Virtù etiche e virtù vitivinicole: Benvenuto Brunello 2019

Se qualcuno chiedesse la mia opinione su una bella annata come la 2019 a Montalcino, che cosa potrei rispondere in modo da non risultare banale?

Sabato 25 novembre ho avuto la fortuna di potermi accomodare in uno dei tavoli sistemati nel chiostro del Consorzio del Brunello di Montalcino e di assaggiare in anteprima la nuova annata che sarà disponibile sul mercato a partire da gennaio 2024.

Faccio una doverosa premessa, visto che non scrivo su questi canali da un po’: se qualcuno chiedesse la mia opinione su un Brunello, probabilmente lo farà sapendo che il sangiovese fa parte del mio lavoro da una decina d’anni, tuttavia non sono di Montalcino, anzi non sono nemmeno toscana, e se spesso questa la sento come una condanna divertente, allo stesso tempo credo che le mie radici siano sufficientemente lontane da permettermi di mantenere la giusta distanza e un certo senso critico.

Ora, come direbbe Soldati, vino al vino, quindi torniamo a ciò che conta davvero. Seduta al mio tavolo, con sei bicchieri davanti, ho avuto circa tre ore a disposizione per farmi un’idea del frutto di anni di lavoro da parte dei produttori di quest’angolo di Toscana.

Leggendo la lista dei vini a disposizione, ho notato diversi elefanti nella stanza, o meglio nel chiostro, certi grandi assenti, perciò ho provato ad accogliere questa mancanza con positività, visto che solo così avrei degustato in maniera più democratica, senza precipitarmi sulle bottiglie che solitamente prediligo. Andando a memoria, la 2019 è stata un’annata calda e soleggiata e allo stesso tempo di grande equilibrio, soprattutto nell’ultima fase di maturazione dell’uva, dove le escursioni termiche hanno permesso una vendemmia di quantità e di qualità. Fare vino e fare filosofia li vedo procedimenti molto simili, dopotutto ogni cantina ha una sua storia e una sua filosofia di produzione. Non solo, produrre un buon vino presuppone la ricerca della virtù, o meglio dell’aretè greca, vale a dire l’indagine sull’essenza bella e buona di ciascuna cosa, che sia un’uva, un territorio o una particolare annata, in modo da plasmare e rendere questi elementi ciò che devono essere.

I greci dicevano poi che l’esercizio della virtù va fatto katà métron, secondo misura, perché l’armonia non prevede esagerazioni, e a mio avviso i produttori sono più inclini ad applicare questa regola nelle annate difficili, quando il calcolo, la misura e la proporzione in vigna e in cantina fanno la differenza. Se l’annata invece è molto buona e ricca di promesse, l’estro sarebbe invogliato ad estrarle tutte. Sono tanti gli esempi vinicoli in cui la tentazione di estrapolare in abbondanza ha preso il sopravvento, e il risultato è sempre smisurato. Basti pensare alla concentrazione di alcune bottiglie di Gran Selezione di Chianti Classico, seppure questa sia la denominazione che prediligo come espressione di sangiovese al giorno d’oggi, oppure alla predominanza del legno in certe espressioni di Brunello di Montalcino in un’annata straordinaria come la 2016. L’unico mio timore quando mi sono seduta a quel tavolo di degustazione era proprio la mancanza della giusta misura.

Ho capito solo lavorando nel mondo del vino il vero significato di questo senso di misura talmente importante nell’antichità. Con l’orologio alla mano ho dato inizio alla prima batteria di assaggio. Calice dopo calice, ho scoperto vini molto aperti e disponibili, già equilibrati e piacevoli, alcuni più timidi di altri per via della gioventù, in altri casi invece ho notato una certa esuberanza nei sentori dati dal legno, sperando sempre che il tempo riesca a placarla un poco. Lo scopo di questa mia indagine era quello di scovare un filo conduttore tra gli assaggi, e non ho fatto una gran fatica a trovarlo: la raffinatezza del tannino, setoso perché giunto alla giusta maturazione, accompagnato da profumi molto freschi, che contenevano e bilanciavano il tenore alcolico, infine una concentrazione movimentata dall’acidità. L’equilibrio, la giusta misura, l’armonia, sono dopotutto il mantra dei più elevati pensieri filosofici.

Se ogni indagine porta in ogni caso al sommo bene, ho deciso di accogliere con un certo stupore e meraviglia i vini che si sono distinti per la loro finitura garbata, e mi scuso se in tre ore non ho fatto in tempo ad assaggiare tutto ciò che avrei voluto.

Lisini (etichetta nera), era da qualche anno che aspettavo mi meravigliasse come una volta, l’ho trovato sfaccettato nei profumi, con piacevoli note di frutti di bosco e un tannino poco timido, promessa di una grande longevità.

Pietroso, ho chiesto una seconda bottiglia perché la prima non mi convinceva. Eccoci finalmente. Dinamico e rigoroso allo stesso tempo, dal gusto pieno, squisitamente floreale.

Tassi Vigna Colombaiolo, nonostante lo stile riduttivo che apprezzo spesso nel sangiovese ho ritrovato comunque un frutto dolce e un tannino morbido e succoso, in equilibrio con l’acidità.

Talenti Selezione Piero, colore concentrato, mi ha sorpresa il frutto blu che ho ritrovato sia al naso che in bocca. Spesso tendiamo a pensare che la frutta così scura sia l’anticamera dell’opulenza, in realtà in questo caso si trattava di un mirtillo freschissimo e croccante.

Casanova di Neri (etichetta bianca), peccato non essere ancora riuscita ad assaggiare il Brunello Giovanni Neri, tuttavia anche qua è facile scoprire un’interpretazione incline al gusto baroleggiante, nella sua accezione più elegante e positiva.

Sesti, ho particolarmente apprezzato il suo centro bocca, voluminoso ma mantenendo sempre quel senso di proporzione proprio di un vero Brunello.

– Infine come ogni anno voglio dedicare lo spazio a un Rosso di Montalcino che mi ha stupito più di tanti Brunelli, ovvero il Rosso 2021 di Gorelli, così succoso e piacevole, dal naso salino e il tannino di velluto.

“Ogni arte e ogni indagine persegue un qualche bene,
e per questo il bene è stato definito ciò cui tutto tende.”

Aristotele, Etica Nicomachea, Libro I.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi