I vini economici possono invecchiare?

Una delle caratteristiche del vino che trovo particolarmente affascinante è la longevità, ovvero la capacità del vino non solo di invecchiare, ma di evolvere e cambiare nel corso del tempo. Una volta imbottigliato il vino infatti subisce dei processi di ossidoriduzione che, quando proficui, forniscono al vino equilibrio, armonia, completezza, oltre ad un mutamento aromatico spesso intrigante.

Vi sono dei vini che è obbligatorio far invecchiare per poter apprezzare al massimo (basti pensare a molti grandi vini di Bordeaux), ve ne sono altri che sono godibilissimi sia in gioventù che dopo anni di evoluzione.

Quando si parla di “vini da invecchiamento”, spesso vengono citati i grandi territori mondiali del vino: Bordeaux, Montalcino, Barolo, Rioja, Mosella… vini prestigiosi e non certo economici.

Ma invece cosa dire della capacità di evoluzione nel tempo dei vini più economici? Diciamo dei vini tra i 10 € e i 20 €? Esistono parecchi vini accessibili – sia bianchi sia rossi, sia da dessert – che possono essere dimenticati in cantina per anni…oggi ne vogliamo condividere uno cercando come sempre di non parlare solo di teoria ma di portare anche esempi pratici!

Vallée d’Aoste Donnas 2006 – Caves de Donnas

Siamo in Valle d’Aosta ed in particolare a Donnas, la prima DOC della regione (1971). Da oltre 50 anni la cooperativa Caves de Donnas riunisce numerosi piccoli viticoltori commercializzando circa 100.000 bottiglie ogni anno. Il Donnas del 2006 risultò fin da subito molto riuscito e ne comprai diverse bottiglie, approfittando anche del prezzo particolarmente accattivante (se ricordo bene circa 8 €). Una bottiglia l’ho sepolta in cantina e l’ho stappata con grande curiosità a 18 anni dalla vendemmia. Si tratta di un vino ottenuto da nebbiolo in prevalenza (90%) con freisa e neyret a saldo.

Nel calice si presenta rosso granato senza alcun cedimento, al naso si riconoscono fiori appassiti, lamponi, scorza d’arancia, ma il vino non si ferma qui, gli anni di riposo in bottiglia hanno conferito al vino note più austere di corteccia, sangue, ferro e moka. Sorso agile ed elegante, di media potenza, con materia fruttata ancora viva e con un tannino splendidamente risolto e cremoso. La progressione è soave e senza soluzioni di continuità. Chiude lungo, sapido su ritorni di frutta rossa e spezie.

Plus: un vino economico allora ed accessibile ancora oggi (poco più di 15 €) che dimostra come anche vini quotidiani possano riservare grandi sorprese se attesi con pazienza. In questo caso l’evoluzione non ha svuotato né tolto energia e frutto al vino, ma anzi ha corredato il vino di armonia, misura e compostezza oltre che di maggior complessità aromatica.

Qual è la tua esperienza sui vini che possono invecchiare positivamente, anche fuori dalle grandi denominazioni? Scrivimelo nei commenti!

Diego Mutarelli
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Ensemble, la Roussette de Savoie del Domaine des Côtes Rousses

Non ci stanchiamo mai di parlare dei vini della Savoia, lo facciamo fin dagli albori di Vinocondiviso. Un primo post introduttivo sulla regione è del 2016 e già allora era evidente come il territorio savoiardo fosse pronto al grande salto.

Da allora ad oggi i vini della Savoia hanno acquisito sempre maggior visibilità anche al di fuori dei propri confini regionali e nazionali. Un numero sempre più nutrito di nuovi produttori ha affiancato quelli storici, tutti (o quasi) accomunati dall’attenzione all’ambiente e da un interventismo in vigna e in cantina ridotto allo stretto necessario.

Tra i produttori emergenti non si può non citare Nicolas e Marielle Ferrand, del Domaine des Côtes Rousses. Fondata nel 2013 l’azienda si trova a La Motte Servolex, non distante da Chambéry, con vigne però a Saint Jean de la Porte; si tratta di circa 6 ettari di vitigni in prevalenza autoctoni (jacquère, altesse, mondeuse), coltivati su versanti dalle pendenze di tutto rispetto (dal 15% al 45%).

Roussette de Savoie Altesse “Ensemble” 2020 – Domaine des Côtes Rousses

Il nome del primo vino aziendale (primo in ordine cronologico) – Ensemble – è un tributo a tutte le persone che hanno aiutato la cantina a muovere i primi passi. Si tratta di un vino bianco di grande carattere. Ottenuto dal vitigno altesse, è affinato, con prolungata sosta sui lieviti, in botti grandi e uova di ceramica.

Il verde-oro nel bicchiere è molto accattivante. Al naso parte delicato e fine su note di fiori di campo e fieno, poi pesca gialla e una interessante nota di pompelmo, quindi, dopo qualche minuto di ossigenazione, si arrotonda su ricordi di miele d’acacia e baccello di vaniglia.

All’ingresso in bocca il vino è fresco e di ottima dinamica, l’acidità è però perfettamente integrata nel corpo, tendente all’esile, del vino. Ma i soli 12% di titolo alcolometrico non sono certo un freno alla fittezza di sapore, la frutta, le spezie e una ficcante mineralità conferiscono al vino energia e stratificazione. La tensione montana del vino dialoga perfettamente con una certa grassezza e opulenza che, pur presente, non prevarica mai. Sapido e lungo in chiusura.

Diego Mutarelli
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Insolia Terre Siciliane IGT “Colomba Platino” 2022 – Duca di Salaparuta

L’azienda Duca di Salaparuta nasce a Casteldaccia, in provincia di Palermo nel 1824 per opera del principe Giuseppe Alliata. La scelta enologica era chiara: ottenere un vino di caratura internazionale da uve autoctone provenienti dalle sue tenute siciliane.

L’attrazione principale della cantina è rappresentata dalla bottaia, una serie di grandi sale dove troviamo in bella mostra circa 3.000 botti tra barrique francesi e botti in legno di rovere di Slavonia, dove riposano i grandi vini rossi dell’azienda.
Lo stile della cantina è raffinato ed elegante e lo ritroviamo nei vini che esprimono tutta la potenza e la bellezza di un territorio particolarmente vocato. I vigneti di proprietà sono dislocati in parte nella Tenuta Vajasindi, alle pendici dell’Etna, e in parte nella Tenuta Suor Marchesa a Riesi. Le varietà coltivate in questi ambienti dal microclima particolarmente favorevole regalano vini unici dal carattere ben definito, che raccontano una terra che regala sensazioni uniche.
Dai vari progetti messi in campo hanno preso vita dei capolavori enologici come il “Duca Enrico“, un nero d’Avola in purezza, e l’innovativo “Nawàri“, un pinot nero coltivato sulle pendici dell’Etna.

Il vino che proponiamo quest’oggi è l’Insolia Terre Siciliane IGT “Colomba Platino” 2022, prodotto per la prima volta nel lontano 1959 ed elaborato con uve insolia in purezza raccolte nella Tenuta di Risignolo, in provincia di Agrigento. Si tratta di un vino di facile reperibilità sia per la distribuzione capillare (disponibile anche nei canali della Grande Distribuzione Organizzata), sia per il prezzo assolutamente accessibile (circa 10 €).
Nel calice ritroviamo un bel colore giallo paglierino con riflessi verdolini dall’aspetto vivace e luminoso. Al naso il bouquet olfattivo è composto da delicate note floreali di fiori bianchi e gialli come acacia e ginestra che precedono sensazioni fruttate di mela golden, pesca gialla e melone. All’assaggio il sorso è tensione e profondità con una bella freschezza e una buona struttura. Una vena acida di tutto rispetto, accompagnata da una grande parte salina, dona eleganza e grande bevibilità.
Un vino deciso ed elegante da abbinare ai crostacei, frutti di mare e più in generale a piatti a base di pesce.

Walter Gaetani

Barbagia Rosso “Ghirada Gurguruò” 2020 – Vikevike

Mamoiada è un paese di soli 2500 abitanti, siamo in provincia di Nuoro nel centro Sardegna. Qui la tradizione vitivinicola è plurisecolare, e alcune vecchie ghirade, porzioni uniche di vigna delimitate da muretti a secco, ne sono ancora testimonianza.
Il territorio di Mamoiada, oltre ad essere tradizionalmente dedito alla viticultura, presenta caratteristiche molto interessanti che la differenziano da altre zone della Sardegna: i vigneti sono ad un’altitudine media di 730 metri sul livello del mare e soggetti a forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, i suoi terreni sono di natura granitica di struttura sciolta e leggermente acidi. A farla da padrone dei circa 350 ettari di vigneto è il cannonau (il 95% della superficie vitata!), da non sottovalutare però l’antico ed “emergente” vitigno autoctono a bacca bianca granazza.

Barbagia Rosso “Ghirada Gurguruò” 2020 – Vikevike

Vike Vike è l’azienda biologica di Simone Sedilesu, produce circa 25000 bottiglie da 4,5 ettari di vigna (cannonau e granazza). Il vino che abbiamo nel calice, da cannonau, proviene dalla Ghirada Gurguruò, una vigna di 30 anni posta a oltre 730 metri di altitudine con esposizione nord-est. Vino sorprendente fin dal colore, rubino chiaro che tende al granato, naso molto netto, preciso ed intrigante su note di frutta rossa che ricorda il ribes ed il melograno, poi la macchia mediterranea ed una mineralità che fa pensare alla grafite, quindi a rinfrescare il quadro un tocco agrumato di kumquat.

Sorso di grande beva, la freschezza sorregge il vino e gli dona dinamica e sviluppo, si articola bene in bocca grazie ad un’acidità ficcante e succosa, tannino poco pronunciato per un vino che appare agile con i 13,5% di titolo alcolometrico gestiti magistralmente. 

La chiusura è elegantemente lunga su ritorni di frutta rossa e sale.

Plus: una Sardegna che non ti aspetti eppure figlia di un territorio del vino estremamente intrigante come quello di Mamoiada.

Diego Mutarelli
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Un Brunello di Montalcino…maggiorenne!

L’annata 2006, appena divenuta maggiorenne, è stata a Montalcino, come in molte altre parti di Italia, particolarmente fortunata. Ed è anche per questo che – per festeggiare i 18 anni di mio figlio (auguri!!!) - ho stappato una delle bottiglie 2006 che conservo gelosamente in cantina fin dall’uscita sul mercato.

La scelta è ricaduta su un Brunello di Montalcino Riserva e l’attesa è stata ampiamente ripagata.

Brunello di Montalcino Riserva “Vigna Soccorso” 2006 – Tiezzi

L’azienda è di rilievo nel panorama ilcinese, peraltro Enzo Tiezzi è stato Presidente del Consorzio quando fu approvata la Doc Montalcino, che fino ad allora usciva come Vino Rosso. Le parcelle vitato ammontano a 6 ettari circa, non mancano però gli olivi (3 ettari).

La Vigna Soccorso, di cui si ha notizia fin dal 1870, è situata nei pressi del centro storico di Montalcino, adiacente le mura trecentesche e il Santuario della Madonna del Soccorso ad un’altitudine di circa 500 metri sul livello del mare. Allevata ad alberello sia per ridurre la produzione sia per questioni estetiche e di impatto visivo (grazie all’eliminazione di colonne di sostegno e fili).

Il vino nel calice ha un bellissimo colore rubino chiaro, trasparente e luminoso, appena più scarico sull’unghia. Parte su un floreale fresco di rose, poi arriva la frutta rossa macerata e quindi note più austere, ma nient’affatto decadenti, di sottobosco, corteccia, eucalipto, alloro, quindi arrivano le spezie (cannella), la scorza di agrumi e una calda mineralità.

Il sorso è ampio, integro, di grande dinamica, l’acidità è scalpitante e sostiene lo sviluppo del vino stemperando il calore alcolico e il tannino fitto e saporito che l’evoluzione in bottiglia sta iniziando ora ad addolcire.

Chiude lunghissimo su ritorni salini e agrumati.

Plus: un vino che colpisce per la sua energia e gioventù, ancora lontano dal suo apice, ma l’evoluzione in bottiglia è stata molto felice nel mitigare la sua irruenza giovanile e nel fondere alla perfezione le sue componenti.

È stato abbinato felicemente con delle tagliatelle al ragù di cinghiale.

Diego Mutarelli
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Chianti Classico Vigna Casanova dell’Aia 2020 – Istine

Da qualche anno il Chianti Classico sta vivendo una fase di grande crescita sia in termini di attività e innovazioni da parte del Consorzio Chianti Classico sia, conseguentemente, di interesse da parte della critica e degli appassionati. I produttori danno l’idea di “fare sistema” e la scelta di puntare sulle UGA, le Unità Geografiche Aggiuntive, sembra cogliere appieno lo spirito del tempo, ovvero quello di proporre prodotti riconoscibili e figli del terroir di provenienza.

Photocredit: Istine.it

Esempio perfetto di questa nouvelle vague chiantigiana è senza dubbio l’azienda di cui ti parliamo oggi, complice un recentissimo assaggio che ci ha colpito. Si tratta di Istine, azienda di Radda in Chianti, rappresentante dunque di una della più vivaci Unità Geografiche. La storia vitivinicola di Istine è abbastanza recente, è solo dalla vendemmia 2009 infatti che esce con una propria etichetta (precedentemente vino e uva dei vigneti di proprietà erano conferiti ad altre aziende), ma ciò non ha impedito all’azienda di ritagliarsi in poco tempo uno spazio di tutto rispetto tra le aziende di Radda in particolare e del Chianti Classico più in generale.

Chianti Classico Vigna Casanova dell’Aia 2020 – Istine

100% sangiovese da una vigna di circa 4 ettari, Casanova dell’Aia, che si trova nei pressi del paese di Radda in Chianti, ad un’altitudine di 500 metri sul livello del mare in piena esposizione sud. Vinificazione in cemento e affinamento di 12 mesi in botti di rovere di Slavonia da 20 o 30 hl, seguiti da circa 1 anno di riposo in bottiglia.

Il colore è un rosso rubino luminoso. Ad un primo naso prevalentemente florale segue una nota dolce e croccante di ribes rosso, quindi un tocco di incenso per poi atterrare su note boschive di terra smossa. Il sorso è succoso, una poderosa acidità sostiene lo sviluppo e fa salivare la bocca, il vino è intenso e goloso ma si muove con grande leggiadria ed eleganza nonostante un tannino fitto ma di grana finissima. Chiude lungo e sapido su ritorni di radice di liquirizia e frutta rossa.

Plus: un Chianti Classico che non punta solo sulla piacevolezza e semplicità di beva, ma alza l’asticella affiancando all’immediatezza stratificazione e ampiezza aromatica. Il vino è ancora estremamente giovane, qualche anno di bottiglia lo renderanno ancora più compiuto.

Diego Mutarelli
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I 5 post più letti del 2023. Buon Anno!

L’anno appena trascorso per Vinocondiviso è stato ricco di soddisfazioni, abbiamo condiviso con i nostri lettori riflessioni, visite a produttori, eventi vinosi e, naturalmente, vini e degustazioni.

Spulciare le statistiche dei post più letti è sempre sorprendente, alcuni post molto “antichi” piacciono ancora moltissimo ai motori di ricerca e risultano ancora tra i più letti (vedasi ad esempio la serie di post dedicati ai Profumi del Vino, che sono stati scritti tra il 2016 e il 2017). È pur vero che i post più recenti hanno avuto meno tempo di accumulare visitatori.

Difficile dunque stilare una vera classifica, ma vogliamo comunque condividere con voi i post che sono piaciuti di più limitandoci a quelli pubblicati nell’anno appena passato.

#1 Vinitaly 2023: le nostre nomination – i post che raccontano i vini che abbiamo più apprezzato agli eventi vinosi sono tra quelli che riscuotono maggior interesse ed il Vinitaly, l’evento italiano più importante del vino, non poteva mancare.

#2 C’era una volta un castello dove abitava un conte – titolo fiabesco che abbiamo scelto per raccontarvi la storia della piccola realtà Torre degli Alberi, in Oltrepò Pavese.

#3 La Cantina di Enza a salvaguardia del vitigno coda di volpe rosso – anche in questo caso abbiamo raccontato la storia di un’azienda non così nota, La Cantina di Enza, in provincia di Avellino.

#4 Les Cocus 2020, lo stupefacente chenin di Thomas Batardière – la Francia, di cui beviamo e parliamo molto, entra in classifica con un produttore ancora poco conosciuto ma su cui scommettiamo, si tratta del vigneron della Loira Thomas Batardière.

#5 Tre vitigni e una pergola: 33/33/33 biodinamico campano da scoprire! – torniamo in Italia, anzi in Campania, per il grande bianco di Vallisassoli, altro produttore non così noto che abbiamo voluto condividere con i nostri lettori.

Quali altri contenuti vorresti leggere su Vinocondiviso? Se hai idee o riflessioni non censurarti, scrivicelo nei commenti o contattaci!

Auguri di Buon Anno!

Diego Mutarelli
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Alle radici del Barolo (o quasi)

Il tema scelto per la cena prenatalizia del team (allargato) di Vinocondiviso è stato un super classico: il Barolo. E siccome troppo vasta poteva essere la scelta – fra gli undici comuni e le 170 MGA (escluse le menzioni comunali) – abbiamo scelto come linea guida il libro a firma di Armando Castagno, edito da Slow Wine, uscito a fine dello scorso anno, dal titolo “Alle radici del Barolo”.

Il volume, corredato dalle foto di Clay McLachlan e da una dettagliata parte storica introduttiva a cura di Lorenzo Tablino, consta di dieci interviste ad aziende della “prima generazione” del Barolo, ovvero antecedenti l’Unità d’Italia del 1861, in cui fondamentale fu il ruolo dello statista Camillo Benso Conte di Cavour; lo stesso Conte giocò una parte da indiscusso protagonista anche nella valorizzazione e affermazione del Barolo così come lo conosciamo (o quasi).

Avendo avuto l’opportunità di partecipare alla presentazione ufficiale del libro, ad Alba, ci piace ricordare quanto l’autore abbia sottolineato l’importanza dell’etimologia “radice” e quanto azzeccata ne fosse la scelta per il titolo. Radice deriva dal latino “radix”, ovvero ciò che è flessibile, pieghevole; effettivamente, osservando le radici, notiamo come esse siano in grado di piegarsi, di adattarsi alla terra più ostica con flessibilità. Radici profonde e solide anche per il Barolo, ma allo stesso tempo radici nuove, che traggono linfa dalle nuove generazioni, capaci di adattarsi ai tempi nel rigoroso rispetto dell’eredità ricevuta.

Partiamo quindi con i vini assaggiati, Barolo rigorosamente di produttori oggi ancora in attività le cui cantine sono state fondate prima del 1861 e quindi presenti nel libro di Castagno, non dimenticando di menzionare l’ottimo brasato con polenta a corredo e a seguire formaggi di stagionature diverse armoniosamente abbinati coi vari calici.

Barolo del Comune di Verduno 2018 – Fratelli Alessandria

Fratelli Alessandria, attiva già da metà 1800, si trova a Verduno e vinifica esclusivamente uve di proprietà da circa 15 ettari di vigne. Il vino che abbiamo nel calice ha un naso molto elegante, un bouquet di rose accompagnato da un bel frutto rosso fresco e un tocco di pepe bianco. Il sorso è caratterizzato in ingresso da un’ottima dolcezza di frutto, si dipana bene grazie ad una ragguardevole freschezza, il tannino è poco presente, alcol sotto controllo. Scorrevole e semplice (forse troppo? O forse è un vino che va aspettato almeno un lustro affinché possa farsi) ma molto godibile.

Barolo Acclivi 2017 – Comm. G.B. Burlotto

Restiamo a Verduno con Burlotto, altro nome storico di Langa. L’Acclivi è un Barolo ottenute dalle uve provenienti da vigne collocate a Verduno (Monvigliero, Neirane, Rocche dell’Olmo e Boscatto). Olfatto molto affascinante e complesso: roselline e radici, foglie secche e china, lampone e polvere di liquirizia. Il sorso è fitto, fresco e profondo, tannino giustamente in evidenza ma di grande finezza. Chiusura sapidissima e lunga ma soffice. Goloso.

Barolo 2017 – Oddero

Poderi e Cantine Oddero hanno una storia plurisecolare in quel di La Morra e attualmente vinificano dai 35 gli ettari di proprietà sia in zona Barolo sia in zona Barbaresco. Il naso di questo Barolo parte su note fresche di lampone e rose, poi una nota più austera di mineralità scura accompagnata da una curiosa nota di castagna/noce. Bocca serrata in una morsa acido-tannica ancora da amalgamarsi, chiude lungo e salato. Da attendere.

Barolo Paiagallo “Vigna la Villa” 1989 – Fontanafredda / Barolo “Vigna Gattinera” 1989 – Fontanafredda

Commentiamo insieme questi due vini, vecchietti per così dire, non solo perché sono entrambi di Fontanafredda e della splendida annata 1989, ma anche perché rappresentano plasticamente due delle traiettorie possibili di evoluzione del Barolo. Il Vigna la Villa è un vino autunnale a partire dalle note di sottobosco, funghi, tartufo, torrefazione e note affumicate, con un tannino che è diventato cremoso, splendidamente risolto in dolcezza, dalla texture raffinata e carezzevole. Il Vigna Gattinera invece evolve su note più chiare e speziate e ha una materia più asciutta e meno carezzevole, è l’acidità a risultare in primo piano per un sorso che rimane succoso e sapido. Due indomiti vecchietti che hanno ancora molto da dire.

Barolo Riserva 1971 – Borgogno

Borgogno è una realtà che non ha bisogno di presentazioni, cantina dalla storia antica, che oggi vanta di un parco vigne di oltre 30 ettari. Il Barolo Riserva che abbiamo degustato è di un’annata, la 1971, considerata eccezionale. Un vino di oltre 50 anni che ancora scalpita e maturo si concede su note di buccia di arancia e mandarino, eucalipto, lamponi in confettura, tartufo bianco, terra smossa…la bocca è di grande dinamica e allungo, energica benché risolta, in chiusura ci lascia su ritorni di sottobosco e frutta rossa. Un vino di grande fascino.

Alessandra Gianelli
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Villa Pigna: il territorio Piceno in un calice!

La cantina Villa Pigna è una bella realtà del territorio Piceno guidata magistralmente, sin dalla sua fondazione, dalla famiglia Rozzi; dapprima dal suo fondatore Costantino, il vulcanico presidente dell’Ascoli Calcio, ed in seguito dalla figlia Anna Maria e da suo figlio Giorgio.
La cantina fu costruita al centro dei suoi vigneti intorno alla metà degli anni 70 del secolo scorso e fu considerata avveniristica per il tempo.
L’idea di Costantino Rozzi era quella di produrre un vino di qualità superiore coniugando la tradizione con le nuove tecnologie produttive.


L’incontro con Anna Maria Rozzi è stato un vortice di emozioni, uno scambio di idee all’interno del concetto di fare vino guidati dalla tradizione e dal chiaro intento di ritrovare il Piceno in un calice.
In quest’ottica si orienta la scelta di focalizzare la produzione sulla denominazione Rosso Piceno Superiore Doc, una delle più antiche d’Italia, e di puntare ad un affinamento in bottiglia per un periodo più lungo rispetto a quanto prevede il disciplinare.
L’affinamento in bottiglia avviene, oggi come allora, in un locale sotterraneo della cantina che gode di una temperatura naturale e costante tutto l’anno.
La poliedrica Anna Maria Rozzi, nelle sfide che ha dovuto affrontare nel suo percorso, ha potuto far leva su di una forte consapevolezza basata sul fatto che “non era necessario fare di più, bensì poteva farlo meglio” come lei stessa sottolinea.
In virtù del fortissimo legame del fondatore Costantino Rozzi e della stessa cantina Villa Pigna con il territorio Piceno, è nata l’idea di fornire due interpretazioni del Rosso Piceno Doc: la versione tradizionale con il Rozzano composto per l’85% da montepulciano e per il 15% da sangiovese e la versione internazionale con il Vellutato, 70% montepulciano, 15% sangiovese e 15% cabernet sauvignon.

Vellutato 2020 – Rosso Piceno Superiore doc

Il Vellutato 2020 è l’interpretazione “internazionale” del Rosso Piceno Superiore doc come ama definirlo Anna Maria Rozzi.
Un blend molto interessante dal punto di vista enologico che prevede l’impiego dell’internazionale cabernet sauvignon in aggiunta a montepulciano e sangiovese.


Il calice si veste di un colore rosso rubino di buona fittezza con una smagliante vivacità sintomo di un buono stato di salute del vino.
Avvicinando il calice al naso l’impatto olfattivo è deciso, netto, pieno. Se i primi riconoscimenti richiamano profumi floreali e fruttati di rose rosse e ciliegia, facendo successivamente roteare il vino nel calice si percepiscono lievi sentori vegetali derivanti dalla presenza del cabernet sauvignon e richiami alle spezie con la vaniglia in evidenza, a ricordarci del passaggio in barrique francesi.
L’ingresso del vino in bocca è leggiadro e sbarazzino ma al tempo stesso denota un’eleganza che potremmo quasi definire amabile.
Al sorso ritroviamo la nota fruttata di ciliegia che abbiamo percepito all’olfatto.
La morbidezza espressa non inficia l’equilibrio del vino che vive del perfetto bilanciamento tra la freschezza e l’acidità da una parte e il tenore alcolico dall’altra.
Avviandosi alla conclusione dell’assaggio possiamo affermare che siamo di fronte ad un vino mediamente persistente che rappresenta appieno la tipologia.
Un vino poliedrico che si abbina ad antipasti della tradizione picena come la pizza di cacio e salamino, primi piatti rossi non troppo elaborati e a carni rosse alla brace. Non disdegna gli aperitivi magari accompagnati dai salumi della tradizione contadina picena e dai formaggi di media stagionatura.

Rozzano 2018 – Rosso Piceno Superiore doc

L’interpretazione tradizionale del Rosso Piceno Superiore doc composto da montepulciano per l’85% e la restante parte da sangiovese.
Un vino elegante che definirei “il Piceno in un bicchiere” perché riesce a far convivere l’esuberanza tipica del montepulciano con la personalità gusto olfattiva e l’eleganza del sangiovese.


Anna Maria Rozzi ci tiene a sottolineare che si tratta di due vitigni con due personalità ben distinte con il sangiovese che prima di essere vinificato viene lasciato per una ventina di giorni sui graticci. Una pratica che conferisce e caratterizza il vino di un sentore speziato riconducibile al pepe nero.
Una bella espressione del Rosso Piceno Superiore doc che si fa apprezzare per un colore rosso rubino di grande vivacità e pulizia cromatica.
Olfatto di buona intensità con l’amarena in primo piano, con successivi richiami di rose rosse e in sequenza note speziate di pepe nero, vaniglia, liquirizia e cacao. Al palato il sorso risulta pieno e coinvolgente con una ben percepibile acidità che donerà longevità al vino che non potrà che migliorare con il tempo! La sapiente trama tannica è caratterizzata da un tannino ben presente ma levigato con una buona morbidezza sintomo di uve raccolte a piena maturazione. Forte la curiosità di affrontare l’esperienza degustativa che l’annata 2018 potrà regalarci fra una decina di anni!
La persistenza è medio lunga con richiami fruttati e di cacao. Una nota vegetale e un richiamo boisé rendono il vino complesso. Un vino armonico e di carattere!

Non sono state certamente scevre di ostacoli le strade intraprese dall’attuale proprietà per portare avanti l’idea del fondatore di fare vino e soprattutto fare cultura del vino, ma dalle scelte più difficili sovente possono nascere belle interpretazioni di un’identità territoriale.

Walter Gaetani


Champagne Odyssée 319 BdB Jour 1 à Avize, Le Levant

Champagne Odyssée 319 nasce da un’idea, se vogliamo un po’ folle, di Olivier Bonville – patron della storica maison Franck Bonville ad Avize, patria come sappiamo dei più grandi Blanc de Blancs – e del genero Ferdinand Ruelle. Si tratta di uno champagne 100% grand cru Avize e prende il nome dall’Odissea di Ulisse: i due artisti vigneron si sono messi in testa di fare un vero e proprio viaggio nei 319 comuni della Champagne e ogni anno fare uscire una cuvée diversa avvalendosi anche della collaborazione di amici produttori sparsi sul territorio: chiaramente missione impossibile (o mitologica!), ci vorrebbero 319 anni per completare la mastodontica impresa, ma sicuramente un’idea affascinante ed unica.

Questo “primo” Champagne come dicevo 100% Avize rivela la solita felicissima mano di Bonville: base 2014, sboccatura maggio 2022, dosaggio 8,3 grammi che non si sentono assolutamente, anzi impreziosiscono il sorso, (Olivier Bonville è maestro dei dosaggi lontani dalle mode effimere dei brut zero o pas dosé…), colore splendido oro carico, naso suadente che spazia dal gesso agli agrumi ma è la bocca ad impressionare per potenza, acidità e materia con ancora tanti anni davanti per esprimersi al meglio.

Una bolla da abbinare ad un risotto ai porcini, a del foie gras o, portafoglio permettendo, a dei tajarin al tartufo bianco.

Buon viaggio a Oliver e Ferdinand, bravi!

Gregorio Mulazzani
Facebook: @gregorio.mulazzani