4 vini italiani degustati nel weekend

Oggi, ti racconto di 4 vini italiani – tutti ottenuti da vitigni autoctoni – degustati tra sabato e domenica.

Colli Maceratesi Ribona DOC 2020 – Podere Sabbioni

Podere Sabbioni è un’interessante realtà marchigiana della provincia di Macerata che dedica molte energie al rilancio del vitigno maceratino, più conosciuto come ribona. Il vino, che ho assaggiato ad un evento, mi è sembrato di interesse per la sua spigliatezza in un quadro di levità ed eleganza. Paglierino con riflessi oro antico il colore. Olfatto sul frutto bianco (pesca), erbe aromatiche e scorza di agrumi, anche candita. L’ingresso in bocca è guidato da una piacevole morbidezza con un’acidità che, pur senza essere prorompente, accompagna lo sviluppo verso una chiusura con ritorni di frutta bianca e sale. Vino semplice e ben fatto, accattivante e dal prezzo centrato (circa 10 €).

Venezia Giulia IGT Schioppettino “La Duline” 2018 – Vignai da Duline

In Friuli ci sono due modi quasi opposti di interpretare lo schioppettino: da una parte chi cerca potenza e morbidezze, magari grazie alla parziale surmaturazione delle uve, dall’altra chi invece predilige eleganza e serbevolezza con interpretazioni meno appariscente e più eleganti. Quest’ultima è la strada scelta da Vignai da Duline che propongono un vino ricamato e di grande beva. Colore rosso rubino chiaro. Al naso geranio, pepe verde, more di rovo e, a bicchiere fermo, un cenno di incenso. Il sorso è agile. La gradazione alcolica contenuta (12,5%) e l’acidità vivace rendono la progressione del vino dinamica e profonda. Tannini vellutati e chiusura sapida su ritorni di radice di liquirizia.

Chianti DOCG “Ati” 2019 – Podere Ortica

Podere Ortica è un’azienda biologica che si trova in provincia di Arezzo. Il vino degustato è ottenuto dal vigneto Montegonzi, posto a 550 metri sul livello del mare in cui convivono sangiovese, colorino e canaiolo. Fermentazioni spontanee in acciaio e successivo affinamento in cemento per un Chianti di grande scorrevolezza e personalità. Al naso viole, arancia, terra smossa e sangue. Bocca molto fresca e succosa, per un vino dalla gradazione alcolica contenuta (12,5%) e che risulta saporito e gustoso ma anche intenso e “fitto”.

Lazio Rosso IGT “Lago” 2020 – Podere Puellae

Azienda di recentissima costituzione di cui anche sul web si parla molto poco, questa 2020 dovrebbe essere la loro prima vendemmia. Podere Puellae si trova a pochi chilometri dal Lago di Bolsena e il vino in assaggio è ottenuto da grechetto rosso, vitigno decisamente poco diffuso. Il colore è un bel rubino chiaro, l’olfatto si articola tra pot-pourri, prugna e spezie in formazione (chiodo di garofano). Bocca di ottimo equilibrio, forse un po’ rapida nello sviluppo, ma disinvolta e vivace. In chiusura il tannino è energico e fitto, saporito e croccante. Qualche anno di bottiglia sicuramente gioveranno ad un vino che già ora è però intrigante e originale. Abbinamento d’elezione con uno spezzatino di manzo ai funghi porcini.

Diego Mutarelli
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FCO Schioppettino Riserva 2012 – Stroppolatini

Di Stroppolatini, produttore emergente dei Colli Orientali del Friuli, ne avevamo parlato già qualche tempo fa, in occasione di una nostra visita.

Ne riparliamo oggi in occasione dell’ottimo schioppettino che avevamo acquistato in quell’occasione e che abbiamo degustato con grande soddisfazione. 🙂

Friuli Colli Orientali Schioppettino Riserva 2012 – Stroppolatini

Rosso rubino con qualche riflesso granato.

Naso di grande complessità: geranio, sottobosco, frutta scura matura, effluvi balsamici e poi, ancora, timo e pepe verde. Aromaticamente il vino dosa con grande equilibrio sentori terziari dati dall’evoluzione del vino con sentori più vivaci, freschi e luminosi.

Bocca potente, rotonda e fruttata ma di buona freschezza, sapida e mobile. Il tannino è splendidamente risolto. Chiude lungo su ritorni di fiori e spezie.

Plus: vino che riesce a coniugare austerità e piacevolezza di beva, frutto e spezie. La prova dell’assaggio del giorno dopo conferma le impressioni del primo giorno con un vino che sembra ringiovanire e schiarirsi, a dimostrazione del potenziale evolutivo ancora in essere.

Diego Mutarelli
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Quant’è buono lo schioppettino di Stroppolatini

Lo schioppettino è forse il vitigno autoctono friulano a bacca nera più interessante, versatile e “moderno”. Frutto, fiori e spezie non mancano mai, in un sorso leggiadro ma non banale, in cui bevibilità e complessità sembrano aver trovato il perfetto punto di equilibrio.

Non fa eccezioni questo schioppettino di un’azienda emergente di cui abbiamo già parlato su queste pagine.

Friuli Colli Orientali Schioppettino 2015 – Stroppolatini

Rosso rubino compatto senza cedimenti.

Il vino si offre dapprima su intriganti note di ribes nero e geranio, poi in successione si susseguono pepe verde, grafite e un tocco vegetale.

In ingresso il vino è ampio, si distende nel cavo orale con un certo volume senza alcuna accelerazione verticale nello sviluppo. Le note fruttate dialogano con un tannino fitto e saporito. La progressione, senza accessi alcolici, accompagna il sorso verso una chiusura sapida e succosa, con l’acidità a fornire la profondità necessaria a prolungare la persistenza del vino.

In chiusura i ritorni sono di floreali e pepati.

Plus: vino ancora giovane e baldanzoso, di personalità, dal tannino non addomesticato e che non cede alla tentazione di accomodanti dolcezze.

Minus: in questa fase manca, se vogliamo, di una compiutezza e distensione che solo il tempo potrà donargli.

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Stroppolatini: produttore emergente nei Colli Orientali del Friuli

Oggi con piacere ti racconto di un’azienda friulana ancora poco conosciuta, ma decisamente interessante sotto molti punti di vista. Assaggiai per la prima volta i vini di Stroppolatini poco meno di un anno fa, all’evento dei 10 anni di Slow Wine che si svolgeva a Montecatini Terme.

I colleghi di Slow Wine del Friuli Venezia Giulia avevano premiato, come “Vino Quotidiano”, il Friuli Colli Orientali Friulano 2016 di Stroppolatini, un vino di una cantina che non avevo mai assaggiato. L’assaggio confermò la bontà di quel vino e la prima chiacchierata con il produttore mi convinse ad approfondire la conoscenza non appena se ne fosse presentata l’occasione.

Stroppolatini si trova nel cuore dei Colli Orientali del Friuli, a Cividale (UD), località Gagliano ed ha una storia piuttosto antica. É infatti dal 1800 che si produce vino, seppur per un consumo poco più che familiare. Solo più di recente Giuliano Stroppolatini si è dedicato con più costanza alla produzione dei vini di qualità. Da qualche vendemmia le scelte vitivinicole sono in mano al figlio Federico, che mi accompagna nella visita.

  • Vista sui Colli Orientali del Friuli
  • Stroppolatini

Visita che comincia in vigna, nella sezione più antica a ridosso della casa padronale e terrazzata nella prima metà del 1800. In vigna sono rimasti i vitigni storici di allora ovvero il friulano e il merlot. Con un bicchiere in mano e qualche bottiglia al seguito passeggiamo tra i filari inerbiti. Federico mi mostra orgoglioso alcune piante ultracentenarie a piede franco.

  • Grappolo di tocai giallo
  • Vigna ultracentenaria a piede franco di tocai

Un’opportunità straordinaria per questo giovane enologo (in realtà il pezzo di carta non è ancora arrivato) quella di vinificare uve da vigne vecchie e, soprattutto, cloni storici. Si è scelto di mantenere in vigna il tocai (friulano) giallo, totalmente diverso e decisamente più espressivo e complesso rispetto al più comune tocai verde (sauvignonasse). Ricorderai forse che ti ho già parlato di un vino ottenuto da tocai friulano giallo, quello di Vignai da Duline.

Il primo vino che degustiamo è proprio il FCO Friulano 2016, una partita non ancora imbottigliata e che presumibilmente diverrà una riserva. Il vino è particolarmente profumato, lontano anni luce dai troppi friulano poco espressivi e tutti su note verdi. Il liquido nel calice sprigiona invece profumi di fiori di campo, buccia di limone, timo, mandorla fresca e pesca bianca. La bocca è saporita ed elegante, l’alcol, pur generoso nominalmente, resta perfettamente integrato nel corpo del vino. Persistenza generosa e saporita. Un friulano decisamente convincente (altro che “vino quotidiano”!), un vino che accompagnerà perfettamente elaborati piatti di pesce o saporite minestre di legumi.

È poi la volta dell’altro friulano, ottenuto da un affinamento (18-24 mesi) in tonneaux esausti, si tratta del FCO Friulano Colle di Giano 2016. Vino che rispetto al precedente ha tutt’altro carattere, l’affinamento diverso ed il maggior dialogo con l’ossigeno forniscono un quadro più maturo ma all’interno della medesima cornice stilistica fatta di complessità ed eleganza. Olfatto di crema di limone e miele di acacia, pesca gialla e mandorla tostata. Vino che appare più pieno e carezzevole al sorso, ma di ottima dinamica e dalla chiusura pulita e sapida.

L’assaggio successivo è dedicato al sauvignon, anche in questo caso un antico clone proveniente dalla Francia che dimorava presso un viticoltore dei Colli Orientali che ne ha permesso la propagazione per selezione massale. Il FCO Sauvignon 2016 si propone con note mature di frutta tropicale e albicocca, la bocca è sorprendente, golosa, appagante ma stratificata e di ottima progressione.

Prima di passare ai rossi della casa ho l’opportunità di assaggiare in anteprima un nuovo vino, quello che diventerà la Ribolla 2018. Vino salino di vibrante acidità che sembra promettente.

Ci trasferiamo quindi nella piccola cantina storica. L’azienda sta ultimando i lavori per ampliare la cantina in uno spazio adiacente. Qui assaggiamo i rossi. Partiamo dal FCO Merlot 2015, buon vino varietale al naso e dal tannino croccante e fitto; continuiamo con il FCO Schioppettino 2015, vino squisito di pepe rosa e fiori rossi, balsamico e saporito anche grazie ad un tannino compatto ma fine. Tocca poi al FCO Refosco 2015, non ancora in commercio, che ammalia con note di lampone e viole e stempera il suo carattere vinoso grazie ad acidità e tannini che invogliano la beva.

Chiudiamo la serie di assaggi con il FCO Pignolo 2013, il vitigno su cui sempre più produttori friulani stanno scommettendo. Il vino sosta in tonneaux per almeno 36 mesi prima dell’imbottigliamento. La quantità dei tannini del vitigno, benché di ottima qualità, necessitano infatti di tempo e pazienza per essere smussati e integrarsi nella materia. Il vino che ho nel bicchiere è complesso: ampio e cangiante il naso su note di prugna, lampone, mallo di noce, cacao, mineralità scura, spezie…bocca invece ancora compressa e fitta, poderosa e piena. Le note fruttate e speziate sono ben bilanciate da un tannino vigoroso ma dalla trama sottile. Il vino ha tutte le carte in regola per evolvere e distendersi stupendamente negli anni a venire. La visita si chiude con qualche acquisto che mi permetterà assaggi più meditati e di cui, come sempre, darò il resoconto su queste pagine. Dagli assaggi dei vini, dalla vista sulle vigne e, ancor di più, dalla visione chiara che la famiglia Stroppolatini mi ha trasmesso, sono pronto a scommettere che di questa azienda sentiremo parlare ancora!

Diego Mutarelli
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Le Due Terre: quando il saper fare conta più del far sapere

Le Due Terre: cantina

Le Due Terre
Le Due Terre

Oggi ti racconto della mia visita presso Le Due Terre, azienda vinicola dei Colli Orientali del Friuli, per l’esattezza a Prepotto, territorio d’elezione dello Schioppettino.
L’azienda è orgogliosamente artigiana: da sempre poco meno di 5 ettari, vitati a schioppettino, refosco, pinot nero, merlot, ribolla gialla e friulano.
La dimensione è quella ottimale per gestire il tutto in famiglia: Flavio Basilicata e la giovane figlia Cora seguono la parte enologica, mentre Silvana Forte, vulcanica moglie di Flavio, si occupa di vendite, amministrazione e tutte le mille incombenze che un’azienda familiare deve fronteggiare.

Un nome legato al terroir
Eh sì, perché le due terre sono l’argilla e la marna che si dividono specularmente lungo i due versanti del vigneto: la parte esposta a ovest ha argilla in profondità e marna in superficie ed è dedicata ai vitigni bianchi e al delicato pinot nero.
Il versante esposto a est, con argilla in superficie e marna in profondità, è dimora ideale per gli altri vitigni rossi (schioppettino, refosco e merlot).
Anche il marchio Sacrisassi, apposto sui pluripremiati Sacrisassi Bianco e Sacrisassi Rosso, non è un semplice nome di fantasia. Deriva infatti dai resti, rinvenuti in vigna, di una chiesa votiva del 1600 e dedicata ai Re Magi.

Le Due Terre, la gamma assaggiata
Le Due Terre, la gamma assaggiata

FCO Sacrisassi Bianco 2016 – Le Due Terre
Friulano e ribolla gialla in uvaggio per una vino che all’olfatto sorprende per una certa maturità di frutto (pesca, uva passa), il tutto è però accompagnato da una splendida mineralità.
La bocca è potente e vivace nella dinamica, cosa piuttosto rara in vini bianchi di questo profilo. Qui invece il passo è sicuro, di grande personalità e con un accattivante retrolfatto di roccia.
Chiusura profonda e lunga.
Ancora giovane, ma grande vino senza alcun dubbio.

FCO Pinot Nero 2016 – Le Due Terre
Colore rubino trasparente e luminoso, naso goloso di ribes ed incenso.
Bocca tutt’altro che “passante” però…il vino non è solo beverino, ma anche stratificato e croccante, con un po’ di tannino a dar consistenza e sapore alla materia.
Chiusura pulita e sapida.
Finalmente un pinot nero italiano (da cloni francesi e tedeschi) senza eccessi di dolcezza, ma anzi elegante e salato, speziato e gustoso.

FCO Sacrisassi Rosso 2016 – Le Due Terre
Da uve schioppettino e refosco raccolte e vinificate contestualmente. Naso molto bello di frutta scura, china, floreale rosso, pepe verde…
Bocca succosa e fruttata, con un tannino ad asciugare il sorso donando nel contempo una vibrante dinamica al palato.
Gastronomico

Schioppettino 2014 - Le Due Terre
Schioppettino 2014 – Le Due Terre

FCO Schioppettino 2014 – Le Due Terre
Vino che viene prodotto solo in poche annate e che forse in futuro vedremo uscire con più continuità. Dal mio punto di vista sarebbe un delitto non uscire con costanza con un vino monovitigno, dedicato al vitigno principe di Prepotto, lo schioppettino.
Ottenuto dalle vigne più vecchie di schioppettino, dopo circa due anni in legno, affina in vetro ulteriori tre anni prima della messa in commercio (ed infatti il vino degustato non è ancora uscito sul mercato).
Bellissima materia che si dipana tra aromi di pepe, frutta rossa matura, carnose rose rosse. Bocca saporita e, come in tutta la gamma, anche qui in chiusura torna potente una grande sapidità.

Epilogo
E’ stato per me un vero piacere toccare con mano la realtà de Le Due Terre e trovare conferma di ciò che si intuisce bevendo i loro vini: vini (e azienda) dalla personalità precisa e coerente, con un’idea forte alle spalle fatta di tradizione, rispetto del territorio e serietà, senza le furbizie e i maldestri eccessi comunicativi che ultimamente si vedono nel mondo del vino.  Vini (ed azienda) che sanno investire nel lungo periodo e nella faticosa ma lungimirante ricerca di una notorietà che poggia sulla qualità, responsabilità e compostezza. A volte, il saper fare conta più del far sapere.

Diego Mutarelli
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Schioppettino 2001 – la Viarte: quando la longevità non è abbastanza

Dello schioppettino e della sua storia ho parlato spesso. Oggi ti racconto invece di uno schioppettino 2001 che ho degustato, tra l’altro, per avere conferma dell’ottima longevità del vitigno. Si tratta dello schioppettino dell’Azienda Agricola la Viarte.

Schioppettino 2001 - la Viarte
Schioppettino 2001 – la Viarte

Colli Orientali del Friuli Schioppettino 2001 – la Viarte

Il colore è ancora incredibilmente concentrato e fitto: rosso rubino con riflessi violacei.

Al naso prende la scena inizialmente la frutta molto matura: prugne e amarena. Poi però in rapida successione molto di più: cuoio, pepe, pomodori secchi, note ematiche e affumicate, rosmarino, corteccia, cioccolatino alla ciliegia.

La bocca è, in ingresso, larga e calda, ma fortunatamente non risulta né molle né dolce. La dinamica è piuttosto rapida e veicolata dall’alcol (15%) e dalla materia poderosa.

In chiusura si affaccia la sapidità ad accompagnare ritorni di confettura di amarena. Media la persistenza.

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Plus: stile di schioppettino muscolare, raccolto da uve molto mature (parzialmente appassite, chissà), 12 mesi di barrique…questo tratto stilistico, che personalmente non amo ma che altri degustatori potrebbero apprezzare ben più di me, segna inevitabilmente il vino senza però snaturarlo del tutto.
A 16 anni dalla vendemmia il vino non dà segni di cedimento, nessuna ossidazione presente e anche il bicchiere del giorno dopo risulta ancora integro.

Minus: preferisco i vini, soprattutto quando ottenuti da eleganti autoctoni italiani come lo schioppettino, che siano meno segnati dalla (ottima) tecnica di vinificazione e siano più liberi di esprimere le loro caratteristiche varietali. La surmaturazione delle uve ed il legno nuovo tendono infatti ad appiattire l’espressività del vitigno.

Ronco Severo: Colli Orientali del Friuli in veste orange

Ronco Severo si trova a Prepotto (UD) nel cuore dei Colli Orientali del Friuli. Era da tempo che avrei voluto incontrare questo produttore … mi affascinava questo alfiere dei vini macerati, i cosiddetti orange wine, che non si trovava né nel Collio né nel Carso, dova la pratica della macerazione sulle bucce per i vini bianchi è senz’altro più diffusa.

Ronco Severo
Ronco Severo

Ma chi è Stefano Novello e la sua Ronco Severo? Chi è questo alieno dei Colli Orientali del Friuli? “Prima ero quello che produceva tisane e non vini, ora pare che faccia vino buono” si schermisce il produttore.

Stefano Novello fa studi di enologia e dopo varie esperienze all’Estero torna in azienda ad aiutare il padre. Gli affari andavano bene ma lui sente il bisogno di cambiare qualcosa, di dare all’azienda un’impronta diversa abbracciando il biologico e i vini cosiddetti naturali. La scelta delle macerazioni in rosso anche per i vini bianchi è stata una naturale conseguenza: “Con tutta la fatica e l’amore che dedico alle mie uve che senso avrebbe avuto buttarne via le bucce, ricche di precursori aromatici e lieviti, dopo poche ore di macerazione?”.

Da allora, siamo nel ’99, le macerazioni sono prolungate anche per i vini bianchi ed avvengono in tini troncoconici di rovere.

Stefano Novello - Ronco Severo
Stefano Novello – Ronco Severo

All’inizio non è per nulla facile: la famiglia ed i clienti non capiscono il cambio di rotta ma Stefano Novello non si arrende. E’ di quegli anni la bellissima etichetta che rappresenta la voglia del produttore di mettersi in gioco, di guardare in avanti anche correndo qualche rischio, con la curiosità e la spavalderia di un bambino che sale su una sedia alla ricerca di un nuovo e precario punto di equilibrio…

Ho avuto modo di assaggiare molti vini di Ronco Severo e di seguito ti riporto le mie impressioni. Naturalmente per una valutazione più approfondita ti do appuntamento qui su Vinocondiviso tra qualche tempo, quando avrò degustato con calma i vini che ho acquistato in azienda!

Venezia Giulia IGT Pinot Grigio 2015: colore arancio acceso e luminoso, al naso molto bello di rose e fragoline di bosco, grandissima bevibilità per un sorso fine, elegante, succoso e sapido. Non lunghissima la persistenza ma questo pinot grigio è perfettamente equilibrato con un alcol ben sotto controllo anche grazie ad una piacevole nota tannica. Delizioso.

Delle Venezie IGT Ribolla Gialla 2014: colore dorato carico, la macerazione si vede e si sente: al naso netta la mineralità ed un tocco di anice, poi mandorla, nespola, erbe aromatiche appena accennate. La bocca succosa e sapida, molto ricca ma di buona profondità. Giovanissimo.

Friuli Colli Orientali Friulano Riserva 2014: da un vigneto del 1972 di tocai, in questa annata l’uva è stata colpita da botrytis cinerea e per questo motivo non ha fatto la classica macerazione in rosso. Al naso apre con un intrigante tocco affumicato, poi frutta gialla, scorza di agrumi, bocca molto completa, sferica e sapidissima. Convincente.

Friulano Riserva 2015 (atto a diventare, campione da botte): questo friulano fa invece ben due mesi di macerazione sulle bucce. Al naso mandorla dolce, fiori bianchi, pera, bocca piuttosto alcolica ma equilibrata e sapida. Promette bene.

Tocai Friulano 2004 - Ronco Severo
Tocai Friulano 2004 – Ronco Severo

Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano 2004: colore orange dovuto sia all’evoluzione in bottiglia sia alla macerazione (sebbene non lunghissima in questa annata). Al naso erbe aromatiche, albicocca, spezie, con bocca severa acida e tannica, saporitissima e profonda. Sorprendente. 

Venezia Giulia IGT Severo Bianco 2010: un blend da friulano, chardonnay e picolit. Olfatto che si esprime sulla frutta matura di una certa dolcezza. Il vino più ampio e morbido tra quelli assaggiati.

Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2013: bellissimo naso di pepe verde e frutta a bacca nera, poi asfalto e spezie. La dinamica gustativa dettata da un tannino croccante e saporito corroborato da un’acidità molto pronunciata. Durerà in eterno. Molto molto buono!

Friuli Colli Orientali Merlot Riserva Artiûl 2013: sei mesi di fermentazione in legno grande e 3 anni di barrique per questo merlot in purezza piuttosto ambizioso: prugna, spezie, cioccolato, mirtillo, pepe, vegetale appena accennato…ha tutto per diventare un grande merlot friulano. Va solo aspettato per smaltire un tocco boisé appena invadente. Vino gustoso e di ottima beva ma anche lungo e potente. Da attendere con fiducia.

 

Un altro schioppettino convincente, quello di Vignai da Duline

Eh sì, ti parlo spesso di schioppettino. L’intervista a Ronchi di Cialla prima, il resoconto della mia visita presso Vignai da Duline poi, più qualche altro assaggio sparso qua e là.

Oggi ti racconto dello schioppettino di Vignai da Duline già degustato qualche tempo fa nel corso della visita presso il produttore e riassaggiato con calma ora.

Schioppettino "La Duline" 2015 - Vignai da Duline
Schioppettino “La Duline” 2015 – Vignai da Duline

Venezia Giulia IGT Schioppettino “La Duline” 2015 – Vignai da Duline

Bel coloro rubino scarico, trasparente, vivo e luminoso. L’olfatto è giocato sui fruttini rossi di bosco non troppo maturi (ribes, lamponi), la spezia è presente con un un pepe delicato, c’è la rosa rossa fresca, la cipria e un tocco vegetale.

La bocca conferma la finezza percepita al naso, si tratta di un vino misurato ma succoso nella sua verticalità: l’acidità è affilata e lo sviluppo del sapore è profondo. Tannino appena accennato ma presente in sottofondo a supporto di una sapidità fuori dal comune. I 12,5% di titolo alcolometrico non ingannino: il vino non è così esile come sembra ad un primo assaggio, anzi si impossessa del cavo orale e non lo molla più.

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Vino ben lontano da alcuni schioppettino muscolari e polposi ottenuti da uve surmature. Il passaggio in legno non segna né il naso né il sorso ed il vino resta molto gourmand affermando una sua propria personalità.

 

Vignai da Duline: la coerenza senza compromessi e senza proclami

C’è una rivoluzione silenziosa che percorre da qualche anno il Friuli vitivinicolo.

I grandi nomi degli anni ’80 e ’90 hanno perso un po’ di smalto e a rimetterci sono state le denominazioni di tutto il Friuli. Basta guardare una qualsiasi carta dei vini di un ristorante di livello per rendersi conto come nella sezione dedicata ai vini bianchi fermi, un tempo dominata dai vini dei Colli Orientali o del Collio, ora il Friuli sia un territorio decisamente sottorappresentato…

Ebbene, dagli anni 2000 in poi una gruppo eterogeneo di giovani produttori ha preso in mano il proprio futuro e sta aiutando il Friuli a costruire una nuova immagine e a intraprendere un nuovo percorso fatto di valorizzazione del territorio, riscoperta dei vitigni autoctoni, non interventismo in vigna e in cantina, riscoperta di antiche pratiche (vini macerati, lieviti autoctoni, etc.).

Vignai da Duline
Vignai da Duline

All’interno di questa avanguardia friulana occupano senz’altro un posto di rilievo Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini, gli artefici di Vignai da Duline.

Sono tornato a trovarli di recente, dopo molti anni di assenza, e mi ha fatto piacere ritrovare la stessa convinzione nei propri mezzi e la fiera fermezza, pur senza proclami, nel riaffermare le scelte “politiche” alla base del progetto.

Riscoperta di antichi biotipi di vitigni: il tocai giallo quasi estinto a favore del più produttivo tocai verde; il merlot “storico”, da vecchi cloni che danno grappoli piccoli e spargoli; il sauvignon, antico biotipo francese che nulla ha a che fare con il famigerato clone R3…

Valorizzazione della vigna: gli 8 ettari di Vignai da Duline sono in bio da oltre 30 anni. Il bosco, il terreno inerbito, le siepi, tutto è pensato per sostenere la biodiversità delle antiche vigne che Lorenzo e Federica hanno la fortuna di possedere (la maggior parte delle vigne  sono degli anni ’20 – ’40). L’originale scelta di “chioma integrale”, ovvero di non cimare le viti, è stata intrapresa per proteggere la pianta da inutili stress e per conferire ai vini maggior complessità e freschezza.

Qualche appunto sui vini che ho degustato:

Grave Friulano “La Duline” 2015: dal vigneto La Duline, vecchie vigne (anni ’20 e anni ’40) di tocai verde e tocai giallo, naso ricco e variegato di fiori gialli, un fondo speziato di grande eleganza, acidità e calore in bocca con chiusura corroborata da ottima sapidità.

Venezia Giulia IGT Malvasia Istriana “Chioma Integrale” 2015: naso molto bello, una aromaticità appena accennata che dialoga bene con una mineralità evidente, bocca fitta e dinamica con acidità, sapore e sapidità che palleggiano in scioltezza.

Colli Orientali del Friuli Chardonnay “Ronco Pitotti” 2014: dall’altro cru aziendale a nord di Manzano, il Ronco Pitotti, con vigne degli anni ’30. Questo chardonnay è un vino piuttosto ampio ma armonico e, in qualche modo, “classico”: frutta (anche secca), pasticceria ed un tocco erbaceo delineano il naso, la bocca è coerente con una certa grassezza (assenti note di legno però!) ben bilanciata dal connubio acido/sapido.

Venezia Giulia IGT “Morus Alba” 2014: un vino molto rappresentativo di Vignai da Duline. Nasce infatti dall’unione di uve provenienti dai due vigneti aziendali (La Duline e Ronco Pitotti) e di due vitigni: 60% Malvasia Istriana e 40% Sauvignon. Lo descrivo solo con due parole: sale e sassi. Vino giovanissimo che ha un grande avvenire davanti a sé.

Venezia Giulia IGT “Morus Alba” 2008: naso fantastico e vino ancora giovane e che dimostra le potenzialità di questo blend. Vegetale in apertura, tocchi di idrocarburi, fiori gialli, sassi e mare…sorso profondissimo e salato.

Venezia Giulia IGT Schioppettino “La Duline” 2015: colore rubino scarico e luminosissimo, naso di fragoline e lamponi, pepe, vegetale fine, rose rosse e peonia, bocca asciutta, verticale, agile. Grande beva.

Colli Orientali del Friuli Merlot “Ronco Pitotti” 2010 (magnum): fa parte delle selezioni di biotipi storici e prodotte solo in magnum. Grandissimo merlot: mora e mirtillo, minerale scuro, prugna fresca, violetta, balsamico…in bocca è freschissimo, fitto e profondo, sapido. Grande vino che mi sono servito ben due volte nonostante fossimo, dopo tre ore, alla fine delle chiacchiere e della bevuta.

Diego Mutarelli
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Intervista a Ronchi di Cialla: passato e futuro dello schioppettino. Veronelli, Soldati, Brera e la famiglia Nonino…

Ti ho già parlato, qualche post fa, dello schioppettino e della sua incredibile storia. Per approfondire la tematica ho deciso di chiedere aiuto a chi ha contribuito, in modo decisivo, alla salvaguardia e alla rinascita dello splendido vitigno autoctono friulano: Ronchi di Cialla.

Schioppettino Ronchi di Cialla
Schioppettino Ronchi di Cialla

Ringrazio Ivan Rapuzzi, cotitolare e responsabile agronomico di Ronchi di Cialla, per il tempo che mi ha dedicato per rispondere senza remore ad alcune mie domande.

Ma ora bando alla ciance, lasciamo spazio all’intervista! Se hai qualche ulteriore spunto o domanda usa i commenti, spero e credo che Ivan Rapuzzi possa soddisfare ulteriori curiosità…

Ronchi di Cialla è nota agli appassionati per il salvataggio dello schioppettino da estinzione quasi certa.  Era il 1970. Ci racconta come andò esattamente e cosa spinse i suoi genitori a puntare molto su questo vitigno all’epoca poco considerato?

Lo schioppettino ebbe nel Medioevo un periodo importante e di notorietà. Storicamente la varietà era coltivata in pochissimi Km2, a cavallo tra la Valle di Cialla e Albana. Detta localizzazione era dovuta al fatto che al di fuori della sua zona tipica lo schioppettino, pur producendo un vino ottimo, perdeva la sua tipicità. Questa rarità fu per lo schioppettino la sua fortuna e la sua maledizione nello stesso tempo. Infatti quando arrivò la fillossera a metà XIX secolo lo schioppettino non potè essere salvato in quanto il parassita colpì contemporaneamente la totalità della zona di produzione. Il periodo post-filloserica fu segnato da strategie ampelografiche quantomeno miopi: fu favorita la sostituzione delle varietà autoctone con quelle internazionali più produttive perdendo un patrimonio ampelografico enorme! Successivamente i due conflitti mondiali portarono altri 50 anni di abbandono e distruzione.

Quando la mia famiglia nel 1970 decise coraggiosamente di recuperare la viticoltura in Cialla, sapeva dell’esistenza dello schioppettino da vecchi documenti (mio padre era bibliofilo e tutt’oggi possediamo una biblioteca importante da lui ereditata di testi friulani dal ‘600 in poi focalizzati sull’agronomia) e dalla memoria delle persone più anziane della valle. Non si arresero e, con l’aiuto dell’allora Sindaco di Prepotto Bernardo Bruno, dopo due anni di serrate ricerche riuscirono a individuare e recuperare in Cialla e nelle zone limitrofe circa 60 ceppi superstiti. Da queste viti “madre” furono raccolti i tralci e vennero allevate nuove viti di schioppettino. Nel 1973 finalmente venne messo a dimora un impianto di 2,5ha di schioppettino (ove è tuttora conservata la totalità della biodiversità superstite dello schioppettino). A quell’epoca lo schioppettino non era però inserito tra le varietà autorizzate e quindi l’impianto era da considerarsi abusivo e fuori legge, pertanto sarebbe stato da espiantare con contestuale pagamento di un’ammenda molto cospicua. A questo punto intervenne la fortuna ad aiutare lo schioppettino, era il 1975 e i destini della nostra famiglia si intrecciarono con quelli della famiglia Nonino che proprio in quell’anno stava istituendo la prima edizione del premio Risit d’Aur. La famiglia Nonino ebbe la lungimiranza di voler premiare la mia famiglia per aver salvato questo prezioso vitigno. Nella commissione del premio erano presenti Luigi Veronelli, Mario Soldati, Gianni Brera – che si innamorarono dello schioppettino e divennero carissimi amici di famiglia – e anche i rappresentanti delle Istituzioni che avviarono le procedure burocratiche per il riconoscimento dello schioppettino tra le varietà autorizzate.

Le prime prove di vinificazione suggerirono ai miei genitori di trovarsi di fronte ad una varietà dalle grandi potenzialità, di grande eleganza ed equilibrio…ricordava i vini della Borgogna e fu così che decisero di vinificarlo utilizzando la barrique sin dal prima vendemmia (1977). Lo schioppettino è stato così il secondo vino italiano ad essere elevato in barrique dopo il Tignanello di Antinori alcuni anni prima.

Sin dalla prima vendemmia del 1977 venne costituito nelle nostre cantine uno stoccaggio di parte della bottiglie prodotte. Oggi abbiamo la fortuna di poter commercializzare verticali di vini dolci, bianchi e rossi dall’annata 1977. Vantiamo uno stoccaggio, credo unico in Italia, di circa 50.000 bottiglie storiche.

Parlare oggi di riscoperta dei vitigni autoctoni fa un po’ ridere…ma non sono lontani gli anni in cui gli agronomi, gli enologi ed i vari esperti del vino spingevano i “vitigni migliorativi”. Fin dagli anni ’70 Ronchi di Cialla ha puntato nelle varietà friulane: verduzzo, picolit, ribolla gialla, schioppettino, refosco dal peduncolo rosso. Da molti decenni, a quei tempi, nei Colli Orientali del Friuli spadroneggiavano le varietà bordolesi.

La scelta di allevare esclusivamente vitigni autoctoni è stata quindi una scelta consapevole e  controcorrente o l’avete vissuta in modo naturale?

Ambedue le cose: una scelta logica (e pertanto consapevole) e una sincera convinzione nel credere veramente nelle potenzialità della nostra terra in modo naturale. D’altronde le notizie documentate della coltivazione della vite in Friuli risalgono a 2 millenni fa (Plinio il Vecchio) e probabilmente sono ancora più antiche mentre le varietà bordolesi furono introdotte soltanto 150 anni fa!

Qualche riga per descrivere i vitigni schioppettino, il refosco e il picolit.

Vitigni belli, selvaggi, difficili ma se trattati con cura e attenzione capaci di dare emozioni e non semplicemente del vino.

Mi sembra di poter dire che Ronchi di Cialla sia un’azienda in cui innovazione e tradizione convivono da sempre. Per quanto riguarda l’innovazione siete stati i precursori in Italia nell’utilizzo della barrique, nelle pratiche di ricolmatura alla presenza di un notaio, i primi monopole  in Italia (della sottozona Cialla).

Cosa bolle in pentola per il futuro?

Non abbiamo mai perso il vizio di confrontarci con noi stessi, anzi. Da alcuni anni in particolare mi sono interessato al rapporto che le nostre varietà hanno con l’ambiente, la vigna deve essere interpretata come un tutt’uno con la terra, l’acqua, l’aria e le altre specie viventi con le quali condivide il suo spazio. Sono per passione e formazione entomologo e l’approccio naturale che riservo alla vigna è quello discreto e attento di un osservatore. Le nostre scelte agronomiche sono oramai da molti anni rivolte al minimo impatto ambientale e da due anni abbiamo ottenuto (tra le pochissime aziende vitivinicole italiane) la certificazione di azienda Biodiversity Friend. Siamo orgogliosi di annoverare la presenza nella nostra valle di Cialla di 4 su 5 specie di coleotteri catalogati CITES (convenzione per proteggere le specie più vulnerabili ed a più alto rischio di estinzione); la quinta specie non e’ stata trovata in Cialla semplicemente perché naturalmente non presente nei nostri ambienti!

Penso che per le aziende artigianali italiane del vino sia molto importante trovare un equilibrio tra il supporto tecnico che garantisce l’enologo e la personalità del proprio vino. I tema è di farsi affiancare dal punto di vista enologico senza però perdere il controllo dei propri vini, che debbono nascere dal terroir e dalla sensibilità del viticoltore. E’ d’accordo? Quali le vostre scelte in proposito?

Noi abbiamo deciso di fare del vino un “affare di famiglia”, quindi ce la giochiamo tra di noi, senza alibi. Se il vino è buono è merito delle nostre vigne e del nostro lavoro altrimenti ce ne prendiamo la responsabilità.

In Italia, non solo nel mondo del vino, è sempre difficile “fare sistema”. L’Associazione dei Produttori Schioppettino di Prepotto ha sicuramente contribuito in tempi recenti ad aumentare la notorietà dello Schioppettino. Voi correte da soli, essendo monopole di Cialla, anche se tutti insieme partecipate al Consorzio dei Colli Orientali del Friuli. Vede delle sinergie che in futuro potrebbero essere sfruttate meglio, magari grazie alla leadership di aziende storiche come Ronchi di Cialla?

Auspico e vedo con grande favore il fare squadra, indispensabile per affrontare la comunicazione ed il mercato. Però piuttosto che aziende leader di riferimento vedo con più favore il perseguire tutti assieme degli obbiettivi (anche tecnici) semplici e concreti, facilmente raggiungibili. Ad esempio mi piacerebbe, restando sullo schioppettino, poterlo identificare con la sua naturale eleganza e finezza, rinunciando alle estremizzazioni di appassimenti e surmaturazioni. Credo che sia controproducente proporre ai clienti schioppettini superconcentrati e muscolari più simili ad un Amarone affiancati ad altri eleganti e raffinati.

Diego Mutarelli
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