Non esiste un vero e proprio ordine logico con il quale organizzo le visite in cantina o la perlustrazione di un territorio. È una sorta di chiamata, una pulsione, e così nell’ultimo periodo è arrivata una forte attrazione per l’Alto Piemonte. La scelta della cantina di Francesca Castaldi a Briona (NO) è stata una naturale conseguenza. Una piccola realtà artigianale, in cui mi ero imbattuta in una fiera. In quell’occasione avevo fatto un veloce assaggio, ma quel piccolo sorso mi era rimasto in testa e sentivo il desiderio di approfondire.
Quello che proprio non immaginavo è che una visita in cantina si potesse trasformare in un inno alla femminilità. L’impronta del “essere donna” di Francesca è potente, dalla vigna alla cantina, inscindibile dal risultato finale che possiamo degustare nel suo vino. Cogliamo questa essenza anche grazie al fatto di essere tutte donne in visita: sono infatti accompagnata da Alessia e Roberta, due amiche con cui condivido la stessa grande passione e voglia di chiacchiere.
Francesca ci accoglie davanti al portone della sua cantina; una figura agile e snella, stretta di mano vigorosa ed un’indole dolce di cui ci privilegerà a piccoli sorsi durate la nostra permanenza. È un sabato di ottobre tiepido e soleggiato, appena entriamo in cantina veniamo investite dal profumo dei mosti in fermento. Un nugolo di moscerini ubriacati da questi effluvi ci ronza attorno eccitato e stordito. È la stessa bellissima sensazione che coinvolgerà anche noi.
La prima cosa che ci mostra Francesca è un grande recipiente pieno di mosto in fermentazione: un magma di vita. La stessa vita sta prendendo avvio nelle vasche. La produttrice appoggia sull’acciaio la sua mano, macchiata ed inaridita dal lavoro manuale dalla vendemmia; non è freddo come ci si aspetta dal metallo, ma tiepido per effetto della fermentazione. Un gesto che mi sembra incredibilmente materno.
Il racconto dei passaggi in cantina è preciso e veloce, accompagnato da qualche assaggio dalla vasca, colori vivi e delle belle sensazioni di lievito. Quello di cui Francesca sembra essere più orgogliosa è una barrique esausta, aperta e riempita con le uve pigiate della vespolina. In superficie si sono concentrate le vinacce che accarezziamo ed annusiamo, si sente il frutto maturo e già la sensazione speziata tipica del vino. Allungo una mano e assaggio, Francesca mi perdonerà, si sa che la curiosità è femmina. Ci racconta che spesso sperimenta con la vespolina.

Chiediamo di visitare le vigne che si trovano appena fuori dal piccolo borgo che ospita la cantina. Ci mettiamo in macchina e seguiamo la “Pandina” bianca di Francesca, non teme buche e strada sconnessa, a differenza della mia utilitaria che, da ragazza di città, teme di rovinarsi le scarpe.
Imbocchiamo una strada sterrata circondata da un fitto boschetto, è una sorta di macchina del tempo che ci catapulta in un luogo completamente diverso. Francesca lo ribattezzerà “scrigno” ed è proprio così, un altipiano raccolto dai boschi e custodito dal Monte Rosa che veglia sulle vigne proteggendole da venti freddi e intemperie aggressive, garantendo inoltre la giusta escursione termica, e così nelle notti estive si sviluppano gli intensi aromi delle uve. Il resto lo fa il sottosuolo, quello dell’antico super vulcano: fonte inesauribile di profumi, struttura e longevità. La texture delle stratificazioni permette alle radici di andare in profondità e garantisce protezione dallo stress idrico che, in questa annata, è risultato particolarmente impattante.
Facciamo quindi una passeggiata tra i filari, guidate dal racconto della produttrice che, a ruota libera, ci racconta la sua idea di viticoltura. Una sinergia tra tecnologia umana e cicli naturali. Ne deriva quindi la scelta di non utilizzare trattamenti invasivi ma affidarsi allo studio e alla ricerca di nuove tecniche che sfruttano le naturali difese della natura. Per queste ultime ci vuole pazienza e fiducia ed anche in questo si nota il tocco femminile di Francesca.
La vespolina che tradizionalmente matura prima del nebbiolo, in questa vendemmia 2019, si è fatta attendere ed è stata l’ultima ad essere raccolta. In pianta troviamo ancora dei grappoli e cogliamo l’occasione per assaggiare qualche acino, turgido di succo dolce e profumato, il contrasto arriva dal vinacciolo ricco di tannino. Tutte queste caratteristiche le ritroveremo poi all’assaggio del vino, intatte e fragranti, grazie ad una vinificazione oculata e quasi completamente priva di aiuti chimici.

Torniamo in cantina per gli assaggi, la sala degustazione si trova in un sottotetto, dove, nella stanza accanto, ordinata in cassette verdi, sta appassendo l’uva rara. Abbassiamo inconsciamente il tono di voce, ci sembra quasi di disturbare questo riposo.
Al centro della grande sala un lungo tavolo coperto da una tovaglia di cotone bianco al quale ci accomodiamo, diverse interpretazioni di femminilità, sensibilità ed esperienze lontane che trovano un’intima sintonia intorno ai calici. Fa da sfondo un antico muro di pietre, provenienti dai sedimenti dei torrenti del posto e che disegnano bellissime e variopinte greche.
Francesca ha inventato un percorso di degustazione personale e divertentissimo, un gioco con il quale ad ogni vino abbina un personaggio della sua vita, in cui i ruoli fondamentali sono ovviamente quelli delle donne.

Partiamo con Lucia, l’erbaluce della cantina, unico bianco in degustazione. Si discosta completamente da altri assaggi dello stesso vitigno, per una bella nota speziata di zafferano. Non avendola mai percepita in altri prodotti la mia mente va al territorio, mi viene da pensare che il super vulcano apponga in questo modo il suo marchio sul vitigno.
Altro assaggio, altra donna: è Nina. La nonna della produttrice, una bella testa riccia di capelli ed una sola cosa nella mente: la vigna. Una vita spesa a lavorare tra i filari fino a che le gambe l’hanno sostenuta. In questo momento, quasi con un po’ di imbarazzo, Francesca ci fa la sua rivelazione: la vespolina è donna. Un vitigno volubile, a volte capriccioso, ma capace come nessun altro di grande generosità. Intenso e vivace in purezza e perfetto nel matrimonio con il Nebbiolo, così chiuso ed austero. Un vino adorabile nella sua semplicità; perfetto in abbinamento con piatti succulenti, grazie al tannino profondo ed al gusto ricco di frutti rossi e spezia.
Poi arriva il Bigin, l’articolo davanti al nome è fondamentale, perché così ci viene presentato. Quando Francesca abbandonò la vita da ufficio per dedicarsi all’attività di famiglia, la viticoltura, c’era lui Bigin; l’aveva aiutata con dedizione a piantare le nuove vigne di nebbiolo. L’uomo non aveva potuto studiare ma questo non gli aveva impedito di costruire una grande cultura personale, sfruttando le armi della volontà ferrea e della curiosità. Ogni giorno ascoltava il telegiornale con atlante e dizionario alla mano. Bigin, il vino, è così: ricco e profondo, di grande eleganza e generosità.
Fara è il matrimonio che ci aspettavamo: il nebbiolo porta eleganza, la vespolina dà una sferzata di vita con tannino e spezia. L’annata 2014, fredda e piovosa, ha inciso sulla struttura del vino rendendola più delicata. In questo caso un vantaggio, il vino riesce ad esprimere sapidità e mineralità del territorio in maniera più netta.
Con Martina, barbera 100%, passiamo ad un’altra personalità con un vino ricco di frutto e freschezza.
Chiudiamo con Crepuscolo, passito di uva rara. La particolarità è un bouquet ricco di sentori tostati ed affumicati, il residuo zuccherino è elevato ma l’acidità importante e la spezia ripuliscono il palato e così, questo passito non stanca mai.
Francesca somiglia alla sua vespolina, o forse è il contrario. Nel suo immaginario ce l’ha presentata come un’elegante signora con la calza smagliata, oppure una bellissima ragazza con un lieve strabismo. Insomma, quel tocco di disordine nell’ordinario che dona un fascino irresistibile.
Chiara EM Barlassina
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