Iniziamo questo breve resoconto sulla serata “Il mito di Fiorano: storia, talento, cultura, memoria”, tenutasi in AIS Milano il 17 febbraio anticipando subito che tutti i nove vini, dalla 2015 appena messa in commercio fino alla 1987, hanno sorpreso la platea per la loro disarmante freschezza e la grande coerenza stilistica.

È stata una serata fortemente voluta dal relatore, Armando Castagno, particolarmente legato alla storia di Fiorano e alla tenuta nel cuore dell’Appia Antica, di cui parlò già venti anni fa in un articolo uscito sulla famosa rivista Porthos, raccontando di un vino leggendario, il Fiorano Rosso, non più in produzione. Di contro, proprio mentre lui, con rammarico, scriveva ciò, Fiorano stava rinascendo grazie al Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi che aveva ereditato la tenuta e aveva deciso di riprendere l’attività vitivinicola.
Era il 2003 e la prima bottiglia del “nuovo” Fiorano rosso da lì a qualche anno sarebbe uscita sul mercato; Armando ne tornerà a parlare non più con rammarico ma con vistoso entusiasmo nell’articolo “Fiorano, memorie e girandole”, uscito a settembre 2014 sulla rivista Vitae di AIS Lombardia. Leggendolo scoprirete che Alberico Boncompagni Ludovisi, principe di Venosa, ereditata dal padre la tenuta di Fiorano nel 1946, decide di impiantarvi cabernet sauvignon e merlot, per ottenere, negli anni Cinquanta, la prima bottiglia italiana da taglio bordolese, affidandosi per la gestione agronomica ed enologica a Giuseppe Palieri, pioniere della coltivazione biologica.
Sorpresi vero? Anche noi, ma vi sorprenderà ancora di più sapere che, una volta mancato Giuseppe Paglieri, a sostituirlo fu nientemeno che Tancredi Biondi Santi!

Torniamo al presente, continuando a stupirci: abbiamo volutamente virgolettato l’aggettivo nuovo accanto al Fiorano rosso che dal 2003 ha ripreso ad esistere in quanto nulla è cambiato rispetto alla fiabesca e antesignana avventura del Principe Alberico Boncompagni Ludovisi: immutati i vitigni (cabernet sauvignon e merlot), immutate le tecniche in vigna (a conduzione biologica), la vinificazione (in tini di legno) e l’affinamento (in botti da 10 ettolitri).
Il classico che si fa contemporaneo; il mito che torna a esistere.
È stata una serata in cui inevitabile è stato il rimando all’arte, classica e contemporanea: non poteva essere altrimenti visto che sul palco oltre che Armando Castagno, (anche) storico dell’arte, era ospite l’attuale proprietario della tenuta Fiorano, Alessandrojacopo Ludovisi Boncompagni, appassionato di arte e titolare della galleria romana Gallerja Roma.
“Nonostante la mia laurea in economia, ho sempre nutrito un grande interesse per l’arte, in particolare quella classica per poi fortemente appassionarmi a quella contemporanea, una passione che è diventata lavoro, come quella di produrre vino” sintetizza il principe.
E mentre Armando citava un capolavoro della pittura trecentesca senese, “Maestà”, di Simone Martini e a seguire un grande artista contemporaneo, esponente dell’Arte Povera, Janis Kounellis, ecco che venivano pian piano serviti nove annate di Fiorano Rosso: 2015, 2013, 2012, 2009, 2003, 1993, 1990, 1988, 1987.



Le annate che abbiamo più apprezzato sono state la 2003 (la prima della nuova “era”), la 1987 e su tutte la 1988. Quello che più ci ha spiazzato, rileggendo la verticale che Armando fece nel 2014 e di cui riportò sulla rivista Vitae di AIS nell’articolo già citato, è la perfetta corrispondenza con quanto l’autore scrisse della 1988 (<<…vitale…carismatico…un tannino di splendida trama…>>) e la 1987 (<<Pur assaggiato dopo la 1988, e quindi sacrificato dal confronto ravvicinato, fa sfoggio di grazia e varietà da grande vino.>>)
Classico e contemporaneo in perfetta armonia.
Alessandra Gianelli
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