Sabbie di Sopra il Bosco 2017 -Nanni Copè

Nanni Copè è un’azienda vitivinicola dell’alto Casertano che ha da raccontare una storia senza uguali. Sì, perché la sua ascesa nel mondo del vino è stata fulminea (e meritatissima) quanto la sua conclusione repentina e inaspettata.

L’azienda nasce nel 2008 per opera di Giovanni Ascione, manager prima, degustatore e comunicatore del vino poi, ed infine vignaiolo. I suoi vini, a partire dal Sabbie di Sopra il Bosco di cui parleremo nel dettaglio tra poco, hanno riscosso un grande successo fin dalle prime uscite. Poi però, dopo undici vendemmi ricche di soddisfazioni e successi, Nanni Copè chiude, o meglio, Giovanni Ascione decide di vendere la vigna per dedicarsi ad altro; non abbandonando del tutto il vino, come dimostra ad esempio una recente collaborazione, da négociant, con Maurizio Alongi nel Chianti Classico.

Avremmo forse tutti dovuto prendere più seriamente il motto riportato in etichetta nei vini di Nanni Copè, “Una Vita, Tante Vite”. Fortunatamente però i vini rimarranno ancora per diversi anni a farci compagnia.

Terre del Volturno IGT “Sabbie di Sopra il Bosco” 2017 – Nanni Copè

Si tratta di un vino rosso ottenuto da una vigna di 2,5 ettari composta in prevalenza da pallagrello nero con, a saldo, aglianico e casavecchia.

Abbiamo nel calice l’ultima annata prodotta del Sabbie di Sopra il Bosco. Si presenta in veste rubino fitto integro e senza alcun cedimento. L’olfatto è ampio e articolato: si apre sul frutto di bosco (more), per poi passare note più vegetali e speziate (aghi di pino, erbe officinali), quindi il quadro si rinfresca sugli agrumi (arancia e tamarindo), non manca un bel floreale rosso.

Il sorso è molto succoso, l’acidità è prorompente e ben integrata in una notevole massa fruttata, il tutto conferisce una beva pericolosamente golosa. In chiusura il tannino fitto e fine fa capolino a ricordare che ci troviamo davanti ad un rosso campano dalle grandi potenzialità di invecchiamento.

Chiude lungo su ritorni di more e resina.

È un vino che merita un cosciotto di agnello al forno.

Diego Mutarelli
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Bevuta con wine geek tra sorprese e solide certezze

Degustare con amici appassionati, anzi ossessionati, di vino – veri e propri wine geek – è un’esperienza piuttosto divertente. Ovviamente anche chi scrive si considera facente parte della categoria. Una volta scelta la bottiglia da conferire – sicuramente l’azione più complessa e stressante – il resto è uno spasso!

Gli ingredienti in fondo sono semplici: qualche interessante bottiglia resa anonima da una velina o da un più trendy calzino da degustazione, buon cibo a contorno, chiacchiere e cazzeggio come se piovesse…ed il gioco è fatto.

Insomma, non proprio una degustazione tecnica! Ma qualche impressione la dobbiamo ai lettori di Vinocondiviso.

Le bollicine e bianchi

Lo Champagne Avizoise 2014 di Agrapart apre le danze con grande eleganza: agrumi e fiori bianchi al naso, delicata mineralità, leggiadria anche in bocca con sorso essenziale, dritto e sapido. Un blanc de blancs che gioca le sue carte sulla raffinatezza e la misura. Per gli amanti del ricamo, chi predilige gli Champagne ricchi e di potenza meglio che si rivolga verso altri lidi. Delusione per il Fiano 2010 di Pietracupa, purtroppo ossidato e sulla via del tramonto a causa di un tappo che non ha fatto il suo dovere fino in fondo. L’onore della Campania è però salvo grazie al vino di Nanni Copè, Polveri della Scarrupata 2018 un interessante blend di fiano, asprinio e pallagrello bianco che ha un profilo agrumato e di macchia mediterranea, con una vena affumicata intrigante ed un sorso di dissetante freschezza. Chiude i vini bianchi un sorprendente pigato, lo Spigau Crociata 2004 di Le Rocche del Gatto, che all’olfatto richiama il terroir da cui proviene: mare, erbe aromatiche e una curiosa nota tra l’elastico e lo zolfo. In bocca il vino è agile e ancora integro, sa di agrumi (cedro) ma anche frutta più matura (uva passa), non così articolato forse ma notevolissima la chiusura su ritorni salmastri e agrumati. Vino che si è sposato alla grande con un ottimo spaghetto di farro, broccoli e bottarga.

I rossi

I vini rossi tradiscono la passione per il nebbiolo dei bevitori. Sontuoso il Barolo Cannubi 2013 di G.B. Burlotto, un vino austero e regale che ha bisogno di qualche minuto per distendersi ed esprimere tutta la sua classe: parte su note di ferro e sangue che a poco a poco schiariscono lasciando spazio a rosa canina, asfalto, scorza di arancia, spezie e… un salmastro che ritroveremo anche in bocca che però è caratterizzata da uno sviluppo vellutato, da un tannino fitto ma perfettamente in filigrana nella materia, chiusura di dolcezza fruttata e notevole persistenza sapida. Non da meno il Morey-Saint-Denis 1er cru 2013 di Dujac dall’accattivante profilo olfattivo fatto di fragoline di bosco e spezie orientali in cui primeggia l’incenso, bocca perfettamente bilanciata tra frutto e spezie, freschezza e concentrazione, la beva è semplice eppure il vino non lo è. Il Barolo Villero 2013 di Brovia è in una fase in cui si concede poco ma basta mettersi in ascolto per riconoscere note di ribes rosso, fragola, the, zucchero a velo e anguria. Sorso di sapore e spessore, con tannino croccante e acidità ficcante. Vino che ha davanti un grande avvenire. Forse in un momento di chiusura o, perché no, semplicemente vino meno espressivo e riuscito, il Barolo Ceretta 2016 di Giacomo Conterno che sa di buon Barolo al naso (rose macerate, anguria, catrame) ma che in bocca lascia parzialmente insoddisfatti a causa di una materia calda e compressa, dal tannino molto compatto anche se di ottima fattura. Ripassare (forse) tra almeno un lustro.

Per finire in (relativa) dolcezza

Il Mosel Riesling Wehlener Sonnenuhr Auslese 2014 di Joh. Jos. Prüm è fantastico fin dal colore con riflessi verde-oro, un naso sfaccettato di frutta matura, scorza di agrumi ma anche salvia, pompelmo, polline, sale…ingresso morbido con acidità pulente a lasciare la bocca saporita e rinfrescata, pronta ad un nuovo assaggio…

Diego Mutarelli
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