Jérémy Bricka, vis à vis con il vigneron emergente dell’Isère

Qualche tempo fa abbiamo già scritto del Domaine Jérémy Bricka, in quell’occasione l’incontro era stato indiretto, mediato cioè da un suo vino che ci aveva colpito. Questa volta, complice un viaggio in Francia, abbiamo deciso di conoscere di persona questo vigneron emergente.

Jérémy Bricka è un enologo che seguito otto vendemmie da Guigal, ha poi affiancato diversi produttori (tra i più noti Bret Brothers & La Soufrandière e Clape) prima di mettersi in proprio in Isère, una regione che, per usare un eufemismo, non è certo nota per la vigna ed il vino. Territorio però che prima dell’arrivo della fillossera registrava oltre 33.000 ettari di vigna! Altri tempi certo, eppure…complice il cambiamento climatico e le caratteristiche dei vitigni autoctoni della zona – varietà tardive e poco alcoliche – Jérémy ha deciso di provarci. Non si è fatto sfuggire l’opportunità di nuovi impianti, per un totale di 5 ettari, in un territorio ricco di scisti tra i 500 i 700 metri di altitudine. I vitigni prescelti sono stati mondeuse blanche, altesse e verdesse in bianco, mentre in rosso la scelta è ricaduta su étraire de l’Aduï, douce noire, e mondeuse noire.

Le vigne di Jérémy Bricka – Photocredit: La Revue du Vin de France

In cantina si perseguono le fermentazioni spontanee e non si utilizza solforosa fino all’imbottigliamento. I vini bianchi fermentano e affinano in barrique di 10 anni, mentre per i rossi, si predilige l’acciaio e la fermentazione a grappolo intero senza rimontaggi.

Di seguito una rapida carrellata dei vini assaggiati in azienda che mi riprometto di approfondire grazie agli acquisti effettuati in loco.

Bivouac 2022: vino bianco ottenuto in parte da uve di terzi, ricordiamo che le vigne del domaine sono ancora giovani (2015) e dunque non del tutto a pieno regime. L’obiettivo di questo blend è quello di sfruttare la freschezza della jacquère, l’intensità della clairette e l’aromaticità del muscat per ottenere un vino di pronta beva, semplice e scorrevole ma che non rinunci a una certa articolazione ed armonia delle componenti. Obiettivo senz’altro raggiunto.

Passiamo poi ai due vini bianchi ottenuti da uve di proprietà, si tratta di due vini etichettati come IGP Isère “Pont de Brion”, la Mondeuse Blanche 2022 e la Verdesse 2022. Il primo vino ottenuto dal vitigno autoctono mondeuse blanche si muove su un registro di frutta bianca (pesca), scorza di agrumi e un tocco di nocciola, sorso fresco e gustoso, chiude molto sapido. Molto originale il vino ottenuto dall’antico vitigno locale verdesse: alla cieca farebbe pensare ad un savagnin del Jura, con nette note di mela accompagnate dalla frutta secca (noci, mandorle tostate), il titolo alcolometrico di 13,9% non segna per nulla il vino che anzi ha una grande dinamica, la bocca è sferzata da succosa acidità e persistente sapidità.

Per i vini rossi, anch’essi IGP Isère, abbiamo apprezzato la Douce Noire, dall’omonimo vitigno, che per certi versi ricorda un buon gamay, con i suoi rimandi di frutta rossa (fragola, lampone) e fiori (viola, peonia), vino molto piacevole. Più complesso e ambizioso il vino ottenuto da étraire de l’Aduï, rarissima varietà autoctona: frutta rossa (ciliegia, lamponi), un elegante tocco floreale e delle spezie in formazione che riportano al bastoncino di liquirizia e al pepe verde. 12,3% il titolo alcolometrico di questo vino stratificato al sorso e di grande dinamica. Abbiamo poi assaggiato la Mondeuse 2022, non ancora imbottigliata, che dimostra un grande carattere con un tannino ancora croccante ma non asciugante, si farà…

Continueremo a seguire questo produttore che ci pare essere una bella novità, e soprattutto una grande promessa, nel panorama dei vini naturali francesi.

Diego Mutarelli
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Jérémy Bricka e quel vitigno dimenticato dell’Isére

Fino all’arrivo della fillossera l’Isère, dipartimento francese incuneato tra la Valle del Rodano e la Savoia, era un territorio in cui la vigna prosperava; nel XIX secolo risultavano registrati ben 33.000 ettari di vigna. I danni del malefico insetto – la fillossera appunto – portarono ad una drastica riduzione delle aree vitate in tutta Europa e alcune zone, le più impervie e climaticamente svantaggiate, non si rialzarono più dedicandosi a colture più redditizie. Questo è ciò che successe anche in Isére e ad alcuni suoi vitigni estinti o quasi.

Negli ultimi decenni però, in molte zone minori della Francia (e dell’Italia), la passione e la caparbietà di giovani vignaioli, alla ricerca di vigne al giusto prezzo e di climi freschi, hanno contribuito in modo decisivo a recuperare antiche varietà e a rilanciare le aspirazioni vitivinicole di interi terroirs.

Questa è anche la storia di Jérémy Bricka, che ho deciso di raccontarvi dopo aver degustato un suo vino sorprendente e anche perché ancora non ho trovato alcuna fonte web in lingua italiana che ne parla, e mi sembrava doveroso colmare questa lacuna!

Dopo anni di gavetta in Borgogna e Rodano (chez Guigal!) Jérémy, affascinato dai territori alpini, compra 5 ettari in Isère tra i 500 e i 700 metri di altitudine, a Mens (non lontano da Grenoble), e vi pianta verdesse, mondeuse blanche e noir, altesse, persan, douce noire e la pressoché sconosciuta étraire de l’Aduï. Certificazione bio e approccio enologico non interventista, oltre ad una sensibilità fuori dal comune in fase di vinificazione, hanno permesso al domaine di acquisire una buona notorietà in Francia nella nicchia dei vini naturali. Il vino di cui ti parlo oggi è proprio quello ottenuto dal vitigno étraire de l’Aduï.

Étraire de l’Aduï 2020 Pont de Brion IGP Isère – Jérémy Bricka

Il colore è un bellissimo rosso rubino chiaro, luminoso e trasparente. Il naso è un caleidoscopio di fruttini rossi (melograno e ribes), violetta, pepe, bergamotto, ferro e un particolare tocco che ricorda la salsa di soia…

Il sorso è soffice, beverino e leggero (12%), il tannino è cremoso e risolto, l’acidità è ben integrata e fornisce profondità e succo. Chiude delicato su ritorni di fruttini rossi e spezie.

Plus: vino che fa della spontaneità e facilità di beva la sua caratteristica principale, ma che sa coniugare originalità aromatica ed eleganza. Mi ha ricordato per stile e espressività alcuni dei migliori Morgon del Beaujolais.

Diego Mutarelli
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