Su Vinocondiviso si parla spesso dei vini della Savoia. Vini mai banali e generalmente dal rapporto qualità-prezzo centrato.
Negli ultimi tempi molti appassionati, critici e operatori commerciali si stanno accorgendo dei vini savoiardi e per questo motivo, anche in Italia, è possibile acquistare e degustare con relativa semplicità vini che solo qualche anno fa erano prodotti di super-nicchia.
Tra i produttori della Savoia un posto di grande rilievo è occupato dal Domaine des Ardoisières, nato dall’incontro tra Marcel Grisard e Brice Omont che, intorno agli anni 2000, recuperano delle vecchie vigne site su terreni dalle pendenze proibitive e sposano con convinzione la biodinamica, con l’obiettivo di dar viti a vini territoriali ed espressivi. I vini del domaine sono ora disponibili anche in Italia grazie alla distribuzione L’Etiquette.
Vin des Allobroges IGP “Schiste” 2017 – Domaine des Ardoisières
Il calice ci accoglie con un giallo paglierino illuminato da riflessi dorati.
Il naso è, come ricorda il nome del vino, di grande mineralità, ma per nulla severo. Si susseguono invece delicati e ricamati sentori di scorza di limone, pompelmo, fiori di campo essiccati, con un’eco lontana di spezie, quali pepe bianco e noce moscata.
Il sorso è succoso, la dinamica del vino è in profondità, grazie ad una spinta acida ficcante ma elegantissima ed in filigrana nel corpo del vino. Il bello è che il vino non è solo “dissetante” e agile, ma possiede anche un certo volume e non risulta scarno o esile benché leggero nello sviluppo e nel titolo alcolometrico (12%).
Chiude lungo con ritorni agrumati e minerali.
Vino di assemblaggio: 40% jacquère, 30% roussanne, 20% malvoisie, 10% mondeuse blanche. I vigneti si trovano – lo suggerisce il nome del vino – su suoli scistosi ed il vino affina per 12 mesi in barrique.
Plus: vino che ci ha conquistato per la sua complessità non esibita, per la sua classe non ostentata.
La Savoia è forse il territorio francese meno frequentato dagli appassionati di vino italiani.
Su Vinocondiviso, controcorrente, ti parlo invece spesso della Savoia e dei suoi vini. Oltre tre anni fa pubblicavo, ad esempio, questo post in cui si raccontava delle caratteristiche e tipologie di vini della Savoia: Vitigni autoctoni e biodinamica in Savoia.
Complici i prezzi stratosferici delle regioni più celebrate di Francia, Borgogna in primis, noto con piacere che da qualche tempo i distributori più attenti stanno inserendo in catalogo sempre più vini di regioni francesi meno “classiche”: Jura, Sud-Ovest, Corsica ed anche Savoia…
Oggi ti parlo di un’azienda emergente che in Francia si è già fatta notare da critica e consumatori: il domaine Céline Jacquet.
Domaine Céline Jacquet
L’azienda nasce nel 2011, con soli 0,45 ettari di vigna! Céline Jacquet – appena diplomata in enologia a Grenoble – si installa ad Arbin nella Combe de Savoie, la valle che da Chambery si inerpica verso Albertville e le stazioni sciistiche.
Le vigne più belle sono quelle esposte a sud sui lati della valle: vigne ripide e scoscese, scaldate dal sole di giorno ma che beneficiano di un microclima asciutto e caratterizzato da notevoli escursioni termiche giorno/notte.
Jacquère, altesse, roussanne e mondeuse sono i vitigni dai quali Céline Jacquet ottiene vini di grande finezza, fruttati, croccanti e saporiti, dal moderato tenore alcolico (circa 12%).
Sono andato sul posto ad assaggiare i vini del domaine. Dal 2011 ne è stata fatta di strada! Gli ettari di vigna sono diventati 4 e finalmente il numero di bottiglie disponibili ha permesso all’azienda di farsi conoscere anche fuori dalla regione.
L’azienda non è ancora in regime biologico ma l’obiettivo è a portata di mano. In cantina gli interventi sono minimi, le fermentazioni avvengono con lieviti indigeni e contenuta solfitazione all’imbottigliamento.
Céline Jacquet, gamma in assaggio
Di seguito qualche impressione sui vini assaggiati, con la promessa di note più dettagliate quando potrò degustare con calma i vini acquistati sul posto:
Roussette de Savoie 2017: vino delicato ed esile, ma gustoso, citrino e dissetante. Intrigante per il finale salino e profondo. Le roussette della Savoia, nelle migliori versioni, peraltro regalano un’insospettabile capacità di evoluzione in bottiglia.
Mondeuse St Jean de la Porte “les Echalats” 2018: il vino che mi ha convinto di meno, molto compresso al naso, vinoso e fruttato. L’annata è recentissima, ha bisogno di più tempo per distendersi e tirar fuori un ventaglio aromatico più articolato.
Mondeuse Arbin 2016: un’interpretazione della mondeuse agile e beverina, scorrevole ma senza rinunciare alle spezie e alla verve acida del vitigno.
Mondeuse Arbin “Mes Aïeux” 2016: anche qui siamo di fronte ad una mondeuse scorrevole e spigliata. Il naso è però mobile e articolato: frutta rossa, violetta, pepe, mineralità soffusa…Anche il sorso è sapido e profondo, con acidità vigorosa ma ben integrata.
Non ho potuto assaggiare, perché esauriti da tempo, lo Chignin 2018 (jacquère) e lo Chignin-Bergeron 2017 (roussanne).
Spero di averti fatto venir voglia di assaggiare qualche vino della Savoia. I vini del domaine Céline Jacquet sono da poco distribuiti in Italia da L’Etiquette.
Nell’articolo introduttivo sui vini della Savoia, ti ho già citato Gilles Berlioz, l’antesignano della biodinamica in Savoia.
Oggi ti parlo di una delle sue celebri roussanne, in particolare di una cuvée chiamata “Les Fripons” (i discoli) denominazione Chignin-Bergeron.
Les Fripons 2014 – Gilles Berlioz
la roussanne: oro liquido
Vin de Savoie Chignon-Bergeron “Les Fripons” 2014 – Gilles Berlioz
Oro liquido nel bicchiere: luminoso e vivo.
Olfatto decisamente complesso: iodio, scogli, una nota vegetale che ricorda la foglia di menta e che rinfresca il fruttato dell’albicocca.
Qualche istante e il naso continua a cambiare sfoderando violetta, polline, nocciola e persino una curiosa nota di farina di mais.
Il sorso si allarga piuttosto morbido nel cavo orale, il sapore si espande veicolato dall’alcol leggero (12%) e dalla sapidità che supportano con naturalezza la progressione.
L’acidità, non strabordante (in linea con le caratteristiche della roussanne), è presente sottotraccia e fa capolino in fin di bocca.
La chiusura è sapida ed elegante, soave ma lunga, su ritorni delicatamente agrumati.
Plus: vino originale ed espressivo senza inutili stravaganze. Naso intrigante e beva molto semplice. Minus: maggiore tensione acida avrebbe forse giovato alla dinamica gustativa.
Se sei uno dei miei fedeli 25 lettori sai che frequento con regolarità i vini della Savoia. Se invece sei un lettore recente o smemorato…allora clicca qui.
Chignin Bergeron “Binette” 2014 – Domaine Cellier des Cray
Chignin Bergeron “Binette” 2014 – Domaine Cellier des Cray (Adrien Berlioz)
Giallo oro con riflessi ambra, naso “bucolico” (fieno, fiori di campo essiccati), scorza di arancia, mango disidratato.
Nonostante la bocca sia delicata e leggera (titolo alcolometrico contenuto al 12%) l’ingresso è di buon volume, con acidità ben presente ma mai prevaricante. E’ soprattutto la sapidità ad accompagnare il sorso che chiude di media lunghezza su ritorni di erbe amare.
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Plus: Chignin Bergeron è la denominazione dedicata al vitigno roussanne. Spesso il rischio con questi vini – a maggior ragione se hanno fatto la malolattica, come in questo caso – è un eccesso di mollezza/grassezza. Fortunatamente il vino di Adrien Berlioz non si presenza così ed è invece vivace e sapido.
Minus: vino che manca di grip e “cattiveria”, non lascia il segno anche se non ha nulla di fuori posto.
Non è così frequente avere la possibilità di assaggiare uno dei vini più antichi e prestigiosi di Francia. Mi riferisco, naturalmente, all’appellazione Hermitage. Siamo sulla riva sinistra del Rodano settentrionale, su colline con pendenze molto accentuate in tre comuni: Tain-l’Hermitage, Crozes-Hermitage e Larnage.
Hermitage Rouge di Jean Louis Chave
Da queste parti si produce vino dal IV secolo a.C. e la famiglia Chave si tramanda la tradizione, di padre in figlio, dal 1481!
La denominazione si estende su circa 130 ettari per una produzione totale pari a circa 4.500 hl non equamente suddivisi tra Hermitage Rouge (80% della produzione), ottenuto dal vitigno Syrah, ed Hermitage Blanc, dai vitigni marsanne e roussanne.
La famiglia Chave possiede circa 14 ettari posti in molte delle principali parcelle dell’AOC. Diversamente da quanto fanno altri produttori, in testa Chapoutier, per Chave l’Hermitage è un vino di assemblaggio (i singoli “climat” vengono vinificati e affinati separatamente e assemblati prima dell’imbottigliamento).
I vini in assaggio:
Hermitage Blanc 2007 – JL Chave
Marsanne e roussanne concorrono a produrre questo vino bianco molto ricercato dagli appassionati di tutto il mondo. Mettiamo subito le cose in chiaro: si tratta di un bianco potente, ricco e grasso, che non farà impazzire chi predilige i vini bianchi vibranti. Appena versato ha un olfatto “polveroso”, come se il vino fosse stato disturbato dal suo letargo, poi però si susseguono le note di pesca, albicocca, floreale blu, mallo di note, talco e, sullo sfondo, miele. Il sorso è largo e piuttosto caldo, la dinamica è dettata dalla grassezza con la sapidità che arriva solo in chiusura. Il vino è potente ma non così lungo come mi sarei aspettato, chiude anzi un po’ brusco con una nota amaricante ben marcata.
Hermitage Rouge 2013 – JL Chave
Naso che parte selvatico, con una nota animale intrigante, poi molto frutto (mora, mirtillo), pepe, chiodo di garofano, grafite, ma anche la rosa fresca. Molto compresso ma pimpante, con grinta ed energia, la gioventù è solare e sfacciata: elegante e potente insieme, tannino fitto e preciso, croccante e saporito. Molto lungo con una persistenza infinita.
Uno dei vini della serata che tra qualche anno, ne sono certo, sboccerà in tutto il suo splendore.
Hermitage Rouge 2010 – JL Chave
Per quel che conta, e purtroppo la cosa influenza non poco il costo della bottiglia in questione, sono di fronte ad un 100/100 Parker. Anche qui una nota animale di sella di cavallo introduce aromi di affumicato, carne alla brace, floreale rosso, cannella. Bocca di gran corpo, molto serrata ma di grande equilibrio, freschezza e progressione. I ritorni di fiori macerati ravvivano il palato anche in chiusura. La persistenza è notevole su note marcatamente minerali.
Grande vino anche se personalmente, e non credo che Parker ne sarà turbato, ho preferito l’energica eleganza del 2013.
Hermitage Rouge 2008 – JL Chave
Vino solo buono questo, in annata non certo favorevole: tabacco, elegante tocco vegetale, gomma bruciata, una bella balsamicità. La bocca è relativamente agile, non così piena come le altre annate, ma è soprattutto la grana del tannino a deludere.
Bevuto in altre occasioni avrebbe anche fatto la sua figura, ma in questo consesso è vaso di coccio.
Hermitage Rouge 1997 – JL Chave
Eccolo qua il campione della serata. Un vino goloso ma risolto, dolce ma vibrante, austero senza spigoli. Il naso è più “rilassato” rispetto ai suoi compagni di batteria, i 20 anni di affinamento gli hanno fatto bene e ci consegnano un vino probabilmente all’apice. Naso di oliva, talco, poi note affumicate miste a note più eteree di un’intrigante pungenza, ed ancora l’eucalipto e – che sorpresa! – la fragola fresca. Mi colpisce di questo vino, anche in confronto ai precedenti, per l’acidità che segna il sorso, dà verticalità e contrasta bene la pressione materica del vino, che appare appena meno corposo dei precedenti ma più agile ed elegante. La dolcezza del tannino in chiusura è da manuale.