciano e Sangiovese con fermentazione in acciaio, 8 giorni sulle bucce e invecchiamento in barrique per 24 mesi.
Il vino si presenta nel calice di un colore rosso rubino molto intenso, con lievi riflessi granati e dalla buona consistenza.
Al naso è elegante, intenso e complesso con un bouquet olfattivo disegnato da avvolgenti note di frutti rossi maturi, come ciliegia e prugna, accompagnate da note speziate di vaniglia, cenni di liquirizia e pepe nero con sentori di tabacco. Si avverte una elegante nota boisé dovuta all’invecchiamento del vino in barrique di rovere francese.
In bocca il sorso è pieno e vellutato con tannini ben integrati nella struttura del vino e una buona morbidezza. Si apprezzano note di frutta rossa matura, rimandi tostati di cioccolato fondente e caffè, con un finale speziato di pepe nero e cannella. La persistenza è lunghissima e invita il degustatore al sorso successivo.

Tenute Polini è la testimonianza che tradizione e modernità possono essere la chiave di lettura per dare lustro e importanza ad un territorio importante e altamente vocato alla viticoltura come quello ascolano.
Il progetto sulla garofanata di Tenuta Polini è il segnale che si può guardare al futuro facendo sempre leva su quanto costruito in passato senza disperdere il grande patrimonio ampelografico di ciascun areale del tessuto vitivinicolo italiano.

Walter Gaetani

Friulano 2018 – Vignai da Duline

Friulano 2018

Nel post di oggi parliamo di un interessante vino bianco prodotto da Vignai da Duline, il progetto ormai ampiamente consolidato di Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini in quel di Villanova del Judrio, in provincia di Udine. Per avere una panoramica sull’azienda suggeriamo di leggere questo post, comparso su Vinocondiviso qualche anno fa, ma sempre di attualità.

Friuli Venezia Giulia IGT “La Duline” Friulano 2018 – Vignai da Duline

La Duline è una vigna con piante molto vecchie di friulano, biotipo verde e giallo. Il vino che abbiamo nel calice, e che abbiamo custodito in cantina per qualche anno (attualmente si trova in commercio l’annata 2023), è ottenuto tramite pressatura a grappolo intero, la malolattica è svolta e l’affinamento sui propri lieviti dura 11 mesi e viene svolto in parte in botti grandi in parte in barrique.

Il vino si presente di un vivace giallo oro, per nulla stanco, anzi screziato ancora di riflessi verdi. Il primo naso apre su note delicatamente vegetali, quindi si susseguono scorza d’agrumi, mela renetta, erbe aromatiche (basilico, foglia di menta), pepe bianco…il tutto in un quadro di grande armonia e compostezza, come se il vino richiedesse attenzione senza però pretenderla. Ricorda un po’ quelle persone carismatiche che non hanno bisogno di parlare a voce alta per farsi ascoltare, ma pur sussurrando richiamano intorno concentrazione ed ascolto.

Al primo sorso il vino si presenta energico, di impatto e volume, la morbidezza glicerica è ben bilanciata da freschezza linfatica e da una nettissima sapidità che in chiusura diventa quasi feroce. Il vino chiude lunghissimo, elegante e ricco di sapore, su ritorni di mandorla fresca.

Vino che ha una vita ancora lunghissima davanti a sé, ci piacerebbe poterlo riassaggiare tra un paio di lustri, l’evoluzione potrebbe riservare belle sorprese.

Diego Mutarelli
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