Fiorano: quando il mito si fa esperienza

Iniziamo questo breve resoconto sulla serata “Il mito di Fiorano: storia, talento, cultura, memoria”, tenutasi in AIS Milano il 17 febbraio anticipando subito che tutti i nove vini, dalla 2015 appena messa in commercio fino alla 1987, hanno sorpreso la platea per la loro disarmante freschezza e la grande coerenza stilistica.

È stata una serata fortemente voluta dal relatore, Armando Castagno, particolarmente legato alla storia di Fiorano e  alla tenuta nel cuore dell’Appia Antica, di cui parlò già venti anni fa in un articolo uscito sulla famosa rivista Porthos, raccontando di un vino leggendario, il Fiorano Rosso, non più in produzione. Di contro, proprio mentre lui, con rammarico, scriveva ciò, Fiorano stava rinascendo grazie al Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi che aveva ereditato la tenuta e aveva deciso di riprendere l’attività vitivinicola.

Era il 2003 e la prima bottiglia del “nuovo” Fiorano rosso da lì a qualche anno sarebbe uscita sul mercato;  Armando ne tornerà a parlare non più con rammarico ma con vistoso entusiasmo nell’articolo “Fiorano, memorie e girandole”, uscito a settembre 2014 sulla rivista Vitae di AIS Lombardia. Leggendolo scoprirete che Alberico Boncompagni Ludovisi, principe di Venosa, ereditata dal padre la tenuta di Fiorano nel 1946, decide di impiantarvi cabernet sauvignon e merlot, per ottenere, negli anni Cinquanta, la prima bottiglia italiana da taglio bordolese, affidandosi per la gestione agronomica ed enologica a Giuseppe Palieri, pioniere della coltivazione biologica.

Sorpresi vero? Anche noi, ma vi sorprenderà ancora di più sapere che, una volta mancato Giuseppe Paglieri, a sostituirlo fu nientemeno che Tancredi Biondi Santi!

Torniamo al presente, continuando a stupirci: abbiamo volutamente virgolettato l’aggettivo nuovo accanto al Fiorano rosso che dal 2003 ha ripreso ad esistere in quanto nulla è cambiato rispetto alla fiabesca e antesignana avventura del Principe Alberico Boncompagni Ludovisi: immutati i vitigni (cabernet sauvignon e merlot), immutate le tecniche in vigna (a conduzione biologica), la vinificazione (in tini di legno) e l’affinamento (in botti  da 10 ettolitri).

Il classico che si fa contemporaneo; il mito che torna a esistere.

È stata una serata in cui inevitabile è stato il rimando all’arte, classica e contemporanea: non poteva essere altrimenti visto che sul palco oltre che Armando Castagno, (anche) storico dell’arte, era ospite l’attuale proprietario della tenuta Fiorano, Alessandrojacopo Ludovisi Boncompagni, appassionato di arte e titolare della galleria romana Gallerja Roma.

“Nonostante la mia laurea in economia, ho sempre nutrito un grande interesse per l’arte, in particolare quella classica per poi fortemente appassionarmi a quella contemporanea, una passione che è diventata lavoro, come quella di produrre vino” sintetizza il principe.

E mentre Armando citava un capolavoro della pittura trecentesca senese, “Maestà”, di Simone Martini e a seguire un grande artista contemporaneo, esponente dell’Arte Povera, Janis Kounellis, ecco che venivano pian piano serviti nove annate di Fiorano Rosso: 2015, 2013, 2012, 2009, 2003, 1993, 1990,  1988, 1987.

Le annate che abbiamo più apprezzato sono state la 2003 (la prima della nuova “era”), la 1987 e su tutte la 1988. Quello che più ci ha spiazzato, rileggendo la verticale che Armando fece nel 2014 e di cui riportò sulla rivista Vitae di AIS nell’articolo già citato, è la perfetta corrispondenza con quanto l’autore scrisse della 1988 (<<…vitale…carismatico…un tannino di splendida trama…>>) e la 1987 (<<Pur assaggiato dopo la 1988, e quindi sacrificato dal confronto ravvicinato, fa sfoggio di grazia e varietà da grande vino.>>)

Classico e contemporaneo in perfetta armonia.

Alessandra Gianelli
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Un Saint-Émilion del Friuli

Non è la prima volta che ti parlo dei vini de Le Due Terre, notevole azienda dei Colli Orientali del Friuli. Fino ad ora mi ero però concentrato principalmente sui loro vini ottenuti dai vitigni autoctoni friulani, ovvero friulano, ribolla gialla, schioppettino, refosco (vedi questo post oppure quest’altro). In questa occasione sono invece stato piacevolmente sorpreso dal merlot – vitigno considerato quasi “autoctono”, visto che è presente in Friuli dalla seconda metà del XVIII secolo – che per un attimo mi ha catapultato a Saint-Émilion!

Friuli Colli Orientali Merlot 2016 – Le Due Terre

Rosso rubino compatto il colore. Primo naso molto sul frutto, con prugna e confettura di amarene in evidenza, arrivano poi la cannella ed il cioccolato al latte, ma anche un delicato floreale rosso che esce a bicchiere fermo. Una raffinata nota balsamica completa il quadro aromatico.

Il sorso è ampio, con morbidezza fruttata in ingresso, la progressione è però profonda, per nulla “cedevole”, anzi il liquido si sviluppa con ottima dinamica e una freschezza che, pur in filigrana, supporta la trama gustativa. Il tannino è risolto e ben maturo, si avverte elegante solo a fine sorso. La chiusura è di grande persistenza su ritorni di frutta scura, sale e spezie.

Abbinamento riuscito con una fumante pasta e fagioli.

Plus: vino che non rinnega le caratteristiche varietali del merlot ma riesce a non farsene soggiogare, dunque carezzevole senza alcuna concessione alle mollezze né al vegetale, come non di rado accade in certi merlot friulani. Beva molto facile eppure il vino è tutt’altro che banale, alla cieca potrebbe essere scambiato per un raffinato vino della rive droite.

Diego Mutarelli
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Château Pape Clément, la storia di un Papa a Pessac

Per concludere il nostro breve viaggio nei territori bordolesi, dopo essere stati a Saint-Émilion e a Sauternes, abbiamo deciso di visitare la più antica tenuta di Bordeaux, nelle Graves, a Pessac: Château Pape Clément.

La prima vendemmia risale addirittura al 1252, sotto le insegne del Domaine de la Mothe. Nel 1299 il domaine era posseduto da Gaillard de Goth e suo fratello Bertrand, arcivescovo di Bordeaux, che fu raggiunto dalla notizia della sua elezione a Papa (non era neppure cardinale) mentre si trovava nella tenuta. Divenne Papa con il nome di Clemente V. Nel 1306, alla morte del fratello, il papa Clemente V divenne unico proprietario della tenuta, rinominata Château Pape Clément.

Oggi è guidata da Bernard Magrez, uomo d’affari grande appassionato di vino, proprietario di ben 40 aziende vinicole nel mondo. La mano dell’imprenditore si vede nei grandi investimenti effettuati in vigna e in cantina, ma anche nell’accoglienza gestita con professionale meticolosità. Una squadra di addetti riceve i numerosi visitatori (gruppi da 20 persone) nello shop dell’azienda. Da lì la visita, gratuita ma su prenotazione, si dipana in vigna, poi in cantina e infine nella sala degustazione.

Ecco i vini che abbiamo degustato:

Graves Rouge L’Âme de Pape Clément 2019 – Château Pape Clément

É il terzo vino dell’azienda, viene dopo ovviamente il Grand Vin (che degustiamo poco sotto) e il Clémentin rouge. Per questo vino la raccolta delle uve è meccanica, effettuata la notte per preservarne la freschezza. Fermenta e affina in inox, a parte il 10% della massa che sosta 15 mesi in barrique. Il blend è composto da merlot in maggioranza (48%) con saldo di cabernet sauvignon (35%) e cabernet franc (17%). Vino che parte su sensazioni dolci di frutta matura (cassis, more), ma anche qualche raffinata nota floreale, poi balsamico, pepe nero e legna arsa. Bocca calda e intensa, l’alcol è comunque ben gestito, tannino affusolato e chiusura di bocca con la giusta freschezza e qualche ritorno vegetale. Vino ben confezionato e di ingresso, per cui però non avrei speso in etichetta il riferimento addirittura all’anima di un Papa! (20 €)

Médoc 2016 – Château Les Grands Chênes

Assaggiamo il vino di questa azienda del Médoc, sempre di proprietà di Magrez. Ottenuto da merlot (60%) e cabernet sauvignon. Vendemmia manuale e affinamento in barrique (60% di legno nuovo) per 18 mesi. Al naso è piuttosto ricco e dolce tra note di cioccolato al latte e prugna, cannella e torrefazione, quindi cioccolatino Mon Chéri. A discapito di un naso così barocco, la bocca è invece composta, lo sviluppo soave e il tannino carezzevole, in chiusura esce la parte sapida ed un leggerissimo e piacevole grip tannico. (18 €)

Pessac-Léognan Grand Cru Classé de Graves 2016 – Château Pape Clément

Con impazienza assaggiamo il Grand Vin, di cui abbiamo ottimi ricordi in annate precedenti. È un vino a cui l’équipe di Magrez dedica la massima cura. La vendemmia è manuale e addirittura la diraspatura è effettuata a mano da decine e decine di addetti! Cabernet sauvignon (56%), merlot (40%) e cabernet franc (4%) che fanno fermentazione e macerazione di 30 giorni in botti grandi per poi passare in barrique, per metà nuove, dove il vino sosta complessivamente 18 mesi. Olfatto che parte sui fruttini sia rossi (ribes), sia neri (mirtilli), poi note più austere di sottobosco, affumicato, grafite e chiodi di garofano. Bocca di classe, volume e ampiezza che però non vanno a discapito dello sviluppo, senza spigoli, concentrazione della materia e armonia nella progressione vanno all’unisono, con tannini elegantissimi. Salata la chiusura con raffinata e lunghissima persistenza fruttata. (90 € – 150 €, a seconda dell’annata)

Pessac-Léognan Blanc Clémentin de Pape Clément 2019 – Château Pape Clément

È il second vin bianco dell’azienda, il Grand Vin bianco è molto reputato oltre che raro. Il vino è ottenuto da sauvignon blanc con sémillon e muscadelle a completare il blend. Fermenta e affina in legno, nuovo in prevalenza, con una piccola parte della massa (10%) in uovo di cemento. Naso che parte netto sugli agrumi (pompelmo, mandarino), salvia, poi qualche tocco esotico di passion fruit e pasta frolla. Sorso di grande energia, l’acidità è vivace e perfettamente integrata nella materia. Chiusura tersa e pulita, vino molto piacevole e lontano dal vecchio canone del Bordeaux blanc tutto grassezza e note boisé. (45 €)

Diego Mutarelli
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Château Valandraud: l’epopea del “vin de garage” divenuto Premier Grand Cru Classé

Una recente visita nel territorio bordolese ci ha permesso di conoscere da vicino una vera e propria leggenda del vino. Infatti, l’incredibile storia di Château Valandraud non può lasciare indifferente nessun wine addicted…

L’epopea è nota e qui la riassumiamo per sommi capi: ad inizio anni ’90 un bancario appassionato di vino, di nome Jean-Luc Thunevin, insieme alla moglie Murielle Andraud, decide di produrre un grande vino a Saint-Émilion. Parte da una parcella di poco più di mezzo ettaro e inizia a vinificare nel proprio garage. Qualche anno di esperienza in annate piuttosto difficili e poi, non appena arriva l’annata buona, la 1995, il vino viene spedito a Robert Parker che gli affibbia uno score superiore a quello di Pétrus.

Da quel momento in poi il mondo si accorse Jean-Luc Thunevin, che ispirò in tutto il globo altri viticoltori con poca vigna e molte idee: era nato il concetto di garage wine.

Da allora ad oggi di strada ne è stata percorsa molta e, nonostante il garage sia ancora ben presente e in parte utilizzato, Château Valandraud è divenuto Premier Grand Cru Classé B nel competitivo e irrequieto classement di Saint-Émilion. Questa graduatoria, a differenza dell’immutabile classement del 1855 della riva sinistra, è messa in discussione ogni 10 anni e a settembre di quest’anno sapremo se la saga di Thunevin riuscirà a completarsi, raggiungendo il vertice della gerarchia, ovvero il gradino di Premier Grand Cru Classé A.

Oggi Thunevin è un Gruppo composto da una società dedicata alla commercializzazione di vini della Rive Droite, 5 shop nell’incantevole borgo di Saint-Émilion, un hotel e differenti aziende vitivinicole oltre a Château Valandraud.

Visitare dunque questa realtà è stato un grande privilegio, non solo per farsi raccontare e in parte rivivere questa storia irripetibile e recarsi presso l’innovativa cantina appena aperta al pubblico, ma anche per assaggiare vini che nel tempo hanno subito un’evoluzione interessante pur non rinnegando lo stile e il protocollo Thunevin. Questo “bad boy” (cit. Robert Parker) fu infatti il primo ad applicare una ricetta fatta di vendemmia verde, bassi rendimenti, defogliazione, raccolta di uva perfettamente matura e cernita in vendemmia dei soli grappoli assolutamente sani. La cura maniacale in vigna è accompagnata da abbondante utilizzo di barrique nuove in affinamento.

I primi Valandraud furono vini scioccanti, estremi, ma anche innovativi, caratterizzati dal frutto denso e dolce e dalle note boisé che tanto piacevano Oltreoceano.

Ci chiedevamo: “come saranno i vini oggi?”. Non sono cambiati infatti solo i consumatori, che privilegiano vini equilibrati ed eleganti, ma anche il clima (ahinoi). La maturità del frutto non è più un problema, neppure a Bordeaux, ed oggi molti produttori proteggono le uve dal troppo irraggiamento (altro che defogliazione!).

Anticipiamo la risposta, che verrà poi meglio avvalorata dalle sintetiche note di degustazione che seguono, perché siamo stati piacevolmente sorpresi. I vini Valandraud – non solo il Grand Vin ma anche gli altri vini dello Château e delle aziende del Gruppo – sono infatti sì vini ricchi di frutto dolce, ma con dinamica ed estrema eleganza. Come i migliori vini di Saint-Émilion sono liquidi carezzevoli, morbidi, potenti ma delicati nello sviluppo. Pugno di ferro in guanto di velluto, anzi di seta.

I vini degustati

Saint-Émilion Grand Cru “Virginie de Valandraud” 2016 – Château Valandraud

Ottenuto da merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon, malbec e carmenère si presenta rosso rubino compatto e molto sul frutto maturo (prugna, lamponi), seguono interessanti note balsamiche, di legna arsa, sottobosco e cacao. Bocca soave, ampia e morbida, dal tannino sottile. Ritorni di cioccolato fondente e frutta. 20 mesi di barrique nuove.

Si tratta di un vino sensuale e accattivante, non entusiasmerà gli amanti delle sferzate acide ma risulta, nel complesso, equilibrato, elegante e gustoso. (30-40 €)

Saint-Émilion Grand Cru Clos Badon 2016 – Thunevin

Merlot e cabernet franc in parti uguali. Clos Badon è vinificato ancora nel garage da cui tutto ebbe inizio. Parte sul frutto (cassis), ma anche note più intriganti di camino spento. Bocca di ottima fusione e ampiezza, tannino ben presente ma dolce, nessuna sfacciata nota da legno. Vino di grande interesse che vale quello che costa e che promette un’interessante evoluzione in bottiglia. (40 € circa)

Pomerol 2015 – Le Clos du Beau-Père

Ci spostiamo a Pomerol, qui il merlot sale al 90%. Naso in cui si avverte di più l’affinamento in legno nuovo, con la vaniglia e il cioccolato ad accompagnare la prugna della California. La bocca è meno setosa dei due assaggi precedenti, con acidità e tannini più presenti a sostenere una materia ricca e densa. Sapido in chiusura. (40-50 €)

Saint-Émilion Grand Cru 2017 – Château Soutard-Cadet

Da una vecchia vigna di merlot di poco più di 2 ettari, al cui interno si trova anche qualche vite di cabernet franc. Naso voluttuoso di lamponi maturi, cioccolato, cuoio…intenso e concentrato al sorso, ma di grande eleganza. Ritorni di liquirizia dolce. (40 € circa)

Saint-Émilion Premier Grand Cru Classé 2016 – Château Valandraud

Eccolo qui il vino che ha reso famoso Valandraud. Maggioranza di merlot (90%) con cabernet franc e cabernet sauvignon a saldo. Sa di ciliegie, lamponi, chicco di caffè, liquirizia, mineralità scura (grafite)…sorso morbido e succoso, rotondo e ricco, con legno gestito molto bene. In chiusura un tannino fitto ma fine fornisce grip ed allungo. Persistenza infinita ma carezzevole. (oltre 200 €)

Saint-Émilion Grand Cru 2006 – Château Valandraud

100% merlot in questa annata, colore rubino che schiarisce sull’unghia a tradire una certa evoluzione, naso meno bombastico del precedente e più aristocratico: prugna disidratata, sottobosco, corteccia, spezie (cardamomo)…bocca scorrevole ma dal tannino più presente nonostante l’evoluzione maggiore in vetro (la 2006 non è stata un’annata semplice). Sapida e lunga la chiusura.

Bordeaux Blanc “Virginie de Valandraud” 2019 – Château Valandraud

L’appellation Saint-Émilion è rossista, ecco dunque che Thunevin, il bad boy, deciso a produrre un grande bianco, è costretto ad abbracciare la “semplice”  denominazione Bordeaux blanc. Ottenuto da sauvignon blanc, sémillon e sauvignon gris il vino parte su vegetali accompagnate da frutta tropicale, bocca semplice e di buona scorrevolezza. Un vino ben fatto ma non emozionante. (40 €)

Bordeaux Blanc “Virginie de Valandraud” 2014 – Château Valandraud

Più interessante questo millesimo invece, con il sauvignon a marcare meno il quadro aromatico, fatto in prevalenza da albicocca fresca e qualche fine nota vegetale. Fresco e profondo, sapido e terso.

Bordeaux Blanc 2017 – Château Valandraud

Il Grand Vin bianco ha una marcia in più in termini di eleganza e allungo. Intrigante mix di sentori vegetali, agrumati e affumicati il tutto accompagnato da spezie orientali. Ad un naso complesso e cangiante fa da contraltare una bocca acida e mobile, che si sviluppa in profondità lasciando in chiusura richiami di frutta tropicale. (60 € circa)

Diego Mutarelli
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Terre del Faet, una piccola e promettente realtà si nasconde in Collio

Ci troviamo nel cuore del Collio, a Cormòns.
E’ qui che Andrea Drius, pochi anni fa, decide di occuparsi dei due ettari – acquistati dalla famiglia e lavorati principalmente dai nonni – per iniziare a vinificare ed imbottigliare i propri vini.
Il millesimo 2012 è quello del debutto di Terre del Faet e le uve sono quelle classiche del territorio: friulano, pinot bianco, malvasia e merlot.
Andrea è un giovane con le idee ben chiare ed una gran voglia di fare, quest’ultima indispensabile in un’azienda di queste dimensioni in cui ci si deve occupare di tutto in prima persona: vigna, cantina, amministrazione, vendite…
Studi in agraria ed enologia e sensibilità hanno permesso ad Andrea Drius e a Terre del Faet di ritagliarsi in poco tempo una certa notorietà in una zona in cui certo non mancano stelle di prima grandezza.
Ad oggi gli ettari gestiti da Terre del Faet sono 4, il parco vigne è tra i 40 ed i 60 anni di età, le pratiche in vigna e cantina sono decisamente non invasive ma lontane da ogni integralismo (ogni scelta è soppesata e sperimentata senza sposare acriticamente alcun dogma).
In cantina troviamo prevalentemente contenitori di cemento, inox e qualche botte di rovere rigenerata (in particolare per il merlot e per parte del friulano).
Il mosto resta a contatto con i lieviti che vengono continuamente fatti lavorare con la massa (bâtonnage) al fine di stabilizzare, arricchire e caratterizzare il vino. La malolattica è svolta naturalmente.
I vini che ne derivano li ho trovati puliti ed espressivi, equilibrati e sapidi, con alcol sempre ben gestito. Insomma, Terre del Faet è una realtà da tenere d’occhio.
Nelle annate favorevoli le bottiglie prodotto sono circa 20.000.

Di seguito ti riporto qualche sintentica nota sui vini degustati.
Note più dettagliate nei prossimi post, quando avrò modo di bere con calma qualche vino che ho acquistato per un assaggio più approfondito.

Terre del Faet: i vini in degustazione
Terre del Faet: i vini in degustazione

Collio Pinot Bianco 2017
Colore giallo paglierino con riflessi verdognoli.
Naso di grande finezza, elegante e delicato di fiori bianchi, clorofilla, minerale soffuso e pesca.
Bocca di bella dinamica, sorso in equilibrio grazie al saporito sostegno della sapidità.
Chiusura su bei ritorni delicatamente vegetali.

Elegante

Collio Friulano 2017
Giallo paglierino e naso di roccia, mandorla amara e tocco vegetale.
Bocca piuttosto ricca ma mai strabordante, la chiusura è ammandorlata.
Vino ancora compresso, giovane e da attendere con fiducia.
Acquisirà complessità e distensione.

Promettente

Collio Malvasia 2017
Paglierino lucente il colore, l’olfatto è floreale, con anche però qualche spezia a far capolino.
La bocca è morbida e ricca ma il liquido si distende sul cavo orale accompagnato da grande sapidità.
La chiusura è di magnifica pulizia e nettezza.

Coup de cœur

Collio Bianco 2016
Vino molto interessante ottenuto da friulano e, a completamento, malvasia istriana. Naso elegante e delicato ma di grande complessità. L’anno in più di affinamento rispetto ai millesimi più recenti appena assaggiati ha fatto molto bene al vino che si è liberato di parte della sua giovanile irruenza per acquisire un carattere più compiuto e complesso. La bocca è succosa e la sapidità invita ad un nuovo sorso. Retrolfatto lievemente speziato.

Grazioso

Vino in Maremma: il nuovo che avanza (seconda puntata)

Eccoci al secondo produttore che ho visitato approfittando di una breve vacanza in Maremma. Se hai perso la prima puntata di questo resoconto la puoi trovare qui di seguito: Valdonica.

Casteani (Gavorrano)

Mario Pelosi, ingegnere e manager di lungo corso, recupera e ristruttura un’area in passato sfruttata da una società mineraria per i giacimenti di lignite e carbone presenti nel sottosuolo. Dal 2002, oltre a creare il wine resort, recupera circa 15 ettari di vigneto e oliveto.
Casteani si presenta in questo modo come una “nuova” realtà vinicola della Maremma ma con una storia agricola che affonda le radici nel XIX secolo. I vitigni messi a dimora sono principalmente sangiovese e vermentino, oltre ad alicante, merlot, syrah e viognier.
Mi presento in azienda senza molto preavviso e ciò nonostante vengo accolto dalla giovane enologa che mi accompagna per una rapida ma appassionata visita.

Molto bella la cantina, su due piani: al piano inferiore la luminosa, spaziosa e pulita zona di vinificazione ed una più raccolta area dedicata all’affinamento. Noto subito accanto a botti e barrique anche qualche anfora di terracotta.

Casteani: cantina di affinamento
Casteani: cantina di affinamento

L’azienda, pur di piccole dimensioni, produce una gamma piuttosto ampia. Di seguito ti riporto i miei assaggi che, come di abitudine, mi ripropongo di approfondire ulteriormente con le bottiglie comprate in loco per una degustazione più attenta.

Vino Spumante Brut “Piccabòn” 2016 – Casteani
Vino spumante charmat ottenuto da uve vermentino, chiamato in toscana anche Piccabòn. Il vino è piacevole e sorprendente: naso molto fine di frutta bianca, agrumi, floreale elegante; la bollicine è sottile e carezzevole. Nel complesso il vino risulta dissetante e ben fatto, giocato sulla semplicità che però non scade mai nel banale.

Maremma Toscana Sangiovese “Spirito Libero” 2015 – Casteani
Spirito Libero è la linea di Casteani prodotta senza solfiti aggiunti. In etichetta sono riportati infatti i solfiti liberi e totali presenti naturalmente nel vino dopo la fermentazione (3 mg/l di anidride solforosa libera e 6 mg/l di totale). Il vino è ottenuto con un metodo brevettato, chiamato Purovino, che si avvale dell’utilizzo dell’ozono.
Il vino che ne risulta è ben fatto, stappato da qualche ora ma decisamente pimpante, tannino ben dosato e sapidità decisa.

Monteregio di Massa Marittima “Sessanta” 2011 – Casteani
Sangiovese ed alicante per questo vino profondo e austero. Il 50% della massa affina 12 mesi in barrique di secondo e terzo passaggio, la restante parte in acciaio. L’affinamento è ultimato da ulteriori 12 mesi in vetro. Il vino risulta fruttato con l’apporto del legno ben calibrato, senza alcuna concessione dolce/amara. La persistenza è molto buona grazie ad un tannino croccante ma fine.

Non sono riuscito invece ad assaggiare, ma ho provveduto ad acquistarne una bottiglia, l’interessante vino ottenuto da affinamento in anfora di terracotta, il Maremma Toscana Syrah “Marujo”…stai sintonizzato su Vinocondiviso, non dimenticherò di parlartene non appena avrò l’occasione di degustarlo!

I profumi del vino: la fragola

Tra i profumi del vino più piacevoli e riconoscibili vi sono senz’altro i piccoli frutti rossi. Dopo averti parlato del profumo di lampone tocca al profumo di fragola.

Naturalmente sono costretto a semplificare: un conto è il fresco e goloso aroma del frutto fresco, tutt’altra cosa le fragole in confettura, ottenuta dai frutti più maturi e che sviluppano delle leggere note di caramello dovute alla cottura dello zucchero. Una cosa la fragola che vedi in foto, altra cosa le fragoline di bosco.  Eviterei inoltre di addentrarmi nelle diverse varietà del frutto…

I profumi del vino: la fragola
I profumi del vino: la fragola

Il profumo di fragola è considerato un aroma secondario e si forma, generalmente, dopo la fermentazione malolattica. E’ un aroma apprezzato dal degustatore che lo percepisce goloso ed elegante insieme; inoltre è facilmente riconoscibile.

In che vini puoi trovare l’aroma di fragola?

L’aroma di fragola si riscontra principalmente nei vini rossi o rosati provenienti da varie zone e vitigni: Bordeaux, Borgogna, molte vini italiani e anche del Nuovo Mondo.

Azzardo una mappa dei vitigni in cui si trova con più frequenza questo aroma. In Francia sicuramente non possiamo non citare il gamay, il merlot ed il pinot nero (quando questi vini non sono più giovanissimi possiamo trovare anche la confettura di fragola). Un vino in particolare che ricordo “marchiato” da una fragola netta è lo Château Rayas (grenache) oltre che i vini rosé della Provenza.

In Italia ci si può imbattere in questo sentore nei vini da uve nebbiolo (la fragola dei vini di Giacosa!), grignolino, bonarda, sangiovese, nero d’Avola…

E tu? Raccontami di qualche vino in cui ricordi di aver sentito una succosa fragola fresca!

Ronco Severo: Colli Orientali del Friuli in veste orange

Ronco Severo si trova a Prepotto (UD) nel cuore dei Colli Orientali del Friuli. Era da tempo che avrei voluto incontrare questo produttore … mi affascinava questo alfiere dei vini macerati, i cosiddetti orange wine, che non si trovava né nel Collio né nel Carso, dova la pratica della macerazione sulle bucce per i vini bianchi è senz’altro più diffusa.

Ronco Severo
Ronco Severo

Ma chi è Stefano Novello e la sua Ronco Severo? Chi è questo alieno dei Colli Orientali del Friuli? “Prima ero quello che produceva tisane e non vini, ora pare che faccia vino buono” si schermisce il produttore.

Stefano Novello fa studi di enologia e dopo varie esperienze all’Estero torna in azienda ad aiutare il padre. Gli affari andavano bene ma lui sente il bisogno di cambiare qualcosa, di dare all’azienda un’impronta diversa abbracciando il biologico e i vini cosiddetti naturali. La scelta delle macerazioni in rosso anche per i vini bianchi è stata una naturale conseguenza: “Con tutta la fatica e l’amore che dedico alle mie uve che senso avrebbe avuto buttarne via le bucce, ricche di precursori aromatici e lieviti, dopo poche ore di macerazione?”.

Da allora, siamo nel ’99, le macerazioni sono prolungate anche per i vini bianchi ed avvengono in tini troncoconici di rovere.

Stefano Novello - Ronco Severo
Stefano Novello – Ronco Severo

All’inizio non è per nulla facile: la famiglia ed i clienti non capiscono il cambio di rotta ma Stefano Novello non si arrende. E’ di quegli anni la bellissima etichetta che rappresenta la voglia del produttore di mettersi in gioco, di guardare in avanti anche correndo qualche rischio, con la curiosità e la spavalderia di un bambino che sale su una sedia alla ricerca di un nuovo e precario punto di equilibrio…

Ho avuto modo di assaggiare molti vini di Ronco Severo e di seguito ti riporto le mie impressioni. Naturalmente per una valutazione più approfondita ti do appuntamento qui su Vinocondiviso tra qualche tempo, quando avrò degustato con calma i vini che ho acquistato in azienda!

Venezia Giulia IGT Pinot Grigio 2015: colore arancio acceso e luminoso, al naso molto bello di rose e fragoline di bosco, grandissima bevibilità per un sorso fine, elegante, succoso e sapido. Non lunghissima la persistenza ma questo pinot grigio è perfettamente equilibrato con un alcol ben sotto controllo anche grazie ad una piacevole nota tannica. Delizioso.

Delle Venezie IGT Ribolla Gialla 2014: colore dorato carico, la macerazione si vede e si sente: al naso netta la mineralità ed un tocco di anice, poi mandorla, nespola, erbe aromatiche appena accennate. La bocca succosa e sapida, molto ricca ma di buona profondità. Giovanissimo.

Friuli Colli Orientali Friulano Riserva 2014: da un vigneto del 1972 di tocai, in questa annata l’uva è stata colpita da botrytis cinerea e per questo motivo non ha fatto la classica macerazione in rosso. Al naso apre con un intrigante tocco affumicato, poi frutta gialla, scorza di agrumi, bocca molto completa, sferica e sapidissima. Convincente.

Friulano Riserva 2015 (atto a diventare, campione da botte): questo friulano fa invece ben due mesi di macerazione sulle bucce. Al naso mandorla dolce, fiori bianchi, pera, bocca piuttosto alcolica ma equilibrata e sapida. Promette bene.

Tocai Friulano 2004 - Ronco Severo
Tocai Friulano 2004 – Ronco Severo

Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano 2004: colore orange dovuto sia all’evoluzione in bottiglia sia alla macerazione (sebbene non lunghissima in questa annata). Al naso erbe aromatiche, albicocca, spezie, con bocca severa acida e tannica, saporitissima e profonda. Sorprendente. 

Venezia Giulia IGT Severo Bianco 2010: un blend da friulano, chardonnay e picolit. Olfatto che si esprime sulla frutta matura di una certa dolcezza. Il vino più ampio e morbido tra quelli assaggiati.

Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2013: bellissimo naso di pepe verde e frutta a bacca nera, poi asfalto e spezie. La dinamica gustativa dettata da un tannino croccante e saporito corroborato da un’acidità molto pronunciata. Durerà in eterno. Molto molto buono!

Friuli Colli Orientali Merlot Riserva Artiûl 2013: sei mesi di fermentazione in legno grande e 3 anni di barrique per questo merlot in purezza piuttosto ambizioso: prugna, spezie, cioccolato, mirtillo, pepe, vegetale appena accennato…ha tutto per diventare un grande merlot friulano. Va solo aspettato per smaltire un tocco boisé appena invadente. Vino gustoso e di ottima beva ma anche lungo e potente. Da attendere con fiducia.

 

La Lagune: un bordeaux elegantemente femminile

Gli appassionati italiani sono piuttosto restii a bere Bordeaux. I motivi sono essenzialmente “ideologici”. Dopo i film Mondovino e Sideways – In viaggio con Jack infatti il mondo enoico è, nell’immaginario collettivo, diviso in due fazioni contrapposte:

  • i produttori di Bordeaux: dall’approccio imprenditoriale e non tipicamente contadino, dediti all’assemblaggio di più vitigni, spesso affiancati da enologi di fama e con vini in cui il cosiddetto manico, la tecnica, prenderebbe il sopravvento rispetto al terroir.
  • i produttori della Borgogna: aziende agricole familiari dall’approccio contadino, che privilegiano le vinificazioni per singole parcelle, re incontrastato è sua maestà, Pinot Noir.

Devo direi che questi preconcetti appartengono anche al sottoscritto. Se si tratta di spendere parecchie decine di euro per una bottiglia – visto che parliamo delle due più importanti denominazioni “rossiste” di Francia ed i prezzi sono decisamente alti per i vini più blasonati – normalmente mi dirigo con più facilità verso la Borgogna che verso l’Aquitania.

Ma, complice una cena francese a cui ho partecipato, stavolta ti parlo di un Bordeaux piuttosto noto: si tratta di Château La Lagune, 3e Grand Cru Classé della zona dell’Haut-Médoc.

Bordeaux: la Riva Sinistra
Bordeaux: la Riva Sinistra

Il vino è ottenuto dall’assemblaggio dei tipici vitigni del Médoc ovvero Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot. A capo degli 80 ettari dello Château vi è una donna, l’affascinante Caroline Frey, che ha deciso di convertire il domaine al biologico (per proteggere non solo l’ambiente ma anche il viticoltore, che spesso è la prima vittima dell’utilizzo della chimica in vigna).

Haut-Médoc Château La Lagune 2012
Haut-Médoc Château La Lagune 2012

Haut-Médoc Château La Lagune 2012

Il colore è quello tipico del vino bordolese ancora giovane, nessun cedimento neppure sull’unghia.

L’olfatto è decisamente leggiadro e femminile, giocato sull’eleganza e la compostezza delle sensazioni: frutti  maturi a bacca rossa, cacao, tabacco, humus, un accenno di nota balsamica (eucalipto).

La bocca è di buon volume, l’alcol gestito molto bene con progressione soave: tannino setoso e dolce, acidità presenta ma senza spigoli. La chiusura è succosa e delicatamente sapida.

90

Plus: taglio bordolese che, anche in gioventù, può essere apprezzato per l’equilibrio ed il tannino già ben fuso. L’uso del legno si indovina ma è solo una delle componenti del vino che mantiene una grande eleganza.

Minus: è un vino molto compito ma che forse, nello sforzo di trovare eleganza ed equilibrio senza rischiare alcuna sbavatura, perde qualcosa in personalità, energia ed imprevedibilità.

Vignai da Duline: la coerenza senza compromessi e senza proclami

C’è una rivoluzione silenziosa che percorre da qualche anno il Friuli vitivinicolo.

I grandi nomi degli anni ’80 e ’90 hanno perso un po’ di smalto e a rimetterci sono state le denominazioni di tutto il Friuli. Basta guardare una qualsiasi carta dei vini di un ristorante di livello per rendersi conto come nella sezione dedicata ai vini bianchi fermi, un tempo dominata dai vini dei Colli Orientali o del Collio, ora il Friuli sia un territorio decisamente sottorappresentato…

Ebbene, dagli anni 2000 in poi una gruppo eterogeneo di giovani produttori ha preso in mano il proprio futuro e sta aiutando il Friuli a costruire una nuova immagine e a intraprendere un nuovo percorso fatto di valorizzazione del territorio, riscoperta dei vitigni autoctoni, non interventismo in vigna e in cantina, riscoperta di antiche pratiche (vini macerati, lieviti autoctoni, etc.).

Vignai da Duline
Vignai da Duline

All’interno di questa avanguardia friulana occupano senz’altro un posto di rilievo Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini, gli artefici di Vignai da Duline.

Sono tornato a trovarli di recente, dopo molti anni di assenza, e mi ha fatto piacere ritrovare la stessa convinzione nei propri mezzi e la fiera fermezza, pur senza proclami, nel riaffermare le scelte “politiche” alla base del progetto.

Riscoperta di antichi biotipi di vitigni: il tocai giallo quasi estinto a favore del più produttivo tocai verde; il merlot “storico”, da vecchi cloni che danno grappoli piccoli e spargoli; il sauvignon, antico biotipo francese che nulla ha a che fare con il famigerato clone R3…

Valorizzazione della vigna: gli 8 ettari di Vignai da Duline sono in bio da oltre 30 anni. Il bosco, il terreno inerbito, le siepi, tutto è pensato per sostenere la biodiversità delle antiche vigne che Lorenzo e Federica hanno la fortuna di possedere (la maggior parte delle vigne  sono degli anni ’20 – ’40). L’originale scelta di “chioma integrale”, ovvero di non cimare le viti, è stata intrapresa per proteggere la pianta da inutili stress e per conferire ai vini maggior complessità e freschezza.

Qualche appunto sui vini che ho degustato:

Grave Friulano “La Duline” 2015: dal vigneto La Duline, vecchie vigne (anni ’20 e anni ’40) di tocai verde e tocai giallo, naso ricco e variegato di fiori gialli, un fondo speziato di grande eleganza, acidità e calore in bocca con chiusura corroborata da ottima sapidità.

Venezia Giulia IGT Malvasia Istriana “Chioma Integrale” 2015: naso molto bello, una aromaticità appena accennata che dialoga bene con una mineralità evidente, bocca fitta e dinamica con acidità, sapore e sapidità che palleggiano in scioltezza.

Colli Orientali del Friuli Chardonnay “Ronco Pitotti” 2014: dall’altro cru aziendale a nord di Manzano, il Ronco Pitotti, con vigne degli anni ’30. Questo chardonnay è un vino piuttosto ampio ma armonico e, in qualche modo, “classico”: frutta (anche secca), pasticceria ed un tocco erbaceo delineano il naso, la bocca è coerente con una certa grassezza (assenti note di legno però!) ben bilanciata dal connubio acido/sapido.

Venezia Giulia IGT “Morus Alba” 2014: un vino molto rappresentativo di Vignai da Duline. Nasce infatti dall’unione di uve provenienti dai due vigneti aziendali (La Duline e Ronco Pitotti) e di due vitigni: 60% Malvasia Istriana e 40% Sauvignon. Lo descrivo solo con due parole: sale e sassi. Vino giovanissimo che ha un grande avvenire davanti a sé.

Venezia Giulia IGT “Morus Alba” 2008: naso fantastico e vino ancora giovane e che dimostra le potenzialità di questo blend. Vegetale in apertura, tocchi di idrocarburi, fiori gialli, sassi e mare…sorso profondissimo e salato.

Venezia Giulia IGT Schioppettino “La Duline” 2015: colore rubino scarico e luminosissimo, naso di fragoline e lamponi, pepe, vegetale fine, rose rosse e peonia, bocca asciutta, verticale, agile. Grande beva.

Colli Orientali del Friuli Merlot “Ronco Pitotti” 2010 (magnum): fa parte delle selezioni di biotipi storici e prodotte solo in magnum. Grandissimo merlot: mora e mirtillo, minerale scuro, prugna fresca, violetta, balsamico…in bocca è freschissimo, fitto e profondo, sapido. Grande vino che mi sono servito ben due volte nonostante fossimo, dopo tre ore, alla fine delle chiacchiere e della bevuta.

Diego Mutarelli
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