Toscana IGT: vini d’avanguardia o in cerca di identità?

La Masterclass Toscana IGT – evento organizzato da Doctor Wine, ovvero Daniele Cernilli, in collaborazione con il Consorzio Vino Toscana – è stata l’occasione per fare il punto su un distretto produttivo del vino toscano che muove numeri significativi. Ogni anno oltre 4.000 aziende toscane rivendicano l’appellazione Toscana IGT per un controvalore di circa 495 milioni di euro con una fortissima vocazione all’export (il 70% della produzione varca i confini nazionali).

Abbiamo partecipato alla manifestazione con il nostro solito spirito di cronisti curiosi, cercando di mettere da parte lo scetticismo che molti appassionati nutrono nei confronti di una denominazione così disomogenea e ampia in termini geografici e produttivi. Etichettati come Toscana IGT possiamo infatti trovare vini bianchi, rossi, frizzanti, da vendemmia tardiva e passiti…insomma un calderone così ampio di offerta che rischia di togliere identità e coerenza alla proposta enoica.

Il Consorzio Vino Toscana, di recente costituzione, non potendo dunque puntare su un’inesistente identità territoriale, ecco che si pone obiettivi molto più concreti:

  • difendere da contraffazioni e abusi di vario genere il maschio Toscana
  • promuovere e sostenere i suoi soci in attività di promozione in Italia e all’Estero

Abbiamo potuto assaggiare 24 vini, 6 bianchi e 18 rossi, il cui elenco riportiamo nella foto sottostante.

La curiosità che ci ha spinto ad assaggiare con attenzione i vini proposti è stata quella di indagare quanto Toscana IGT possa porsi come “denominazione di ricaduta” dei vini innovativi, sperimentali, non ortodossi rispetto alle storiche denominazioni toscane come Brunello di Montalcino, Chianti Classico, Nobile di Montepulciano, Vernaccia di San Gimignano… Anticipiamo che la qualità media degli assaggi è stata molto buona, soprattutto in termini di correttezza enologia, più chiaroscuri invece abbiamo trovato proprio sul fronte dell’emozione, della sperimentazione e della personalità. Insomma, per il momento di avanguardia e sperimentazione non ne abbiamo visti a sufficienza, ma il cammino del Consorzio è appena iniziato…

Come nostro costume condividiamo le note dei vini degustati limitandoci, in questo caso, ai soli assaggi più convincenti.

Toscana Rosso IGT 2021 – Vallepicciola: azienda sita a Castelnuovo Berardenga propone questo vino da uve sangiovese del vigneto Fontanelle, piante di oltre 40 anni poste a 450 metri sul livello del mare. Fermentazione in cemento e affinamento di 20 mesi in barrique (50% di legno nuovo). Il vino è godibilissimo nei suoi sentori di amarena, fiori rossi, terra e un tocco di spezie balsamiche, sorso potente ma la beva non ne risente, la freschezza alleggerisce e allunga il sorso ed il tannino cesellato accompagna il vino verso una chiusura pulita di ottima lunghezza.

Estatura Toscana Rosso IGT 2019 – Barone Pizzini Tenuta Ghiaccioforte: siamo nei poderi Ghiaccioforte, le vigne a conduzione biologica di Barone Pizzini in Maremma. Il vino che abbiamo nel calice è frutto di un riuscito blend di sangiovese (50%) e carignano nero (50%), fermentazione in acciaio e 12 mesi di barrique. Il vino è di un rosso rubino compatto, al naso frutta rossa, macchia mediterranea, balsamico, spezie e tostature (senza eccessi), insomma l’affinamento in legno si sente ma è gestito alla perfezione senza inopportune dolcezze, il sorso è caratterizzato da una certa morbidezza, i 15% di titolo alcolometrico sono però ben mitigati da tannino fitto e fuso, sapidità in filigrana e acidità rinfrescante.

Camboi Toscana Rosso IGT 2019 – Castello di Meleto: azienda storica di Gaiole in Chianti che non ha bisogno di presentazioni, presenta questo vino ottenuto da malvasia nera, che affina 18 mesi in botti da 25 hl. Colore rubino chiaro luminoso, si propone all’olfatto con fruttini rossi aciduli (ribes) ma anche arancia, un elegante tocco floreale e di ginepro. La bocca è dinamica, snella e succosa, precisa ed equilibrata, con l’acidità a fare da filo conduttore ed un tannino in secondo piano. Vino finto semplice di grande piacevolezza e bevibilità.

Il Blu Toscana Rosso IGT 2021 – Brancaia: nota azienda di Radda in Chianti che etichetta come Toscana IGT Il Blu, un blend di merlot (80%), sangiovese e cabernet sauvignon. Ogni singola varietà viene affinata separatamente in barrique (per due terzi nuove), per 18 mesi. In seguito, una volta assemblato, il blend finale matura in vasche di cemento non vetrificato per 3 mesi. Rosso rubino con riflessi bluastri, naso molto ampio di lampone, prugna, caffè, cassetto della nonna, spezie dolci…il sorso è una carezza, avvolge il cavo orale e lo accompagna senza soluzione di continuità in un finale in cui l’acidità fa capolino e sostiene la chiusura rintuzzandone il calore.

Campo all’Albero Toscana Rosso IGT 2020 – La Sala del Torriano: azienda nota anche per i suoi Chianti Classico, presenta in degustazione il Campo all’Albero, merlot (70%) e cabernet sauvignon (30%), 18 mesi di affinamento in barrique. Confettura di ciliegie, mirtillo, caffè, note balsamiche al naso, morbido in ingresso in bocca con un tannino fitto e saporito che fornisce grip e dinamica, la chiusura è sapida e lunga. Un vino che potrà evolvere e migliorare ancora.

Cabernet Franc di Vignamaggio Toscana Rosso IGT 2020 – Vignamaggio: ottenuto da piante di oltre 40 anni di cabernet franc site in Greve in Chianti, il vino fermenta in acciaio e affina 18-24 mesi in barrique. Colore rubino impenetrabile, all’olfatto è intenso nei richiami di ribes nero, cacao, prugna, caffè e una caratterizzante nota vegetale (peperone grigliato). L’acidità rende il sorso succoso, il tannino è ben presente ma affusolato. Bella progressione per una chiusura saporita e di personalità.

Diego Mutarelli
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Taste Alto Piemonte a Milano: i nostri assaggi

Taste Alto Piemonte è un format ideato dal Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte che quest’anno ha scelto Milano come vetrina e location d’eccezione e AIS Milano come partner organizzativo.

Il 16 settembre 2024 all’Hotel Westin Palace abbiamo avuto modo di assaggiare alcuni dei vini rappresentativi dell’intrigante territorio dell’Alto Piemonte, territorio variegato che copre ben 10 denominazioni: Boca DOC, Bramaterra DOC, Colline Novaresi DOC, Coste della Sesia DOC, Fara DOC, Gattinara DOCG, Ghemme DOCG, Lessona DOC, Sizzano DOC, Valli Ossolane DOC.

Come nostra consuetudine di seguito condividiamo i nostri migliori assaggi.

I grandi nomi non deludono

Gli storici grandi nomi dell’Alto Piemonte non deludono anche in queste “nuove” annate.

Partiamo da Antoniolo che, a Gattinara, sforna ormai da decenni una gamma di vini di altissimo livello, fedeli alla tradizione, potenti ed eleganti allo stesso tempo. In particolare, il Gattinara Riserva DOCG Osso San Grato 2019 (60-70 €) è una vino dalla classe cristallina, probabilmente il miglior assaggio dell’evento.

Spostiamoci a Lessona dove Tenute Sella sfodera un Lessona DOC 2019 (25 €) estroverso e gustoso, qui al nebbiolo si unisce la vespolina per un vino che risulta molto aperto al naso (sangue, note ferrose, ribes), aristocratico e compito al sorso, con un tannino fuso e cremoso.

A Boca si trova invece Le Piane, che presenta una gamma convincente a partire dall’ottimo Boca DOC 2018 (60 €) vino di grande complessità e stratificazione; ci ha però colpito ancor di più il Piane 2021 (30-40 €), etichettato come “semplice” Vino Rosso, 90% di croatina da vecchie vigne con, a completare l’uvaggio, nebbiolo e vespolina. Un vino di grande personalità e carattere, con frutto rosso e spezie, al sorso risulta di grande impatto, tannico e persistente. Una delle espressioni di croatina più convincenti mai assaggiate.

Le sorprese positive

Chiamarli outsider sarebbe sbagliato, ma è un fatto che di fianco ai grandi nomi dell’Alto Piemonte ormai da anni hanno acquisito un posto di rilievo altri produttori che anche in questo evento si sono ben distinti.

In Val d’Ossola Cantine Garrone da diversi anni sta proponendo vini sempre più convincenti e identitari. Meritevole inoltre la valorizzazione e conservazione del prünent, antico clone di nebbiolo adattatosi alla perfezione in questi luoghi. Ci è piaciuto moltissimo il Prünent Valli Ossolane Nebbiolo Superiore DOC 2021 (30 €) dal profilo slanciato, fresco e saporito, con sentori che vanno dal frutto rosso alle erbe di montagna, con richiami ferrosi e speziati. Ottimo anche il Prünent Diecibrente Valli Ossolane DOC Nebbiolo Superiore 2020 (40 €), da uve provenienti da un vero e proprio “grand cru”, un vigneto del 1920. Il vino ha grande fascino e un quid di potenza e profondità sapida in più rispetto al Prünent 2021.

Tenute Vercellino è una giovane azienda di Valdengo (BI) che cura poco più di 2 ettari di vigna. Ci è piaciuto il Coste della Sesia Rosso 2022 (25 €), un uvaggio di nebbiolo (50%), barbera, vespolina, croatina ed uva rara che unisce al frutto goloso un’intrigante mineralità.

Per chiudere in bellezza parliamo dell’Azienda Agricola Gilberto Boniperti e del suo buonissimo Fara DOC Bartön 2021 (25 €) che si presenta con un naso elegantissimo e floreale e poi spiazza con una bocca sferzante per freschezza e grip tannico, un vino di grande personalità.

In questo post ci siamo limitati a riportare gli assaggi che più ci hanno colpito, ma la quasi totalità dei vini assaggiati ci è parsa convincente, ci sembra insomma che l’Alto Piemonte goda ottima salute!

Diego Mutarelli
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11 e 12 maggio 2024, in assaggio 150 sfumature di Lambrusco

Condividiamo un interessante evento che si terrà l’11 e il 12 maggio 2024 nel Complesso Monastico San Benedetto Po (MN). Si tratta di Lambrusco a Palazzo, rassegna ormai giunta alla nona edizione ed organizzata da ONAV Mantova e La Strada dei Vini e Sapori Mantovani.

Saranno 50 le cantine partecipanti e si potranno assaggiare oltre 150 etichette tutte a base di lambrusco, o meglio della vasta famiglia dei lambruschi, parliamo di vini frizzanti e spumanti prodotti nelle province di Modena, Reggio Emilia, Mantova e Parma.

Da non perdere, inoltre, la visita al complesso monastico ed in particolare alla Sala Capitolare del Polirone, appena restaurata.

Qualche informazione organizzativa:

Lambrusco a Palazzo, sabato 11 maggio dalle 15.00 alle 20.30 e domenica 12 maggio dalle 13.30 alle 20.00; Complesso Monastico San Benedetto Po (MN).

Ingresso all’evento da acquistare in loco al costo di 13 €, ingresso ridotto per soci ONAV, AIS, FISAR, FIS, ASPI, WSET (11 €).
Masterclass

sabato 11 maggio ore 16.00 (10 euro) Lambrusco ‘Il Metodo Classico’ a cura di ONAV.
domenica 12 maggio ore 16.00 (10 euro) ‘I vitigni autoctoni della Via Emilia’ a cura delle Donne del Vino Emilia Romagna.

Redazione

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Tre giovani produttori al Vinitaly 2024

Anche quest’anno abbiamo partecipato al Vinitaly, la più grande fiera del vino italiano che riesce a coniugare opportunità di affari tra gli operatori del mondovino e occasioni di scoperta e assaggio per tutti i “semplici” appassionati.

Abbiamo deciso di dedicare del tempo non solo ai classici assaggi ed incontri mirati negli spazi espositivi, ma anche alla partecipazione ad alcuni eventi organizzati all’interno della manifestazione. Particolarmente interessante l’evento che abbiamo deciso di condividere in questo post, si tratta di Young to Young, l’ormai consueto momento di confronto tra giovani vignaioli e comunicatori del vino moderato da Paolo Massobrio e Marco Gatti.

Ecco chi abbiamo incontrato!

Bosco Longhino, azienda storica dell’Oltrepò oggi guidata da Massimiliano e Greta Faravelli, tra i primi a puntare con convinzione sul pinot nero Metodo Classico. Abbiamo assaggiato il Pinot Nero Pas Dosè “Casto” 2018. Dopo l’accurata selezione delle uve e la loro vinificazione in acciaio, il vino sosta per ben 50 mesi sui lieviti. Nel calice il vino si presenta con una bollicina finissima ed un corredo olfattivo intrigante: fruttini rossi, mela golden, un bel tocco minerale. Il sorso è potente, ampio e di volume ma non difetta in progressione e allungo, la verve acida conferisce eleganza e freschezza. Chiude sapido e di ottima lunghezza.

Tonello Vini, azienda dei Monti Lessini, un’interessante territorio caratterizzato da terreno vulcanico che si trova tra le province di Vicenza e Verona. L’azienda si dedica prevalentemente alle uve a bacca bianca durella e garganega. Diletta Tonello ha portato in degustazione il Lessini Durello Metodo Classico Extra Brut “Io Teti” 2019. Naso divertente con richiami di frutta gialla, anche esotica, agrumi, roccia, spezie in formazione. Bocca intensa, di impatto acido molto importante (come da DNA del vitigno impiegato, la durella), rinfrescante e pericolosamente “dissetante” per un vino che si beve con grande facilità grazie anche ad una gustosa chiusura salata.

Azienda Agricola Emanuele Gambino, operativa dal 2016 in quel di Costigliole D’Asti con vigne a cavallo tra Langhe e Monferrato. Abbiamo assaggiato il Mò Frem 2020, un moscato bianco vinificato secco e affinato in anfore di terracotta da 750 litri. Un bianco da uve aromatiche che però riesce a superare le note varietali più spinte del moscato, il vino risulta agrumato, quindi si percepiscono note di erbe aromatiche (rosmarino, salvia) e di fiori di campo, un leggerissimo tocco di miele d’acacia. Sorso morbido ma del tutto secco e con la giusta acidità in filigrana. Potente e sapida la chiusura.

Diego Mutarelli
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Vini di Vignaioli: 3 vini da ricordare

L’evento Vini di Vignaioli a cui abbiamo partecipato – come anticipato in un post di qualche settimana fa – è stata un’ottima occasione per fare il punto sullo stato di salute di quell’ampio e variegato mondo dei vini naturali / artigianali / bio-qualcosa. Insomma quel movimento, difficilmente incasellabile ma indiscutibilmente in crescita, di aziende agricole che considerano il produrre vino un’atto politico, ovvero un agire che ha implicazioni etiche e trasmette valori ben precisi: capacità di ascolto della natura, riduzione al minimo dell’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi in vigna, salvaguardia del territorio, approccio artigianale alla produzione…

A giudicare dalla partecipazione all’evento, lo stato di salute del movimento è senz’altro molto buono, le due ampie sale adibite agli assaggi erano gremite di appassionati e i produttori presenti ci sono sembrati soddisfatti. Sulla qualità degli assaggi naturalmente, come sempre accade negli eventi di questo genere, ce n’era per tutti i gusti: giovani produttori alle prime armi con vini non privi di imprecisioni tecniche, vini espressivi e gustosi, grandi vini e stuzzicanti novità da seguire in futuro. Insomma non ci siamo annoiati!

Di seguito condividiamo i tre assaggi che ci hanno colpito particolarmente:

Foradori: l’azienda sita in Mezzolombardo (TN) di Elisabetta Foradori non ha bisogno di presentazioni, biodinamica fin dal 2002 è l’alfiere del vitigno teroldego che ha portato alla fama nazionale ed internazionale grazie al Granato, vero e proprio vino icona. Abbiamo assaggiato la delicata, ma fitta ed intrigante Fontanasanta Nosiola 2018, il Granato 2021 e 2016 entrambi di grande impatto e prospettiva, ma ci ha rapito il Teroldego Sgarzon 2015, fermentato e affinato 8 mesi in anfore spagnole (tinajas) si esprime su dettagli aromatici di grande eleganza, tra ribes, arancia, fiori rossi e un che di terroso, il sorso è ficcante, di grande dinamica e dal saporitissimo finale salino.

Porta del Vento: ci troviamo a Camporeale (PA), è qui che Marco Sferlazzo ha creato nel 2006 Porta del Vento. Le vigne si trovano a circa 600 metri sul livello del mare, in prevalenza alberelli di catarratto e perricone. Tra i vini assaggiati ci hanno colpito favorevolmente il Porta del Vento Catarratto 2022 sapidissimo e lungo ed un convincente Perricone 2021, denso e materico, ma di ottima beva e progressione, tannico e stratificato.

Podere La Brigata: azienda che non conoscevamo, si trova in Abruzzo, a Pratola Peligna (AQ), soli 3 ettari vitati a montepulciano, trebbiano, malvasia, moscato e riesling. Non ci sono molte informazioni su questa azienda di recente costituzione, si presentano con umiltà: “Vini fieri da osteria alla portata di tutti”. Abbiamo trovato vini semplici e schietti, ma di grande finezza e pulizia, espressività e slancio. Mamba Nero 2021, da vigne vecchie di montepulciano, affinato solo in acciaio, è una versione agile di montepulciano, ma di grande armonia con sorso caratterizzato dal frutto vivace e dalla trama sapida. Pianatorre 2021 è un altro vino rosso da montepulciano questa volta affinato in legno, stratificato e gustoso, fitto e vitale. Insomma, due vini che ci hanno fatto scoprire una realtà che ci sembra molto promettente e che seguiremo con attenzione.

Diego Mutarelli
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I più premiati fra i premiati

La rivista Civiltà del Bere, che quest’anno festeggia un importante anniversario, cinquanta anni di attività, annualmente estrapola dalle sei guide enologiche italiane (Vitae di AIS, Slow Wine, Doctor Wine, Bibenda, Veronelli e Gambero Rosso) i vini premiati che le accomunano; non stupiamoci se ogni anno ritroviamo vini blasonati, iconici, vini che hanno fatto la storia del vino italiano e ancora non smettono di farla, anche fuori dai confini nazionali.
Come ogni anno Civiltà del Bere ha organizzato a Milano una degustazione dal titolo “Simply the best” in cui erano presenti cantine pluripremiate dalle Guide e, non meno importante, dal cliente finale; parallelamente a questo evento, tenutosi il 25 marzo scorso, presso il Museo della Scienza e della Tecnologia, si sono organizzate due masterclass, condotte dal responsabile della rivista, Alessandro Torcoli, con protagonisti i 10 vini più premiati…fra i premiati.

Noi di Vinocondiviso abbiamo scelto di partecipare alla prima masterclass, ecco i cinque vini che abbiamo assaggiato:

  1. Valentini – Trebbiano d’Abruzzo DOC 2019; quando si parla di vini bianchi italiani destinati all’invecchiamento, il Trebbiano d’Abruzzo non è nei primi della lista, tranne che se affiancato dal cognome Valentini: qui si gioca un campionato a parte e anche fuori confine italico. Il vino assaggiato si presenta con un impatto aromatico intenso e complesso (fiori gialli di campo, cedro, mango, pinoli, cera d’api ) e un finale di bocca salmastro e lunghissimo; un vino che presenta ancora qualche spigolatura dovuta alla gioventù ma già di grande equilibrio e struttura.
  2. Tenuta San Guido – Sassicaia, Bolgheri Sassicaia DOC 2020; anno dopo anno (e ne sono passati più di sessanta, dal primo vino in commercio) le classiche note bordolesi risultano perfettamente integrate nella zona di Bolgheri, regalando balsamicità, eleganza, piacevolezza, finezza. Un vino che resta nell’Olimpo senza alcun indugio.
  3. Col d’Orcia – Poggio al Vento, Brunello di Montalcino Riserva DOCG 2016; da una singola vigna, da cui prende il nome, figlia di una scrupolosissima selezione massale, iniziata cinquanta anni fa Poggio al Vento viene prodotto sin dal 1982. Qui il tannino, rispetto al precedente assaggio, è assai più vigoroso ed energico, mentre le note aromatiche sono così numerose da rendere il vino un piccolo manualetto olfattivo: ribes, viola, foglia di tabacco, radice di zenzero, pepe nero, erbe aromatiche essiccate, olive nere, caramella all’eucalipto.
  4. Bertani – Amarone della Valpolicella Classico DOCG 2013; il terzo vino rosso in degustazione presenta a differenza dei primi due un colore rubino che già vira sul granato, con i suoi 96 mesi di affinamento in legno e una lunghissima sosta in bottiglia. Grande opulenza al naso (pot-pourri, ciliegia sotto spirito, curcuma, cioccolatino after-eight, liquerizia, funghi secchi) e altrettanta, se non maggiore, morbidezza e rotondità in bocca.
  5. Letrari – 976 Riserva del Fondatore, Trento DOC Riserva Brut 2012; si conclude con un metodo classico della cantina Letrari prodotto solo in annate particolarmente favorevoli, in questo caso il millesimo 2012, un anno dalla sboccatura, quindi 120 mesi sui lieviti, da un blend paritario di pinot nero e chardonnay. Lo spumante mantiene una discreta effervescenza alla vista, insieme alle classiche note di pasticceria, frutta gialla, mandorla, burro, erbe aromatiche ma, quello che sicuramente sorprende, è la grandissima freschezza che troviamo in bocca: un finale azzeccato per brindare all’altissima qualità dei vini premiati.

Alessandra Gianelli
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Cornas a Cortona (parte 1)

L’edizione 2024 del festival Chianina e Syrah si è tenuta a Cortona dal 9 all’11 marzo. Ogni anno avviene in concomitanza con la fiera Prowein a Düsseldorf, per questo non ho mai potuto partecipare. Tuttavia quest’anno ho saltato l’evento fieristico, così non mi sono fatta sfuggire l’occasione di visitare il festival che celebra le eccellenze enogastronomiche della Valdichiana.

Ancora una volta Cortona si dimostra un faro di creatività e maestria, e la sua comunità dovrebbe ispirare i borghi circostanti, che purtroppo non sono ancora in grado di suscitare lo stesso interesse con iniziative originali, nonostante il loro ricco patrimonio storico, architettonico e paesaggistico (ogni riferimento a Montepulciano è puramente casuale).

Tra le varie giornate della manifestazione, ho scelto domenica 10, per poter assistere ad una masterclass sulla regione vitivinicola di Cornas: ultimo avamposto per la syrah scendendo lungo il fiume nella valle del Rodano settentrionale.

Al timone della lezione, veri maestri del settore, come Lionel Fraisse, del domaine Alain Voge, Giampaolo Gravina (tra i colpevoli della mia ossessione per la Borgogna), il talentuoso sommelier e fotografo Marcello Brunetti, e infine Stefano Amerighi, un amico così eclettico che nessun aggettivo sarebbe mai sufficiente a descriverlo pienamente.

Ma perché proprio Cornas? Cos’ha spinto Stefano e tutti questi professionisti a voler mettere in luce una piccola appellation che comprende appena 164 ettari e una cinquantina di imbottigliatori, i quali hanno iniziato a valorizzare queste terre granitiche solo dopo gli anni Sessanta del secolo scorso?

Ammetto che quando visitai la regione due anni fa, lasciai in secondo piano Cornas, dedicandole sì e no una mezza giornata. Logisticamente non era un punto di appoggio comodo, ed ero più attratta dalle espressioni di syrah più popolari, come Hermitage oppure Côte-Rôtie, due regioni più settentrionali, dalle quali Cornas dista mezz’ora e un’ora di macchina.

Avevo sentito parlare del tipico sentore di oliva in questa regione calda, e temevo di ritrovare una certa opulenza rispetto all’eleganza. Questo è un pregiudizio sbagliato, e l’ho intuito raggiungendo la sommità della collina: nonostante la terra sia calda e siccitosa, l’altitudine raggiunge i 400 metri di altezza, con un dislivello di 300 metri (Hermitage, anch’essa molto ventosa, si sviluppa su circa 300 metri di altezza, mentre le viti sulla Côte-Rôtie crescono dai 180 ai 325 m.s.l.m.).

Quali potrebbero essere dunque le ragioni che hanno suscitato il fascino di questo promontorio? Di certo l’altitudine, oppure l’omogeneità delle condizioni pedoclimatiche, o ancora la circoscrizione limitata dell’area vinicola. Non solo: così come la syrah è l’unico vitigno ammesso per produrre l’AOC Cornas, allo stesso modo il granito è la sola matrice geologica del territorio. Tutto ciò comporta una chiave di lettura del vino coerente, garantendo agli appassionati una certa riconoscibilità.

Ma non è tutto. Ciò che rende speciale Cornas è la sua comunità, composta da produttori che hanno assecondato una delle esigenze umane più distintive: interpretare. Si sono armati di raspi, carrucole, barrique per essere tradizionalisti e cemento per essere progressisti. Teloni di plastica sulla vigna come se fosse un orto per contenere l’umidità, e vasche a forma di diamante. Hanno unito diverse parcelle in un unico vino, oppure le hanno lasciate distinte, non perché un’annata fosse peggiore di un’altra, ma perché l’identità del territorio in un vino si rifà banalmente a chi quel luogo lo custodisce.

Il post prosegue con il racconto dei 7 Cornas che ho assaggiato. Verrà pubblicato tra qualche giorno, non perdertelo! Leggi qui la seconda parte.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi

Vini di Vignaioli 2024, 17 e 18 marzo 2024

Sei amante dei vini artigianali e naturali? Allora blocca l’agenda il 17 e il 18 marzo 2024, arriva infatti a Milano Vini di Vignaioli, la storica fiera di Fornovo di Taro.

Sarà l’occasione per parlare di persona con molti produttori, assaggiare i loro vini e, perché no, fare scorta delle bottiglie di nostro gradimento.

L’elenco dei produttori presenti è disponibile a questo link.

Noi ci saremo e, come sempre, vi racconteremo i nostri migliori assaggi.

E voi, ci sarete?

Tutte le informazioni relative all’acquisto dei biglietti, sulla location e i dettagli organizzativi li trovi sul sito web Vini di Vignaioli.

Diego Mutarelli
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Villa Pigna: il territorio Piceno in un calice!

La cantina Villa Pigna è una bella realtà del territorio Piceno guidata magistralmente, sin dalla sua fondazione, dalla famiglia Rozzi; dapprima dal suo fondatore Costantino, il vulcanico presidente dell’Ascoli Calcio, ed in seguito dalla figlia Anna Maria e da suo figlio Giorgio.
La cantina fu costruita al centro dei suoi vigneti intorno alla metà degli anni 70 del secolo scorso e fu considerata avveniristica per il tempo.
L’idea di Costantino Rozzi era quella di produrre un vino di qualità superiore coniugando la tradizione con le nuove tecnologie produttive.


L’incontro con Anna Maria Rozzi è stato un vortice di emozioni, uno scambio di idee all’interno del concetto di fare vino guidati dalla tradizione e dal chiaro intento di ritrovare il Piceno in un calice.
In quest’ottica si orienta la scelta di focalizzare la produzione sulla denominazione Rosso Piceno Superiore Doc, una delle più antiche d’Italia, e di puntare ad un affinamento in bottiglia per un periodo più lungo rispetto a quanto prevede il disciplinare.
L’affinamento in bottiglia avviene, oggi come allora, in un locale sotterraneo della cantina che gode di una temperatura naturale e costante tutto l’anno.
La poliedrica Anna Maria Rozzi, nelle sfide che ha dovuto affrontare nel suo percorso, ha potuto far leva su di una forte consapevolezza basata sul fatto che “non era necessario fare di più, bensì poteva farlo meglio” come lei stessa sottolinea.
In virtù del fortissimo legame del fondatore Costantino Rozzi e della stessa cantina Villa Pigna con il territorio Piceno, è nata l’idea di fornire due interpretazioni del Rosso Piceno Doc: la versione tradizionale con il Rozzano composto per l’85% da montepulciano e per il 15% da sangiovese e la versione internazionale con il Vellutato, 70% montepulciano, 15% sangiovese e 15% cabernet sauvignon.

Vellutato 2020 – Rosso Piceno Superiore doc

Il Vellutato 2020 è l’interpretazione “internazionale” del Rosso Piceno Superiore doc come ama definirlo Anna Maria Rozzi.
Un blend molto interessante dal punto di vista enologico che prevede l’impiego dell’internazionale cabernet sauvignon in aggiunta a montepulciano e sangiovese.


Il calice si veste di un colore rosso rubino di buona fittezza con una smagliante vivacità sintomo di un buono stato di salute del vino.
Avvicinando il calice al naso l’impatto olfattivo è deciso, netto, pieno. Se i primi riconoscimenti richiamano profumi floreali e fruttati di rose rosse e ciliegia, facendo successivamente roteare il vino nel calice si percepiscono lievi sentori vegetali derivanti dalla presenza del cabernet sauvignon e richiami alle spezie con la vaniglia in evidenza, a ricordarci del passaggio in barrique francesi.
L’ingresso del vino in bocca è leggiadro e sbarazzino ma al tempo stesso denota un’eleganza che potremmo quasi definire amabile.
Al sorso ritroviamo la nota fruttata di ciliegia che abbiamo percepito all’olfatto.
La morbidezza espressa non inficia l’equilibrio del vino che vive del perfetto bilanciamento tra la freschezza e l’acidità da una parte e il tenore alcolico dall’altra.
Avviandosi alla conclusione dell’assaggio possiamo affermare che siamo di fronte ad un vino mediamente persistente che rappresenta appieno la tipologia.
Un vino poliedrico che si abbina ad antipasti della tradizione picena come la pizza di cacio e salamino, primi piatti rossi non troppo elaborati e a carni rosse alla brace. Non disdegna gli aperitivi magari accompagnati dai salumi della tradizione contadina picena e dai formaggi di media stagionatura.

Rozzano 2018 – Rosso Piceno Superiore doc

L’interpretazione tradizionale del Rosso Piceno Superiore doc composto da montepulciano per l’85% e la restante parte da sangiovese.
Un vino elegante che definirei “il Piceno in un bicchiere” perché riesce a far convivere l’esuberanza tipica del montepulciano con la personalità gusto olfattiva e l’eleganza del sangiovese.


Anna Maria Rozzi ci tiene a sottolineare che si tratta di due vitigni con due personalità ben distinte con il sangiovese che prima di essere vinificato viene lasciato per una ventina di giorni sui graticci. Una pratica che conferisce e caratterizza il vino di un sentore speziato riconducibile al pepe nero.
Una bella espressione del Rosso Piceno Superiore doc che si fa apprezzare per un colore rosso rubino di grande vivacità e pulizia cromatica.
Olfatto di buona intensità con l’amarena in primo piano, con successivi richiami di rose rosse e in sequenza note speziate di pepe nero, vaniglia, liquirizia e cacao. Al palato il sorso risulta pieno e coinvolgente con una ben percepibile acidità che donerà longevità al vino che non potrà che migliorare con il tempo! La sapiente trama tannica è caratterizzata da un tannino ben presente ma levigato con una buona morbidezza sintomo di uve raccolte a piena maturazione. Forte la curiosità di affrontare l’esperienza degustativa che l’annata 2018 potrà regalarci fra una decina di anni!
La persistenza è medio lunga con richiami fruttati e di cacao. Una nota vegetale e un richiamo boisé rendono il vino complesso. Un vino armonico e di carattere!

Non sono state certamente scevre di ostacoli le strade intraprese dall’attuale proprietà per portare avanti l’idea del fondatore di fare vino e soprattutto fare cultura del vino, ma dalle scelte più difficili sovente possono nascere belle interpretazioni di un’identità territoriale.

Walter Gaetani


Virtù etiche e virtù vitivinicole: Benvenuto Brunello 2019

Se qualcuno chiedesse la mia opinione su una bella annata come la 2019 a Montalcino, che cosa potrei rispondere in modo da non risultare banale?

Sabato 25 novembre ho avuto la fortuna di potermi accomodare in uno dei tavoli sistemati nel chiostro del Consorzio del Brunello di Montalcino e di assaggiare in anteprima la nuova annata che sarà disponibile sul mercato a partire da gennaio 2024.

Faccio una doverosa premessa, visto che non scrivo su questi canali da un po’: se qualcuno chiedesse la mia opinione su un Brunello, probabilmente lo farà sapendo che il sangiovese fa parte del mio lavoro da una decina d’anni, tuttavia non sono di Montalcino, anzi non sono nemmeno toscana, e se spesso questa la sento come una condanna divertente, allo stesso tempo credo che le mie radici siano sufficientemente lontane da permettermi di mantenere la giusta distanza e un certo senso critico.

Ora, come direbbe Soldati, vino al vino, quindi torniamo a ciò che conta davvero. Seduta al mio tavolo, con sei bicchieri davanti, ho avuto circa tre ore a disposizione per farmi un’idea del frutto di anni di lavoro da parte dei produttori di quest’angolo di Toscana.

Leggendo la lista dei vini a disposizione, ho notato diversi elefanti nella stanza, o meglio nel chiostro, certi grandi assenti, perciò ho provato ad accogliere questa mancanza con positività, visto che solo così avrei degustato in maniera più democratica, senza precipitarmi sulle bottiglie che solitamente prediligo. Andando a memoria, la 2019 è stata un’annata calda e soleggiata e allo stesso tempo di grande equilibrio, soprattutto nell’ultima fase di maturazione dell’uva, dove le escursioni termiche hanno permesso una vendemmia di quantità e di qualità. Fare vino e fare filosofia li vedo procedimenti molto simili, dopotutto ogni cantina ha una sua storia e una sua filosofia di produzione. Non solo, produrre un buon vino presuppone la ricerca della virtù, o meglio dell’aretè greca, vale a dire l’indagine sull’essenza bella e buona di ciascuna cosa, che sia un’uva, un territorio o una particolare annata, in modo da plasmare e rendere questi elementi ciò che devono essere.

I greci dicevano poi che l’esercizio della virtù va fatto katà métron, secondo misura, perché l’armonia non prevede esagerazioni, e a mio avviso i produttori sono più inclini ad applicare questa regola nelle annate difficili, quando il calcolo, la misura e la proporzione in vigna e in cantina fanno la differenza. Se l’annata invece è molto buona e ricca di promesse, l’estro sarebbe invogliato ad estrarle tutte. Sono tanti gli esempi vinicoli in cui la tentazione di estrapolare in abbondanza ha preso il sopravvento, e il risultato è sempre smisurato. Basti pensare alla concentrazione di alcune bottiglie di Gran Selezione di Chianti Classico, seppure questa sia la denominazione che prediligo come espressione di sangiovese al giorno d’oggi, oppure alla predominanza del legno in certe espressioni di Brunello di Montalcino in un’annata straordinaria come la 2016. L’unico mio timore quando mi sono seduta a quel tavolo di degustazione era proprio la mancanza della giusta misura.

Ho capito solo lavorando nel mondo del vino il vero significato di questo senso di misura talmente importante nell’antichità. Con l’orologio alla mano ho dato inizio alla prima batteria di assaggio. Calice dopo calice, ho scoperto vini molto aperti e disponibili, già equilibrati e piacevoli, alcuni più timidi di altri per via della gioventù, in altri casi invece ho notato una certa esuberanza nei sentori dati dal legno, sperando sempre che il tempo riesca a placarla un poco. Lo scopo di questa mia indagine era quello di scovare un filo conduttore tra gli assaggi, e non ho fatto una gran fatica a trovarlo: la raffinatezza del tannino, setoso perché giunto alla giusta maturazione, accompagnato da profumi molto freschi, che contenevano e bilanciavano il tenore alcolico, infine una concentrazione movimentata dall’acidità. L’equilibrio, la giusta misura, l’armonia, sono dopotutto il mantra dei più elevati pensieri filosofici.

Se ogni indagine porta in ogni caso al sommo bene, ho deciso di accogliere con un certo stupore e meraviglia i vini che si sono distinti per la loro finitura garbata, e mi scuso se in tre ore non ho fatto in tempo ad assaggiare tutto ciò che avrei voluto.

Lisini (etichetta nera), era da qualche anno che aspettavo mi meravigliasse come una volta, l’ho trovato sfaccettato nei profumi, con piacevoli note di frutti di bosco e un tannino poco timido, promessa di una grande longevità.

Pietroso, ho chiesto una seconda bottiglia perché la prima non mi convinceva. Eccoci finalmente. Dinamico e rigoroso allo stesso tempo, dal gusto pieno, squisitamente floreale.

Tassi Vigna Colombaiolo, nonostante lo stile riduttivo che apprezzo spesso nel sangiovese ho ritrovato comunque un frutto dolce e un tannino morbido e succoso, in equilibrio con l’acidità.

Talenti Selezione Piero, colore concentrato, mi ha sorpresa il frutto blu che ho ritrovato sia al naso che in bocca. Spesso tendiamo a pensare che la frutta così scura sia l’anticamera dell’opulenza, in realtà in questo caso si trattava di un mirtillo freschissimo e croccante.

Casanova di Neri (etichetta bianca), peccato non essere ancora riuscita ad assaggiare il Brunello Giovanni Neri, tuttavia anche qua è facile scoprire un’interpretazione incline al gusto baroleggiante, nella sua accezione più elegante e positiva.

Sesti, ho particolarmente apprezzato il suo centro bocca, voluminoso ma mantenendo sempre quel senso di proporzione proprio di un vero Brunello.

– Infine come ogni anno voglio dedicare lo spazio a un Rosso di Montalcino che mi ha stupito più di tanti Brunelli, ovvero il Rosso 2021 di Gorelli, così succoso e piacevole, dal naso salino e il tannino di velluto.

“Ogni arte e ogni indagine persegue un qualche bene,
e per questo il bene è stato definito ciò cui tutto tende.”

Aristotele, Etica Nicomachea, Libro I.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi