Il termine gentrificazione sta ad indicare la trasformazione di un quartiere popolare di una grande città in una zona abitativa di pregio e di moda. Il processo da una parte riqualifica la zona, e ha dunque connotazioni positive, dall’altra porta con sé anche delle conseguenze negative in quanto stravolge la composizione sociale del quartiere a causa dell’aumento repentino dei prezzi delle abitazioni.
La gentrificazione è purtroppo all’opera anche nel mondo del vino. Alcuni territori, fino a pochi anni fa poco considerati dal mercato, hanno subito in pochi lustri una “riscoperta” che ha portato i vini di queste regioni ad affrontare irragionevoli aumenti di prezzi. E così, l’appassionato che prima apprezzava questi vini ancora lontani dalle luci della ribalta, ora rischia di non poterseli più permettere. Il Jura sta senz’altro vivendo un processo di questo tipo. Fino ai primi anni del nuovo millennio i vini del Jura sono rimasti nell’ombra per moltissimi consumatori, lontani com’erano da quello che chiedeva il mercato in quella fase, ovvero vini rotondi, rassicuranti, enologicamente irreprensibili. Ad un certo punto i grandi buyer hanno invece iniziato a ricercare e proporre vini identitari, originali, spontanei, riconoscibili. La richiesta di quei vini – che prima in pochi volevano e cercavano – è schizzata alle stelle e di conseguenza, seguendo l’inesorabile legge di domanda e offerta, sono schizzate alle stelle anche le quotazioni. In Jura questo processo è in atto da qualche anno e alcuni produttori sono diventati improvvisamente oggetto di collezionismo e speculazione…qualche nome? Domaine Renaud Bruyère et Adeline Houillon, domaine Pierre Overnoy, domaine des Miroirs, domaine Ganevat, domaine Labet…
E’ bene precisare che tale dinamica non è “spinta” dai produttori, ma “tirata” dal mercato. Per non arrenderci a questo ineluttabile processo, negli ultimi giorni abbiamo assaggiato alcuni vini giurassiani lontani da riflettori e dunque ancora accessibili. Oggi ti parliamo di due dei vini che ci hanno colpito maggiormente, due Savagnin di Arbois.



Arbois Savagnin ouillé 2019 – Domaine de La Pinte
Il domaine de La Pinte si trova ad Arbois e dispone di 34 ettari di vigne la metà delle quali dedicate al savagnin (non mancano, in ordine decrescente di ettari vitati poulsard, chardonnay, trousseau e pinot noir). L’azienda opera in regime biologico ed è attualmente in conversione biodinamica. Il vino che ci troviamo nel bicchiere è 100% savagnin ouillé, quindi vinificato con le botti colme senza ricercare i sentori ossidativi tipici dei vini cosiddetti “typé” (vinificati in botti scolme) e del vin jaune. Frutta bianca, fiori di campo, nocciole, cerfoglio, a bicchiere fermo un ricordo di frutta esotica…sorso energico, potente e guizzante, un’acidità con i superpoteri tiene a bada i 15% di titolo alcolometrico. Persistenza infinita.
Arbois Savagnin ouillé “En Guille Bouton” 2021 – Domaine Grand
Il domaine Grand si prende cura di 11 ettari in regime biologico. Anche in questo caso stiamo degustando un savagnin ouillé. Il primo naso è prepotentemente minerale (calcare, roccia), poi si susseguono sentori delicati ed eleganti di frutta bianca, nocciole fresche, spezie in formazione. Sorso di grande dinamica, il vino risulta fresco e stratificato, per nulla rapido nello sviluppo, ma anzi articolato e profondo. Chiusura lunga e salatissima.
Diego Mutarelli
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