Ti ho già parlato della notissima denominazione Lacryma Christi e della sua orgine. In quell’occasione avevo assaggiato la versione in rosso del vino proveniente dalle pendici del Vesuvio.
Oggi ti parlo invece della versione in bianco ottenuta, nella fattispecie, dai vitigni Coda di Volpe, Greco e Falanghina.
Lacryma Christi del Vesuvio Bianco 2015 – Vigna delle Ginestre
Lacryma Christi del Vesuvio Bianco 2015 – Vigna delle Ginestre (Azienda Agricola Giacomo Ascione)
Giallo dorato chiaro con riflessi verdi, l’olfatto si apre su toni di gomma (elastico) un po’ troppo insistiti, ma ad un certo punto escono fuori i fiori bianchi, il muschio, la pesca matura, la scorza di agrumi. Una mineralità affumicata e soffusa avviluppa e ricompone tutti i sentori sentiti in precedenza.
La bocca è morbida in ingresso, il calore alcolico è tenuto sotto controllo da polpa, acidità e sapidità marina che è ben presente anche in retrolfazione. Buona la persistenza.
Plus: vino interessante e con una sua originalità soprattutto al naso
Minus: il sorso è leggermente seduto sulle morbidezze, lo avrei preferito con maggiore articolazione e dinamica
Era il 1964 e Bobby Solo cantava l’indimenticabile “Una lacrima sul viso“, scritta insieme a Mogol. La canzone mi torna in mente oggi, sorseggiando un vino mitologico, la Lacryma Christi del Vesuvio: una delle denominazioni più antiche del mondo che non siamo ancora in grado di valorizzare come si deve, lasciandola invece in mano a imbottigliatori senza scrupoli che la vendono a 2 € a bottiglia a ignari turisti. Loro sì, quando apriranno quella bottiglia a casa, verseranno amare lacrime…
Il Vesuvio è una montagna rivestita di terra fertile alla quale sembra che abbiano tagliato orizzontalmente la cima; codesta cima forma una pianura quasi piatta, totalmente sterile, del colore della cenere, nella quale si incontrano di tratto in tratto caverne piene di fenditure, formate da pietre annerite come se avessero subito l’azione del fuoco; di modo che si può congetturare che là vi fosse stato un vulcano il quale si è spento dopo aver consumato tutta la materia infiammabile che gli serviva da alimento. Forse è questa la causa cui dobbiamo attribuire la mirabile fertilità delle pendici della montagna. (Strabone, 10 a.C.)
Come dimostrano numerosissime evidenze storiche, ad esempio quanto scritto da Strabone e come si evince da numerosi affreschi pompeiani – tra cui lo splendido Bacco e il Vesuvio che trovi qui sotto – il legame tra il Vesuvio ed il vino è di antichissima data (si ipotizza a partire dal V secolo a.C).
Bacco e il Vesuvio, Casa del Centenario (Pompei); 68 – 79 d.C.
La leggenda più conosciuta sull’origine del nome della denominazione di cui ti parlo oggi, vuole che Lucifero, nella sua discesa agli inferi, abbia portato via con sè un pezzo di Paradiso. Gesù, riconoscendo nel Golfo di Napoli il Paradiso rubato, pianse lacrime copiose da cui nacquero i vigneti del Lacryma Christi.
Nell’affresco qui riportato puoi notare come non solo vi sia Bacco ricoperto di uva ma siano persino riconoscibili, in basso a sinistra del Monte Vesuvius, le vigne che allora, più di oggi, ricoprivano le pendici del vulcano.
La denominazione Lacryma Christi DOP esiste sia nella versione rossa, da uve di Piedirosso (minimo 50%), Sciascinoso, Olivella e/o Aglianico, sia nella versione bianca da uve Caprettone e/o Coda di Volpe (minimo 45%), Falanghina e/o Greco. I punti di forza della denominazione dovrebbero essere non solo la notorietà globale dovuta ad un nome tanto leggendario quanto riconoscibile, ma anche il territorio vulcanico che conferisce (dovrebbe conferire) ai migliori campioni una mineralità senza uguali.
Veniamo ora al vino che ho assaggiato e di cui ti voglio parlare oggi. Si tratta di una Lacryma ottenuta da Piedirosso, Aglianico e Sciascinoso dell’azienda Agricola Giacomo Ascione, Vigna delle Ginestre.
Lacryma Christi Rosso 2015 – Vigna delle Ginestre
Lacryma Christi del Vesuvio Rosso 2015 – Vigna delle Ginestre (Azienda Agricola Giacomo Ascione)
Il colore rubino vivo con riflessi porpora tradisce l’estrema gioventù del vino. Il naso è da subito molto fruttato (mora, amarene selvatiche), poi arrivano le erbe aromatiche con il timo e il rosmarino, il geranio, una nota eterea e pungente tra il cioccolatino Mon Cheri e l’asfalto. Il sorso è avvolgente, morbido e di buon volume e, fortunatamente, senza troppo calore. Anzi, alla dinamica gustativa partecipa un’acidità pimpante e un tannino -leggermente scomposto in chiusura – che aiuta a dare equilibrio e grip. Retrogusto di frutta rossa e dolce accompagnato da una nota finale piuttosto amaricante.
Vino non banale e produttore senz’altro da seguire.