15 sfumature di chenin blanc

Lo chenin blanc è proprio un vitigno eccezionale. Grazie alla sua versatilità può dar vita a vini di tutte le tipologie: spumanti, bianchi secchi, semi-dolci, passiti e muffati. Culla di questo vitigno è la Valle della Loira (dove è chiamato anche pineau de la Loire), anche se ha trovato una seconda patria in Sud Africa ed è ben presente anche in Australia e Sud America.

Le sue caratteristiche di longevità, mineralità e capacità di interpretare le diverse sfaccettature del terroir in cui è allevato, lo candidano in qualche modo ad essere la risposta francese al riesling tedesco.

In questo post raccontiamo di una splendida degustazione organizzata da appassionati bevitori che hanno messo mano alle loro cantine portando ciascuno una bottiglia di chenin. Ne è venuta fuori una panoramica molto interessante sul vitigno, con un bel mix di produttori storici, emergenti e vere e proprie star.

Prima Batteria – le annate recenti
Vin de France L’Esprit Libre 2020Thomas Batardière
Vin de France Les Guinechiens 2018 – Benoit Courault
Saumur Les Moulins 2020 – Domaine Guiberteau
Savennières Roche Aux Moines 2020Domaine Aux Moines

Batteria molto intrigante e giusta introduzione allo chenin. Vini piuttosto diversi che danno conto delle due correnti stilistiche e interpretative del vitigno. Da una parte i vini che cercano di esaltare le caratteristiche di acidità e mineralità tipiche del vitigno (Batardière e Guiberteau), dall’altra interpretazioni che vanno alla ricerca di maggior maturità e frutto (Courault e Domaine Aux Moines). Vince la batteria Domaine Guiberteau con un vino estremamente elegante, che miscela sapientemente rimandi agrumati, vegetali e di roccia per un sorso elegante e sapido.

Seconda Batteria – la maturità
Anjou Les Faraunières 2017Domaine Andrée
Vin de France Les Fouchardes 2018 – Ferme de la Sansonnière
Savennières Clos de la Coulaine 2002Château Pierre-Bise
Coteaux du Loir Vieilles Vignes Eparses 2015 – Domaine De Bellivière

Château Pierre-Bise non in formissima, probabilmente è iniziata la sua fase di declino a oltre 20 anni dalla vendemmia, mentre Ferme de la Sansonnière paga una ricchezza di frutto eccessiva con morbidezze gliceriche ben presenti anche al sorso. Molto buono l’Anjou di Domaine Andrée agrumato ed elegante, con le spezie a fare da contrappunto ed una bocca se vogliamo semplice ma succosa. La spunta l’ottimo vino di Domaine De Bellivière dal naso mutevole di propoli, miele, uva passa e sbuffi balsamici e un sorso ricco ma composto grazie ad una fantastica spalla acido-sapida.

Intermezzo sudafricano
Chenin Blanc Secateurs 2022Badenhorst Family

Vino semplice e ben fatto. Il naso è sulla frutta fresca (albicocca, pera), in bocca il vino risulta snello, di buona dinamica, sapido e di ottima lunghezza.

Terza Batteria – i pesi massimi
Saumur La Charpentrie 2014Domaine du Collier
Saumur Clos de l’Échelier 2014 – Domaine des Roches Neuves (Thierry Germain)
Savennières Fidès 2014Eric Morgat
Jasnières Calligramme 2011Domaine De Bellivière

La batteria se la giocano i vini di Domaine des Roches Neuves e di Eric Morgat. Il primo ha un olfatto delicato e fine di frutta bianca ed un tocco che ricorda la foglia di menta, ma è al sorso che ingrana con una materia strepitosa, mobile, fresca e succosa. Eric Morgat non è da meno, il naso è molto più aperto e sa di roccia e mare, sale e frutta gialla, bocca dalla materia fitta e chiusura lunghissima.

Quarta Batteria – le Superstar
Vin de France Les Noëls de Montbenault 2015 – Richard Leroy
Vin de France Les Nourrissons 2016 – Stéphane Bernaudeau

Eccoli qui i due vini che tutti aspettavamo, vini le cui quotazioni purtroppo rispecchiano l’enorme richiesta da parte degli appassionati di mezzo mondo. Due vini che fortunatamente non hanno deluso le aspettative. Il naso di Leroy è un ricamo tanto è fine: fiori, agrumi, fieno, una spolverata di zucchero a velo, mineralità…la bocca è di grandissima freschezza agrumata, succosa, profonda, lunghissimo in chiusura ma senza alcuna forzatura, senza eccessi muscolari, “potenza senza peso” direbbe qualcuno. Les Nourrissons è un altro vino eccellente, anch’esso su note eleganti di frutta bianca, menta, cetriolo, sedano con di contro un sorso intenso e fitto, saturante ma con grazia, dalla chiusura sapida lunghissima.

Quinta Batteria – chiusura in dolcezza
Montlouis sur Loire Les Grillonnières 2017 – François Chidaine
Montlouis sur Loire Les Lys 2009 – François Chidaine

La gara in famiglia tra i due vini di Chidaine è vinta da Les Lys grazie ad un naso accattivante di panettone, mango, frutto della passione, canditi, scorza d’arancia, con sorso semidolce perché equilibrato da un’acidità rinfrescante e da un tocco salino in chiusura molto elegante. Meno interessante Les Grillonnières più sulla frutta secca ma con un’alcol non così integrato tanto da pregiudicarne la beva.

Diego Mutarelli
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Les Cocus 2020, lo stupefacente chenin di Thomas Batardière

Le regioni francesi vocate per i vini bianchi sono molteplici eppure, se dovessi sceglierne solo una, senz’altro la mia personalissima preferenza ricadrebbe sulla Loira, grazie alle magistrali interpretazioni che molti produttori danno al quel magnifico vitigno che è lo chenin. La riflessione è confermata, una volta di più, dall’assaggio di questo splendido vino di Thomas Batardière.

Les Cocus 2020 – Thomas Batardière

Thomas Batardière si installa a Rablay-sur-Layon nel 2012 e si ritrova come vicino di casa e di vigna il mitico Richard Leroy, sì proprio il produttore del vino di Loira più ricercato del momento, ovvero Les Noëls de Montbenault, che gli appassionati di mezzo mondo si contendono a caro prezzo (quotazioni che sfiorano i 500 € a bottiglia, sigh!).

La filosofia seguita da Thomas è quella naturale, con certificazione biodinamica (Demeter) acquisita nel 2015. Sono poco più di 3 gli ettari a disposizione, chenin in prevalenza, ma anche cabernet franc e grolleau. Il vecchio vigneto da cui deriva il vino che abbiamo nel calice, impiantato nel 1968, è proprio a fianco al Montbenault, alla destra orografica del Layon, 0,6 ettari in cima alla collina. Il vino fermenta senza inoculo di lieviti selezionati e affina circa 10 mesi in legno, per poi passare pochi mesi in acciaio prima di essere imbottigliato con aggiunta minima solforosa.

Nel calice scorre un liquido dal colore oro antico di grande luminosità. Molto articolato al naso con sensazioni che vanno dal pop-corn, alla frutta gialla, poi sentori marini (alghe, battigia), roccia, affumicatura e un’intrigante nota agrodolce di scorza di limone candida. Bocca snella e agile, l’alcol (13%) è in secondo piano perché ben integrato nella materia, non poderosa comunque, del vino. Ne risulta una beva molto facile, mai banale, anzi l’articolazione e lo sviluppo sono decisamente da grande vino, l’acidità è corroborante e vivace e i ritorni sono uno splendido mix di mare, sale e frutta. Chiusura soffice ma di carattere grazie ad un’astringenza appena accennata che però fornisce grip e lunghezza.

Plus: vino naturale ed espressivo ma non “selvatico”, nulla sembra lasciato al caso in questo vino dall’equilibrio mirabile. Peccato che il produttore, come ormai molti vignerons naturali, decida di non rivendicare in etichetta la AOC di riferimento (Anjou) e preferisca dichiararsi semplicemente Vin de France…

Diego Mutarelli
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