3 giovani produttori a Vinitaly 2022

Vinitaly è senza dubbio la più importante fiera del vino d’Italia. Il numero di espositori e visitatori che gravitano intorno a Verona nei giorni del Vinitaly sono impressionanti. Noi di Vinocondiviso non potevamo mancare ma abbiamo deciso di visitare il Vinitalty 2022 con uno sguardo attento anche alle novità e ai piccoli produttori o denominazioni.

Sì, perché il Vinitaly non è solo fatto di grandi consorzi o grandi aziende, ma in diverse collocazioni trovano spazio produttori emergenti, denominazioni minori, vini biologici, artigiani, naturali…

Anche quest’anno, come accaduto nel 2019, tra i numerosi eventi e convegni abbiamo avuto modo di partecipare a Young to Young, l’ormai consueto momento di confronto, moderato da Paolo Massobrio e Marco Gatti, tra giovani vignaioli e comunicatori del vino.

­Ecco gli interessanti vini degustati!

Spumante Lessini Durello Riserva Metodo Classico brut 2017 – Fongaro

L’azienda Fongaro è stata fondata nel 1975 da Guerrino Fongaro, ma dal 2020 alla guida dell’azienda vi è Tanita Danese, under 30, amministratore unico dell’azienda e con le idee molto chiare: certificazione biologica, focus sul Metodo Classico e cura maniacale del vitigno feticcio dell’azienda, la durella. Il vino che abbiamo nel calice matura in bottiglia sui propri lieviti 48 mesi, si presenta in veste giallo oro luminoso, il perlage è sottile e continuo. L’olfatto è stratificato e originale: viola, pompelmo, un tocco di frutta esotica, nocciola, il tutto avvolto da una soffusa mineralità. Al sorso il vino sorprende per una grande freschezza che il dosage (6-8 gr/litro) stempera appena. Sorso profondo ma sorretto da intensità e corpo. Chiusura sapida e lunga.

Indomito

Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese TIĀMAT 2020 – Cordero San Giorgio

I tre giovani fratelli Cordero si trasferiscono dalle Langhe in Oltrepò rilevando nel 2019 l’azienda Tenuta San Giorgio. 22 ettari vitati con vigne piuttosto vecchie a Santa Giulietta e voilà, parte l’avventura di Cordero San Giorgio

Il vino che degustiamo, con l’inconscia diffidenza che si impossessa di noi quando assaggiamo un pinot nero italico, è sorprendente. Un classico rubino scarico di bella trasparenza fa da apripista ad un naso fatto di lamponi e ribes, hibiscus, cannella e altre spezie in divenire, grafite. La bocca in ingresso è caratterizzata dalla piacevole dolcezza dei fruttini rossi percepiti al naso, buon volume e grande beva per un liquido che si muove con dinamica e con un tannino elegante (il 10% dell’uva non viene diraspata).

Promettente

Rossese di Dolceacqua Superiore Peverelli 2019 – Mauro Zino

Alla guida dell’azienda Mauro Zino vi è un ragazzo poco più che ventenne. Recupera l’attività e le vigne di famiglia, tra le quali l’impervia vigna Peverelli, conosciuta con questo nome fin dal 1700.

Rosso rubino intenso il colore. L’olfatto si apre sulla frutta rossa, l’incenso, le rose appassite e la macchia mediterranea. Il sorso è leggero, danza con eleganza sul palato lasciando in ricordo un’eco di mare e sale. Vino ispiratissimo e produttore che si impone all’attenzione dei tanti appassionati di Dolceacqua e del suo rossese. Peccato solo per le esigue quantità di questo specifico cru, prodotto in non più di 400 bottiglie.

Raffinato

Diego Mutarelli
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A.A.A.: Alto Adige Again

Che qualcuno, qui a Vinocondiviso, abbia un debole per l’Alto Adige, ne abbiamo tracce in alcuni articoli (ad esempio: qui, oppure qui, ma anche qui): l’occasione di partecipare all’evento “Vignaioli indipendenti del Trentino e dell’Alto Adige”, tenutosi domenica 13 marzo a Milano, era troppo ghiotta per farsela sfuggire.

Fra produttori che già apprezzavamo e altri per noi nuovi (Oberstein e Untermoserhof) abbiamo scelto sei vini che ci hanno colpito per eleganza (due pinot bianco), potenza (due pinot nero) e identità territoriale (e questi ultimi due ve li sveliamo dopo).

Il vitigno a bacca bianca per cui è famoso l’Alto Adige è il gewürztraminer, ma questa regione riesce a regalare grandi espressioni di pinot bianco; eccone due, campioni di eleganza:

  • Lapis 2018 di Weingut Oberstein: il nome del vino significa pietra in latino e la scelta è azzeccata; freschezza e mineralità sono i fili conduttori sia al naso che all’assaggio.
  • In der Låmm 2019 di Weingut Abraham: qui il pinot bianco si fa ancora più elegante e femminile con note di mughetto ed erbe di montagna, in bocca verticale e incredibilmente sapido. Nota: sì, da donna mi permetto di usare ancora l’aggettivo “femminile” per un vino senza sentirmi “politicamente scorretta”.

Eccoci ora a parlare del re pinot nero, coltivato in Alto Adige almeno da metà Ottocento, ovvero prima della sua annessione in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale, grazie al sostegno dell’Arciduca Giovanni d’Asburgo, in due versioni, diverse per luogo e tecnica di affinamento, che ci hanno colpito per la loro potenza:

  • Schwarze Madonna Pinot Nero Riserva 2018 di Klosterhof: l’ultima generazione in azienda ha avuto esperienze in Borgogna e lo sguardo è irrimediabilmente sempre verso la Cote d’Or ma … coi piedi ben radicati nelle loro vigne, nella Bassa Atesina (siamo vicino al lago di Caldaro). Bocca piena e avvolgente, tannino fine, ampi margini di evoluzione.
  • Vigna Zis Pinot Nero 2016 di Brunnenhof: siamo stati anni fa nella cantina di Kurt Rottensteiner,  e ci ricordavamo nella bellissima “Vigna Zis” a Mazzon;  questa single vineyard, prodotta solo nelle annate migliori, sempre in tonneaux, è la summa del pensiero di Kurt: far emergere annata e terroir. Ci provano e lo dicono in tanti ma come si dice in inglese “easier said than done”. Naso intenso e austero, sorso ampio, grande persistenza: e pensare che Kurt lo teneva nascosto, al banco d’assaggio 😉

Passiamo ora a due vini che ci hanno colpito per la loro identità territoriale:

  • Santa Maddalena Classico 2020 di Untermoserhof: la cantina è proprio vicino alla chiesetta simbolo della denominazione, nell’omonimo villaggio che si raggiunge a piedi (ma in salita) da Bolzano; già al nostro primo sorso capiamo quanto tenga alla schiava, uva base del Santa Maddalena, e quanto impegno ci sia nel valorizzarla. Abbiamo degustato il vino con Massimo Zanichelli, che ne ha scritto una interessantissima verticale su Acqua buona:  I due Santa Maddalena di Georg e Florian Ramoser – Racconto di una verticale. Bellissima scoperta e lettura superconsigliata (questo il link).
  • AnJo 2019 di Strasserhof: siamo nella Valle Isarco, dove il kerner dà il suo meglio e infatti quello prodotto da Hannes è egregio. Qui vi parliamo di un altro vino che ci ha molto colpito sia per la sua aderenza territoriale sia per la voglia di sperimentare: Anjo, ultimo nato in azienda (siamo solo a due annate prodotte, 2018 e 2019), un blend di sylvaner (50%), riesling (35%), kerner (15%) affinato in legno. Un vino di struttura e di grande equilibrio gustativo, destinato ad un ottimo invecchiamento.

HALLO SÜDTIROL, SEHEN WIR UNS BALD WIEDER!

Alessandra Gianelli
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Il pinot nero è la risposta?

“Cosa vuoi fare da grande?”

Quante volte ce lo siamo sentiti domandare, da piccoli. E quante volte ce lo siamo chiesti, da adulti.

courtesy of Alessandro Anglisani

L’Oltrepò sembra ancora alle prese con questa domanda, nonostante una storia vitivinicola che si perde fino ai tempi dell’Impero Romano; un territorio esteso, immenso se paragonato ad altre zone vinicole italiane, dove è scontata la presenza di tanti vitigni e la produzione di vini diversi; dove tuttavia non dovrebbero mai esser dati per scontati qualità e rigore nelle scelte aziendali, in vigna, in cantina, sul mercato. Di rigore ha parlato Armando Castagno, giornalista, scrittore e grande comunicatore del vino, al secondo evento organizzato dall’associazione “Oltrepò, terra di pinot nero” a Milano, lo scorso giovedì 2 dicembre, confrontandosi con Filippo Bartolotta, altro importante rappresentante della critica enologica in Italia e nel mondo: “rigore a livello associativo, di viticoltura, di produzione, su disciplinare, di comunicazione, di sostenibilità economica … (un rigore) speso per conoscere e far conoscere i frutti di un territorio dalle potenzialità enormi”.

Al termine del dibattito, tanti gli assaggi di pinot nero nelle sue due declinazioni – spumantizzato e vinificato in rosso – dei 23 produttori presenti; ne abbiamo scelti due che ci continuano a stupire per classe e qualità: il metodo classico Farfalla Cave Privée 2013 di Ballabio e il Giorgio Odero 2017 di Frecciarossa.

E che il Pinot nero sia veramente la risposta alla domanda iniziale, ce lo suggeriscono vini come questi.

Alessandra Gianelli
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Ahr Frühburgunder Goldkapsel “Jubilus” 2018 – Weingut Kriechel

Non è la prima volta che parliamo della culla del pinot nero in Germania, ovvero dell’Ahr e dei suoi vini.

Continuiamo dunque ad assaggiare vini dell’Ahr. Questa volta tocca alla meno comune varietà del pinot nero, ovvero a quel frühburgunder che rappresenta la mutazione spontanea e precoce dello spätburgunder (in tedesco früh = presto; spät = tardi).

Weingut Kriechel è un’azienda familiare che può vantare di ben 28 ettari di vigna; i 4 ettari dedicati al frühburgunder ne fanno il più grande produttore di frühburgunder dell’Ahr.

Ahr Frühburgunder Goldkapsel “Jubilus” 2018 – Weingut Kriechel

Rosso rubino chiaro il colore.

Naso accattivante ed immediato di ribes nero e confettura di lamponi, geranio, spezie orientali.

Sorso agile ma di grande impatto e personalità, il frutto e le spezie che l’olfatto anticipa si confermano in bocca. Acidità e polpa sono ottimamente bilanciate e lo sviluppo risulta ben sostenuto, con alcol e materia fruttata che conferiscono al vino un profilo ricco ma non “imbalsamato”. In chiusura si avverte un tannino appena scomposto e un calore alcolico che non ti aspetti da un vino nordico di questo tipo.

Chiude persistente su ritorni speziati e floreali.

Plus: vino di impostazione moderna per estrazione e uso – assennato – del legno, il risultato complessivo è di un vino equilibrato ed espressivo.

Minus: un pizzico di alcol in chiusura che scappa di mano

Diego Mutarelli
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Modena Champagne Experience 2021: i nostri coups de cœur

In Italia è senza alcun dubbio l’evento più importante dedicato alle bollicine d’Oltralpe. Oltre 600 etichette in degustazione, più di 120 produttori, una due giorni imperdibile che si è tenuta a Modena il 10 e l’11 ottobre.

Stiamo parlando di Modena Champagne Experience, evento che tutti gli anni viene organizzato da Società Excellence, l’associazione che riunisce diciotto tra i maggiori importatori e distributori di champagne.

Impossibile un resoconto dettagliato dei tanti champagne assaggiati, ma non ci tiriamo indietro e sveliamo le tre bollicine che più ci hanno colpito, i nostri coups de cœur insomma.

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Champagne Blanc de Blancs Brut Grand Cru La Chapelle du Clos 2014 – Claude Cazals

Maison familiare fondata nel 1897 a Le Mesnil-sur-Oger oggi guidata con sicurezza da Delphine Cazals, presente alla manifestazione. Champagne Cazals, situata nel cuore della Côte des Blancs, possiede uno dei rari clos di Champagne, un unico appezzamento di 3,70 ettari, circondato interamente da un muro (un clos, per l’appunto), che ne identifica l’unicità ed il particolare microclima, anzi forse sarebbe meglio dire “microcosmo”. Da questa parcella l’azienda ottiene due Champagne, il Clos Cazals e La Chappelle du Clos. Quest’ultimo vino, che abbiamo degustato nel millesimo 2014, è ottenuto da una parcella del Clos situata nei pressi di una Cappella, affina 6 anni sui lieviti prima della sboccatura per un dosaggio di 6 g/litro.

L’olfatto del vino è un ricamo delicato ed elegantissimo: fiori bianchi, note minerali di gesso e calcare, scorza d’agrume e susine Mirabelle. Sorso soave, perlage fine, sottile, gentilmente persistente, sviluppo meravigliosamente armonico. Chiusura pulita e persistente di grande raffinatezza minerale.

Champagne Blanc de Blancs Extra Brut Grand Cru De Caurés à Mont-Aigu 2014 – Guiborat

Anche Guiborat si trova nella Côte des Blancs e, più precisamente, a Cramant. L’azienda possiede 8 ettari esclusivamente dedicati allo chardonnay. Produttore non ancora così noto, ma ben recensito dagli esperti di bollicine, ci ha colpito in particolare con questa cuvée ottenuta da 2 parcelle di Chouilly; le uve provengono per l’84% da uve del vigneto Le Mont Aigu, piantato nel 1970 e per il 16% da Les Caurés, piantato nel 1946.

Il vino non fa malolattica e non ha dosaggio.

Non è uno champagne da evento, si concede lentamente ed il tempo da dedicargli, in una manifestazione che rischia di trascinarti in assaggi compulsivi, rischia di non essere sufficiente. Ma il calice ci ha chiesto di attenderlo, per ascoltare i suoi sbuffi di nocciole e gesso, agrumi e pasta frolla…la bocca ha grande armonia, struttura e pienezza, ma si muove in profondità grazie ad un’acidità ben presente che allunga la persistenza in un finale dissetate e piacevolmente sapido.

Champagne Extra Brut Dizy Terres Rouges 2013 – Jacquesson

Jacquesson si trova a Dizy, ai piedi della Montagne de Reims. La storia dell’azienda è antica, infatti la fondazione della cantina risale alla fine del 1700; non tutti sanno che si deve a Jacquesson la messa a punto, nel 1844, della gabbietta che trattiene il tappo a fungo degli champagne.

Il Terres Rouges è un lieu-dit 100% pinot nero, 7 anni sui lieviti con un dosaggio di appena 0,75 g/litro. L’olfatto si apre sulla frutta rossa, marchio di fabbrica del pinot nero, in questa fase non c’è però alcun eccesso di maturazione o estratto, il frutto rosso è anzi croccante, fresco e scattante, la mineralità non è affatto in secondo piano, anzi si fonde perfettamente nel profilo del vino e lo accompagna anche nello sviluppo lungo il cavo orale. Potenza ed eleganza, espressività e rigore, è uno champagne che unisce gli opposti e, pur giovanissimo, è già molto godibile.

Questi sono stati i nostri assaggi indimenticabili, quali i tuoi? Scrivicelo nei commenti al post!

Diego Mutarelli
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Champagne Rosé de Saignée – Larmandier Bernier

Una Maison che non ha certo bisogno di presentazioni, faro della Côte des Blancs “meridionale”, siamo a Vertus tempio dello chardonnay, in questo caso però abbiamo un rosé di macerazione a base, naturalmente, pinot nero al 90% con un inusuale, per la zona, saldo del 10% di pinot grigio.

Macerazione sulle bucce più prolungata del solito dalla quale nasce un colore veramente affascinante, rosa intenso, in certe annate quasi al limite del rosso, il naso è un ventaglio di profumi che spaziano dalla rosa al pepe, mandarino, lampone, tamarindo, rosmarino, un vero e proprio caleidoscopio nel quale perdersi minuto dopo minuto (se riuscite a non finire la bottiglia in un amen).

La bocca è di beva trascinante, fresca, succosa, come una spremuta d’arancia al mattino, ottima acidità a pulire, bevetelo giovane non tenetelo troppo in cantina, è uno champagne che va goduto subito, da abbinare ad un culatello, a un parmigiano 36 mesi o, perché no, ad una tartare di tonno rosso.

Gregorio Mulazzani
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Ahr, la culla del pinot nero in Germania

Non tutti sanno che la Germania si colloca al terzo posto nel mondo come ettari vitati a pinot nero. Prima di lei solo, come è ovvio, la Francia e, quindi, gli USA.

In particolare, è l’Ahr la regione di Germania più vocata al pinot noir, o meglio spätburgunder. L’Ahr è una delle zone più settentrionali della Germania, la viticoltura si sviluppa lungo l’omonima valle, lunga appena 24 kilometri, in cui scorre l’Ahr, affluente del Reno. Il pinot nero la fa da padrone e, insieme al portugieser e alla ricercata varietà precoce del pinot nero frühburgunder, copre oltre l’80% dei circa 550 ettari vitati.

Una regione dunque rossista che mi è venuta voglia di approfondire dopo il sorprendente assaggio di questo vino di Jean Stodden.

Ahr Spätburgunder 2019 – Jean Stodden

Di un colore rubino chiarissimo, il vino si dipana tra note di melograno e ribes, qualche spezia mai prevaricante (incenso e pepe verde), ma anche scorza d’arancia e roccia.

Bocca agile e saporita, si sviluppa con grande dinamica e tensione grazie ad un’acidità rinfrescante ma perfettamente integrata nel corpo del vino che, pur non essendo esile, risulta piuttosto snello.

La chiusura è su ritorni di frutta acidula (ribes), spezie e liquirizia.

Plus: spätburgunder di grande interesse per Jean Stodden, uno dei più importanti interpreti dell’Ahr. Il vino in questione, pur essendo un vino “di ingresso” della gamma aziendale, mette in luce grandi qualità del produttore quali il sapiente uso del legno e la capacità di ottenere vini scorrevoli e facili da bere che però non rinunciano all’aspirazione di proporre un grande pinot nero anche lontano dalla Borgogna.

Diego Mutarelli
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4 vini tra Italia, Francia e Spagna

La piccola redazione di Vinocondiviso si è riunita per il consueto scambio di idee, opinioni e, naturalmente, per degustare qualche vino … rispettando rigorosamente il coprifuoco!

In questo post riportiamo qualche impressione dei vini bevuti che sono stati ottimamente accompagnati da riso giallo al salto, fagottini di radicchio, taleggio e noci, sformato di cavolfiore con crema di patate, formaggi.

Champagne Blanc de Blancs 2004 -Diebolt-Vallois

Avevamo già parlato di uno champagne di Diebolt-Vallois e, anche questa volta, abbiamo deciso di restare sullo stesso produttore, cambiando però etichetta e annata.

Lo champagne che abbiamo nel calice – di cui non conosciamo data sboccatura – si presenta di giallo dorato. L’olfatto è sulla mela golden ed il cedro, immancabile la nota minerale (calcare), poi un tocco di champignon. Bocca energica, viva e agrumata. Champagne che unisce potenza e bevibilità, freschezza ed eleganza.

Cavallo di razza.

Rías Baixas Albariño Selección de Añada 2010 – Pazo Señorans

Anche in Galizia eravamo già stati di recente.

Ci torniamo volentieri con questo albariño che è di un giallo dorato molto luminoso, si intuisce che è passato qualche anno dall’imbottigliamento, anche grazie ad un olfatto decisamente stratificato e disteso: nota iodata molto netta in ingresso, poi alghe, cera e propoli, a chiudere aghi di pino. Bocca acida ma di splendida maturità, il vino è evoluto benissimo, il sorso risulta sapido e profondo.

Colpo di fulmine.

Pommard Vieilles Vignes 2018 – Domaine Joseph Voillot

É invece colpevolmente passato parecchio tempo dall’ultima volta che abbiamo scritto del Domaine Joseph Voillot!

Degustiamo con grande piacere il suo Pommard che benché giovanissimo troviamo già in splendida forma. Naso che affianca al fruttino rosso di bosco, sfumature floreali e speziate (cannella), accompagnate da una perentoria mineralità (grafite). L’acidità ficcante e la sapidità in chiusura di bocca accompagnano il vino in un finale lungo e verticale. Vino che potrà dire ancora molto con ulteriore evoluzione in bottiglia.

Seducente.

Pinot Nero 2017 – Podere della Civettaja

Non si vive di sola Borgogna se si ama il pinot nero, e Podere della Civettaja ce lo aveva già dimostrato. Se il 2016 era un pinot nero vivace e mediterraneo, questo 2017 pur non discostandosi da quel modello risente un po’ dell’annata meno favorevole.

È comunque un vino di grande interesse: lamponi in confettura, hashish, incenso, spezie, effluvi mediterranei al naso che risulta accattivante e mobile. Il sorso in questa fase è tutto sul frutto, di bella dolcezza, con acidità e sale ben presenti. Chiusura succosa e pulita. Non cosi stratificato ma di grande bevibilità.

Impavido.

Diego Mutarelli
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Il pinot nero oltre i confini della Borgogna

Alcuni vitigni nascono in un preciso punto del mondo e lì rimangono per sempre, senza spostarsi. In altri casi, certe varietà abbandonano le origini per intraprendere un lungo viaggio che li spingerà ad adattarsi in angoli diversi del pianeta, senza mutare tuttavia la loro genetica. Latitudini diverse, suoli imparagonabili, stagioni opposte, pendenze, pianure, laghi, boschi, vento, mare. Non esiste una condizione pedoclimatica identica ad un’altra, eppure quella piccola vite riuscirà a fare di quel paesaggio la sua casa, e il vino che ne deriva avrà impresso il segno indelebile di quel preciso territorio.

Capita spesso, tuttavia, che una volta davanti al bicchiere, si giunga alla conclusione che le performance migliori provengano dai terroir d’origine. A volte i produttori si ostinano a far crescere un’uva in un luogo non esattamente vocato, ma sedotti da una sorta di “terra promessa” cedono al tentativo di replicare un territorio e una tradizione che non gli appartengono.

Questo avviene innumerevoli volte quando si parla di pinot nero.

Inizierò dicendo che dovremmo smettere di paragonare le espressioni di pinot nero di Borgogna a quelle di altri territori.

Non serve che io dica che crescere il pinot nero sia un’impresa alquanto audace da compiere: è uno dei vitigni più ostici e sensibili da domare perché soffre il troppo caldo, l’umidità, le estati eccessivamente secche, è soggetto a muffe e funghi, se viene vendemmiato presto risulta verde e amaro e se raccolto troppo tardi l’uva potrebbe risultare molle. Le caratteristiche pedoclimatiche del terroir devono essere incastrate alla perfezione per poter dar vita ad un grande vino, infatti già nel Medioevo i monaci cistercensi furono spinti a fare una mappatura dei loro vigneti, classificando i terroir migliori che poi sarebbero diventati Grand Cru e Premier Cru.

Quando si tratta di pinot nero, ogni minima peculiarità del territorio ha un’incidenza determinante nel bicchiere, e addirittura verrebbe da chiedersi se i profumi varietali siano rilevanti quanto l’espressione del terroir. Probabilmente la risposta a questa domanda rappresenta già un primo motivo per disincentivare i tentativi di imitazione della Borgogna.

Inoltre, non dimentichiamoci che c’è una bella differenza tra imitazione e ispirazione: la prima porta al concepimento di brutte copie, di caricature, mentre la seconda spinge a interpretare al meglio ciò che realmente si possiede, senza tentare di cavare sangue da una rapa.

Uno dei pochi esempi in cui l’ispirazione ha avuto la meglio nella realizzazione di un grande pinot nero italiano è sicuramente Podere della Civettaja. Siamo in Toscana, in Casentino, le cui altitudini e i terreni calcarei e ricchi di scheletro consentono la coltivazione di questo vitigno. Ho assaggiato recentemente la 2016 e, complice sia l’annata eccezionale sia un po’ di tempo di affinamento in bottiglia, ho avuto il piacere di bere un ottimo vino.

Pinot Nero 2016 – Podere della Civettaja

Rosso rubino di media intensità, al naso si ritrova uno stile più sul riduttivo che sull’ossidativo, con sentori di frutta freschissima, ciliegia, ribes, lampone, rosa canina, poi spicca una nota minerale di pietra bagnata, sottobosco, pepe bianco. In bocca colpisce per la sua freschezza autentica e schietta, che fa venire voglia di berlo e riberlo, oltre alla sua lunga persistenza lievemente sapida. Nessun paragone con la Borgogna: questo vino è autenticamente italiano, finalmente.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi

Noir o nero, purché sia pinot

Oggi ti racconto di una degustazione tra amici il cui tema era, genericamente, “pinot noir o pinot nero”. La supremazia francese per il vitigno in questione non era in discussione, ma è sempre stimolante mettersi in gioco bevendo alla cieca per apprezzare al meglio le sfumature del pinot nero.

Ecco cosa abbiamo bevuto:

Oltrepò Pavese Pinot Nero “Giorgio Odero” 2012 – Frecciarossa

Azienda storica e rappresentativa dell’Oltrepò, anche Frecciarossa si cimenta con il pinot nero. Abbiamo assaggiato il Giorgio Odero 2012 che si presenta al naso su toni di frutta rossa ben matura, un cenno vegetale e poi, dopo qualche minuto di assestamento, arrivano anche le erbe aromatiche. L’ingresso in bocca è piuttosto caldo, lo sviluppo è in ampiezza anche se arriva alla chiusura abbastanza rapidamente. La bocca resta appena amara.

Plus: vino interessante ed espressivo, ha tenuto molto bene nel bicchiere
Minus: un guizzo acido in più avrebbe di certo aiutato, così come una maggior articolazione al sorso.

Südtirol Alto Adige Pinot Nero “Villa Nigra” 2015 – Colterenzio

Colterenzio è una realtà cooperativa da più di 1,5 milioni di bottiglie. Tra le oltre 30 etichette in gamma anche la selezione di pinot nero Villa Nigra. Il vino ha un naso un po’ sfocato che si dipana tra note di caramella al lampone, qualche tocco boschivo e uno straccio bagnato che va e viene. Ma soprattutto la bocca delude: stretta, senza progressione e corta.

Minus: vino poco fine al naso e cortino in bocca, da rivedere.

Vougeot 1er cru “Les Cras” 2015 – Domaine Philipp

A memoria non ricordavo un Les Cras a Vougeot, ma il libro di Armando Castagno “Borgogna, Le vigne della Côte d’Or” viene in aiuto in qualche modo giustificando la dimenticanza. In Côte d’Or sono almeno 15 le vigne che portano questo nome (che deriva da crai e fa riferimento al suolo formato da sassi bianchi). L’affinamento in legno copre un po’ il primo naso che è speziato, poi esce il fruttino rosso, un tocco di incenso e china, la scorza d’agrumi… Bocca soddisfacente come presenza e sviluppo, è forse un po’ calda ma saporita e pulita in chiusura.

Plus: vino non straordinario ma sfaccettato e saporito
Minus: legno ancora ben presente sia al naso sia in bocca che non risulta ancora del tutto equilibrata.

Bourgogne 2005 – Domaine Robert Chevillon

Chevillon ha bellissime e vecchie vigne tra i migliori premiers crus di Nuits-Saint-Georges. Questo Bourgogne 2005 ha un naso appena evoluto ma ancora molto affascinante: spezie, sostanze psicotrope, ribes… La bocca è stupendamente risolta, saporita e sapida.

Plus: vino di grande fascino, perfetto nella sua semplicità. All’apice.

Bonnes Mares Grand Cru 2009 – Domaine Bart

Ed eccolo il grand cru della serata che si esprime con un naso limpido, luminoso e vivace di spezie e fruttini rossi che richiamano immediatamente la Borgogna. La bocca ha un’acidità ben presenta che accompagna lo sviluppo del vino che risulta succoso. Chiusura sapida e molto persistente.

Plus: vino che coniuga alla perfezione eleganza e complessità, facilità di beva e sinuosità.

Gevrey-Chambertin 1er cru “Les Goulots” 2004 – Domaine Fourrier

Annata davvero difficile la 2004 in Borgogna. I pinot noir ne risultano spesso vegetali con note olfattive che in casi non infrequenti arrivano persino a richiamare l’olezzo delle cimici… Domaine Fourrier se la cava invece piuttosto bene e ci regala un naso di frutta chiara, accompagnato da un tocco vegetale appena accennato, poi spezie e rose. Il sorso è “rilassato”, in questa annata l’evoluzione comincia a sentirsi anche se, pur risolta, la bocca è elegante e piacevolmente sapida.

Plus: considerando l’annata in questione non si poteva chiedere di più.

Diego Mutarelli
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