Tre vitigni e una pergola: 33/33/33 biodinamico campano da scoprire!

Oggi parliamo di un vino bianco decisamente originale, si tratta del 33/33/33, Campania IGT Bianco 2017 di Vallisassoli.

33/33/33 è un vino ottenuto da un unico vigneto di un ettaro allevato con il sistema di pergola avellinese, in cui convivono tre vitigni che in parti uguali – come suggerisce il nome del vino – confluiscono nel prodotto finale.

La scelta più spontanea è stata quella di vinificare insieme le tre varietà a bacca bianca simbolo della Campania, o meglio dell’avellinese: fiano, greco e coda di volpe.

Ci troviamo in Valle Caudina, in provincia di Avellino ma al confine con la provincia di Benevento, ed è qui che Paolo Clemente dedica tutte le sue energie a quella singola pergola di un ettaro piantata dal padre. L’azienda segue i dettami della biodinamica (certificazione Demeter). La fermentazione è spontanea, vinificazione in serbatoi di acciaio inox, nessuna chiarifica ma affinamento sulle fecce fini piuttosto prolungato. Poco più di 2.000 le bottiglie prodotte.

Il colore è un bel giallo oro antico. Il naso è molto intrigante, si susseguono macchia mediterranea, nocciola, castagna affumicata, nespola, il tutto accompagnato sullo sfondo da sentori marini di alghe/battigia.

In bocca il vino si muove agile, delicato, ma di grande personalità, i 13% di titolo alcolometrico sono perfettamente gestiti grazie ad una materia ricca ed equilibrata, in cui il lavorio delle fecce fini gioca un ruolo importante donando slancio e spessore al sorso. In chiusura la sapidità è molto netta (è il greco che gioca la sua parte) e i ritorni sono di frutta, roccia e mare.

Abbinamento territoriale azzeccato con una pasta, patate e provola affumicata.

Diego Mutarelli
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Toro “El Picaro” 2018 – Matsu

Oggi ti parlo di un vino spagnolo della denominazione Toro, ottenuto in biodinamica da vigne di Tempranillo di 90 anni. Acquistato in Spagna ad un prezzo accattivante non potevo esimermi dal provarlo. L’azienda che lo produce si chiama Matsu e fa una linea di vini dalle etichette decisamente fuori dal comune.

Toro “El Picaro” 2018 – Matsu

Toro “El Picaro” 2018 – Matsu

Il rosso ancora porpora brilla e ci ricorda che il vino è ancora giovanissimo. L’olfatto è sul frutto maturo (ciliegia e prugna), poi viola e un tocco pungente ed etereo (lacca).

L’ingresso in bocca è caldo e lo sviluppo rustico, dettato da tannini graffianti che segnano il finale del vino che risulta amaricante.

Minus: vino che, pur senza difetti eclatanti, manca di eleganza e progressione ma anche di facilità di beva. Insomma: riesce a scontentare sia chi ricerca fragranza e immediatezza, sia chi aspira a intensità e potenza.

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Savoia biodinamica: Gilles Berlioz

la roussanne: oro liquido

Nell’articolo introduttivo sui vini della Savoia, ti ho già citato Gilles Berlioz, l’antesignano della biodinamica in Savoia.
Oggi ti parlo di una delle sue celebri roussanne, in particolare di una cuvée chiamata “Les Fripons” (i discoli) denominazione Chignin-Bergeron.

Vin de Savoie Chignon-Bergeron “Les Fripons” 2014 – Gilles Berlioz

Oro liquido nel bicchiere: luminoso e vivo.
Olfatto decisamente complesso: iodio, scogli, una nota vegetale che ricorda la foglia di menta e che rinfresca il fruttato dell’albicocca.
Qualche istante e il naso continua a cambiare sfoderando violetta, polline, nocciola e persino una curiosa nota di farina di mais.
Il sorso si allarga piuttosto morbido nel cavo orale, il sapore si espande veicolato dall’alcol leggero (12%) e dalla sapidità che supportano con naturalezza la progressione.
L’acidità, non strabordante (in linea con le caratteristiche della roussanne), è presente sottotraccia e fa capolino in fin di bocca.
La chiusura è sapida ed elegante, soave ma lunga, su ritorni delicatamente agrumati.

Plus: vino originale ed espressivo senza inutili stravaganze. Naso intrigante e beva molto semplice.
Minus: maggiore tensione acida avrebbe forse giovato alla dinamica gustativa.

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Diego Mutarelli
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Chinon e biodinamica: Béatrice et Pascal Lambert

Quest’estate sono passato a Chinon e, tra gli altri, ho visitato il domaine Béatrice et Pascal Lambert. I Lambert vinificano dal 1987 e praticano l’agricoltura biologica da 20 anni. Dal 2005 sposano anche la filosofia biodinamica.

Il domaine possiede 17 ettari a Cravant les Coteaux e a Chinon. Molto interessante la loro gamma di vini rossi e rosati ottenuti da cabernet franc e di vini bianchi da chenin blanc. Sono rimasto colpito in particolare dagli Chinon rouge della linea “cuvées parcellaires”, vins de garde di ottima fattura e soprattutto caratterizzati da grande vivacità e mobilità nel bicchiere.

Oggi ti parlo di uno di questi vini, bevuto con calma dopo averlo comprato presso il produttore (21 € franco cantina).

Chinon Cuveé Marie 2013 - Béatrice et Pascal Lambert
Chinon Cuveé Marie 2013 – Béatrice et Pascal Lambert

Chinon Cuveé Marie 2013 – Béatrice et Pascal Lambert

Rosso rubino chiaro, leggermente velato. Il naso è pulitissimo e fin da subito molto mobile: dapprima lamponi maturi, poi fiori rossi appassiti, un tocco non prevaricante di erba tagliata, e poi ancora rosa canina, timo, geranio, pepe verde e, infine, un tocco affumicato.
La bocca è succosa e fresca, innervata da una saporita scia vegetale. Tannino ed alcol sono in perfetto equilibrio, entrambi misurati e fini.
La chiusura, lunga ed elegante, è speziata e sapida.

Plus: vino molto mobile, dotato di grande agilità e freschezza senza eccessi verdi nè durezze.

Minus: manca un po’ di polpa a dare “spessore” al sorso.

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Il vino è ottenuto da vigne vecchie (75-85 anni) lavorate con il cavallo. Il vino affina in barrique 24 mesi.

Aubert de Villaine a ruota libera tra biodinamica, difesa del terroir e prezzi nell’intervista su Le Figaro

Il post in oggetto è un consiglio di lettura, non sono così frequenti le interviste di Aubert de Villaine del Domaine de la Romanée-Conti.

Aubert de Villaine
Aubert de Villaine – credits: Le Figaro Vin

Di seguito estrapolo solo un paio di passaggi dall’articolo che ti consiglio ovviamente di leggere per intero: intervista Aubert de Villaine Le Figaro

 

Exprimer le terroir passe, bien entendu, par le respect des sols. Nous savons peu de chose quant à son mode de fonctionnement. Il héberge de très nombreux micro-organismes, de la surface jusqu’à la roche mère. Pour le nourrir sans le dénaturer, il faut, par exemple, trouver le bon compost : il ne s’agit pas d’enrichir les sols, mais de leur apporter de la vie biologique. De même, nous avons beaucoup réfléchi sur nos méthodes de travail dans la vigne, sur les labours… C’est ensuite assez naturellement que nous sommes passés à la biodynamie. Nous avons débuté, à la fin des années 1990, des expérimentations sur 6 hectares. Puis nous avons converti l’intégralité du domaine en biodynamie en 2006. Comme il était compliqué de mener de front la bio et la biodynamie, il a fallu faire un choix.

(credits: intervista Aubert de Villaine Le Figaro)

e ancora:

Regardez la vente du Domaine Bonneau du Martray. Même si le prix de vente n’a pas été divulgué, les chiffres qui circulent (entre 100 et 200 millions d’euros) sont absolument affolants, et sans aucun lien avec l’économie. Ces niveaux de transaction mettent en danger l’équilibre de la Bourgogne et l’avenir des domaines familiaux. S’ils sont retenus comme références par l’administration fiscale pour l’ISF ou les transmissions, cela conduira à la vente des domaines familiaux au profit de grands groupes ou de riches industriels. L’Etat doit ici assumer ses responsabilités. Il faut absolument que le fisc admette de prendre en compte des valeurs basées non sur le prix, mais sur la rentabilité économique.

(credits: intervista Aubert de Villaine Le Figaro)

Loreto Aprutino ha un nuovo punto fermo: De Fermo

C’è un nuovo grande produttore in quel terroir straordinario di Loreto Aprutino. Non bastavano Valentini e Torre dei Beati agli appassionati dei vitigni abruzzesi evidentemente!

Approfittando delle vacanze pasquali ho avuto l’occasione di visitare l’azienda agricola De Fermo che si dedica all’agricoltura, e non solo alla viticoltura, dal 1785. Ma, in Contrada Cordano, frazione di Loreto Aprutino dove si trova l’azienda, l’olivicoltura e la viticoltura sono documentante addirittura dal IX secolo.

De Fermo: vigne
De Fermo: vigne

La vigna è tutta a spalliera e occupa poco meno di 17 ettari ad un’altitudine di 280-320 metri slm.

Mi ha accolto in azienda Stefano Papetti Ceroni che, con la moglie Eloisa, conduce brillantemente l’azienda che solo in tempi recenti (dall’annata 2010) ha deciso di imbottigliare i propri vini.

La filosofia De Fermo si basa sull’ascolto dell’ecosistema in cui è  immersa, la scelta biologica e biodinamica è stata quindi naturale ma non ostentata né, tanto meno, riportata in etichetta. La cantina si muove di conseguenza: fermentazioni spontanee e lieviti autoctoni, nessun controllo delle temperature, banditi batteri o enzimi. Nessuna chiarifica, stabilizzazione o filtrazione. In azienda non c’è nessun contenitore di affinamento in acciaio, solo cemento e legno (botti e tonneaux).

Circa 40.000 le bottiglie prodotte da uve montepulciano, pecorino e chardonnay (clone presente in azienda da inizio ‘900).

Ho assaggiato da botte il Cerasuolo d’Abruzzo “Le Cince” 2016 fresco e delicato, profumatissimo di fragoline e rose, di grande eleganza e sapidità in bocca. Vino da merenda o da tavola gourmet, versatile e beverino ma assolutamente da prendere sul serio. Un rosè senza alcun complesso di inferiorità. Il vino è ottenuto – naturalmente – da montepulciano e fermenta in legno e cemento affinando 8-10 mesi in botti grandi.

Secondo assaggio, sempre pre-imbottigliamento, con il Montepulciano d’Abruzzo “Concrete” 2016. Un montepulciano che, a partire dalla rapida fermentazione a grappoli interi (alla maniera di quanto si fa a Morgon e dintorni) vuole essere più agile ed immediato del classico montepulciano dalle “spalle larghe” (che pure è in gamma, si chiama Prologo): il tentativo riesce, il Concrete – così chiamato perché fermenta e affina solo in cemento – è un montepulciano floreale e fruttato senza eccessi tannici né note di surmaturazione.

Rimani in contatto…ho preso qualche bottiglia da degustare e di cui relazionerò a breve su questi schermi!

Grasberg 2010 Marcel Deiss: l’Alsazia senza compromessi

Il Domaine Marcel Deiss si trova a Bergheim, nel cuore dell’Alsazia, e non si è mai accontentato di essere una delle aziende storiche della zona (la famiglia si occupa di vigna dal 1744!). In una zona in cui il vitigno è, in genere, ben evidente in etichetta (in passato, per i grand cru, era persino obbligatorio indicarlo in etichetta), la scelta dei Deiss è stata controcorrente. Hanno cioè deciso di puntate tutto sul terroir abbracciando la biodinamica e, soprattutto, riscoprendo l’antica pratica della complantation, una pratica agronomica che consiste nel piantare in una stessa vigna differenti varietà raccogliendole e vinificandole contemporaneamente.

Alsace Grasberg 2010 - Marcel Deiss
Alsace Grasberg 2010 – Marcel Deiss

 

Alsace Grasberg 2010 – Marcel Deiss

Il colore è oro antico. L’olfatto è invitante ma non sfacciato, anzi di dipana con misura ed eleganza: arancia, buccia di limone, rosa, menta, calcare, tocchi speziati.

La bocca è morbida e abboccata, si sviluppa con suadenza ma anche con una certa rapidità, arrivando un po’ bruscamente ad una chiusura piuttosto calda, caratterizzata da un retrolfatto di uva passa sotto spirito. La persistenza c’è ed è innervata da ottima scia sapida e agrumata.

Un po’ di ossidazione fa capolino in un vino interessante ma da cui mi aspettavo di più.

85

Per la cronaca: il vino è ottenuto da Riesling, Pinot Gris e Gewurztraminer.

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