Chianti Classico è futuro (parte 2)

Dopo l’introduzione all’evento Chianti Classico Collection di cui ho parlato nella prima parte, mi piacerebbe ora condividere quelli che sono a mio avviso alcuni degli assaggi più stimolanti.

Come Chianti Classico annata, tra i miei preferiti ritrovo I Fabbri, che negli ultimi anni ha affilato con gentilezza le espressioni più vibranti di Lamole. Della stessa tipologia devo nominare Riecine, il cui frutto scuro rappresenta ormai la firma stilistica dell’azienda. Anche il Chianti Classico di Tregole è stato in grado di esprimere l’annata in maniera esemplare, rispettando il terroir peculiare di Castellina che volge lo sguardo verso Radda.

Nella tipologia Riserva sono rimasta ancora una volta colpita da Vigna Barbischio di Maurizio Alongi, la sua persistenza è durata il tempo di attraversare tutto il corridoio della Leopolda senza perdere gusto. Come non rimanere incantati dalla Riserva di Castell’in Villa, che con la 2016 ha raggiunto picchi di eccellenza assoluta nella fattura del tannino e nella piacevolezza in bocca. Ci auguriamo che il tempo sia altrettanto benevolo nell’affinamento di una 2017 ancora molto giovane. Per chi apprezza i vini eleganti ma pur sempre tridimensionali, consiglio la Riserva di Nardi Viticoltori.

Come Gran Selezione vorrei soffermarmi su Istine, nell’annata 2021 i tre cru hanno affinato più a lungo in botte e in bottiglia per essere presentati per la prima volta come Gran Selezione. Una raffinatezza fatta di piccole sfumature che negli aromi ricordano fiori e frutti freschi, come se fossero stati colti appena maturi. Monteraponi presenta con l’annata 2019 per la prima volta una Gran Selezione che, assieme al Baron’Ugo 2020, incarna l’essenza di Radda attraverso l’eleganza e la coerenza di un frutto rosso mai timido, accompagnato da note floreali come la viola sempre riconoscibili (in poche parole, non sono poi tanto diversi i due vini).

Rimango anche piacevolmente stupita da Cigliano di Sopra, sia nella versione annata che Riserva. L’esuberanza di questi vini, dovuta a particolari tecniche agronomiche e di cantina, risulta totalmente diversa rispetto ad altre espressioni molto buone di San Casciano, e ciò mi fa domandare se siano loro a discostarsi totalmente da questa UGA, o se in realtà siano gli unici ad essere stati in grado di interpretarla in maniera esemplare.

Infine, tra i vini di maggior carattere devo segnalare Le Viti di Livio 2016 di Fattoria di Lamole e Sa’etta 2022 di Monte Bernardi, vini autentici, schietti, sempre indimenticabili.

Meriterebbe che elencassi tanti altri vini che mi hanno catturato il cuore, ma non vorrei essere troppo di parte, poiché considero questo territorio come una tra le più promettenti regioni vitivinicole in Italia e nel mondo, con un passato antichissimo, ma allo stesso tempo alle porte del suo rinascimento. Ho trascorso in Chianti Classico due anni indimenticabili, fatti di opportunità e crescita personale e professionale. Nonostante questo capitolo della mia vita si sia appena concluso, ho la consapevolezza che la comunità creata negli ultimi anni, che ho visto nascere in un viaggio in Corea del Sud e della quale sono orgogliosa di averne fatto parte, porterà un’aria fresca di rinnovamento alla denominazione, e auguro al futuro del mondo del vino italiano di essere in grado di attingere allo spirito di unione e condivisione che ho ritrovato in queste terre boschive.

Elena Zanasi
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Chianti Classico Vigna Casanova dell’Aia 2020 – Istine

Da qualche anno il Chianti Classico sta vivendo una fase di grande crescita sia in termini di attività e innovazioni da parte del Consorzio Chianti Classico sia, conseguentemente, di interesse da parte della critica e degli appassionati. I produttori danno l’idea di “fare sistema” e la scelta di puntare sulle UGA, le Unità Geografiche Aggiuntive, sembra cogliere appieno lo spirito del tempo, ovvero quello di proporre prodotti riconoscibili e figli del terroir di provenienza.

Photocredit: Istine.it

Esempio perfetto di questa nouvelle vague chiantigiana è senza dubbio l’azienda di cui ti parliamo oggi, complice un recentissimo assaggio che ci ha colpito. Si tratta di Istine, azienda di Radda in Chianti, rappresentante dunque di una della più vivaci Unità Geografiche. La storia vitivinicola di Istine è abbastanza recente, è solo dalla vendemmia 2009 infatti che esce con una propria etichetta (precedentemente vino e uva dei vigneti di proprietà erano conferiti ad altre aziende), ma ciò non ha impedito all’azienda di ritagliarsi in poco tempo uno spazio di tutto rispetto tra le aziende di Radda in particolare e del Chianti Classico più in generale.

Chianti Classico Vigna Casanova dell’Aia 2020 – Istine

100% sangiovese da una vigna di circa 4 ettari, Casanova dell’Aia, che si trova nei pressi del paese di Radda in Chianti, ad un’altitudine di 500 metri sul livello del mare in piena esposizione sud. Vinificazione in cemento e affinamento di 12 mesi in botti di rovere di Slavonia da 20 o 30 hl, seguiti da circa 1 anno di riposo in bottiglia.

Il colore è un rosso rubino luminoso. Ad un primo naso prevalentemente florale segue una nota dolce e croccante di ribes rosso, quindi un tocco di incenso per poi atterrare su note boschive di terra smossa. Il sorso è succoso, una poderosa acidità sostiene lo sviluppo e fa salivare la bocca, il vino è intenso e goloso ma si muove con grande leggiadria ed eleganza nonostante un tannino fitto ma di grana finissima. Chiude lungo e sapido su ritorni di radice di liquirizia e frutta rossa.

Plus: un Chianti Classico che non punta solo sulla piacevolezza e semplicità di beva, ma alza l’asticella affiancando all’immediatezza stratificazione e ampiezza aromatica. Il vino è ancora estremamente giovane, qualche anno di bottiglia lo renderanno ancora più compiuto.

Diego Mutarelli
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Mercato dei Vini FIVI a Piacenza: assaggi e riflessioni

La decima edizione del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti era particolarmente attesa, visto che nel 2020 non si era potuta tenere a causa della pandemia. La paziente attesa è stata ripagata da una grande affluenza di produttori espositori (oltre 600) e di visitatori, in gran parte appassionati e operatori del settore.

Organizzazione e logistica

Spesso gli eventi vinosi peccano in organizzazione e logistica, soprattutto se l’affluenza è considerevole. Non è stato il caso di questo evento. Piacenza Expo è risultata una location sufficientemente ampia – anche nei parcheggi – e ben collegata con un servizio di navette efficiente e puntuale che faceva spola tra la fiera e la stazione dei treni. Su quest’ultimo punto suggerirei ai promotori di Modena Champagne Experience una chiacchierata con i colleghi FIVI perché decisamente siamo su un altro pianeta… L’inevitabile coda all’apertura dei cancelli, nonostante la verifica del Green Pass, è stata smaltita in un tempo ragionevole e all’interno dei padiglioni si riusciva a passeggiare con una certa tranquillità. Persino lo spazio dedicato al ristoro mi è sembrato ben dimensionato e, soprattutto, di qualità.

Assaggi

In un’evento del genere è impossibile assaggiare tutto, ovviamente, e per questo ho deciso di dedicarmi ai produttori che frequento con meno costanza o che non conoscevo. La serendipità negli assaggi è anche agevolata dalla mancanza di un ordine preciso dei banchetti: i produttori non sono dislocati per denominazione o area geografica, capita così che mentre degusti un Chianti ti cada l’occhio sul banchetto vicino di un produttore pugliese o sardo che magari non conoscevi.

Di seguito quindi, senza un ordine particolare, un cenno ai vini che mi hanno più colpito.

Partiamo dal Valtellina Superiore Grumello 2015 di Gianatti Giorgio con un color melograno chiarissimo, con un naso delicato ma frastagliato come un ricamo, suadente e profondo, un vino d’altri tempi. Decisamente convincente il Chianti Classico Riserva Levigne 2013 di Istine di gran frutto e spessore, migliorerà ancora. Il Vin Santo Albarola Val di Nure di Barattieri si conferma tra i migliori vini passiti italiani, ho assaggiato i millesimi 2008 e 2010, con una leggera preferenza per il 2008, ma sono gusti individuali che nulla tolgono all’emozione derivante dall’assaggio di questo nettare di malvasia di Candia aromatica che sosta 10 anni in caratelli (alcuni dei quali del 1800!). Da segnalare il Grignolino del Monferrato Casalese Bestia Grama 2020 di BES, un grignolino comme il faut speziato e spigliato, floreale e beverino, sapidissimo in chiusura, bravi! Il Chianti Classico Riserva 2016 I Fabbri è ancora giovane ma già estroverso con ribes, alloro, viole e terra smossa al naso, la bocca è intensa, ampia, succosa e lunga dal tannino perfettamente estratto. Il vino bianco che più mi ha colpito nella manifestazione è di un’azienda biodinamica toscana, si tratta di Le Verzure che con il loro BiancoAugusto 2019, trebbiano e malvasia macerati e affinati in anfore di terracotta, danno vita ad un vino complesso e preciso, goloso e mediterraneo, elegante e “proporzionato”. Chiudiamo con un altro vino bianco, l’Amforéas 2020 di Marco Ludovico da uve trebbiano allevate in provincia di Taranto e macerate quattro mesi in anfora, il vino risulta saporito e di personalità ma rigoroso e fine.

Ci sarebbero stati molti altri vini da assaggiare e raccontare ma ho terminato gli assaggi per partecipare ad una masterclass dedicata ad un vitigno friulano “in verticale”, ma ne parleremo in un prossimo post!

Diego Mutarelli
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FIVI 2018: storie da degustare

Potrei raccontarvi di decine di assaggi, in due giorni passati alla fiera Fivi di Piacenza, cose da dire ce ne sarebbero tantissime, ma sono sicura che in tanti l’hanno già fatto meglio di quanto potrei fare io.

FIVI 2018
FIVI 2018

Volti, voci e mani. Mani spesso indurite dal duro lavoro nei campi ed in cantina. Volti solari, a volte stanchi e voci emozionate ed orgogliose. Il vino si sa, non è solo qualcosa che si beve e ciò che mi ha emozionata di più in questa “due giorni” sono le storie di persone che in questi calici mettono la loro la vita. Spesso quello che beviamo è un concentrato del loro vissuto. Quindi sì, ho degustato storie e mi è piaciuto.

Quattro amici uniti da una passione comune, sveglia presto, scarpe comode e taccuini alla mano abbiamo percorso chilometri in questi corridoi alla ricerca di volti/vini noti e di qualche nuova scoperta, suggerita da amici o dalla nostra curiosità.

Entriamo tra i primi, puntiamo al fondo, primo obiettivo è lo stand Antico Castello, realtà dell’Irpinia a noi già nota ma che seguiamo con entusiasmo. Dietro al banco, Francesco sembra emozionato, siamo i primi e non vede l’ora di raccontare la storia della loro cantina centinaia di volte (ripassiamo domenica sera, vi assicuro quell’entusiasmo era ancora vivo). Etichette nuove, di grande impatto. Il loro Mida, Greco di Irpinia, li sta riempiendo di orgoglio e con gran ragione. I rossi sono un crescendo di eleganza ed espressività. Non vediamo l’ora di festeggiare il Natale con il loro Amarenico, mosto di Aglianico aromatizzato all’amarena.

Tappa da La Tosa, per onorare una cantina del luogo. Ho ben presente la loro Malvasia (la prima ad essere vinificata secca), Sorriso di cielo, nella cantina di mio papà non mancava mai. Mi ricorda l’infanzia, il racconto del signor Ferruccio scorre fluido; è tecnico, preparato ma mi perdo nelle sue mani nodose, dure. Mi chiedo quante vendemmie abbiano visto e quante ne vedranno. Penso: “siamo in buone mani”.

Non era una tappa prevista, ma le etichette catturano per la loro sensualità. Dietro il banco di Le Guaite di Noemi, proprio lei, Noemi: bella e decisa. Sta ritagliando le etichette con i nomi delle uve della sua terra che ha messo in esposizione insieme alle bottiglie. Fiera di essere donna vignaiola, ci accompagna in Valpolicella con Ripasso, Amarone ed una chicca, un taglio bordolese fatto con la tecnica dell’amarone. Viva il coraggio delle donne.

Riprendiamo il nostro programma, ancora in Campania, con il Castello delle Femmine. Peppe e sua moglie, coppia inossidabile, ci accolgo con i gesti lenti e sicuri di chi guida le proprie vigne da decenni. Sul tavolo un bellissimo book fotografico che racconta la loro storia e la loro famiglia. Hanno scommesso su vitigni autoctoni, quasi sconosciuti ed abbandonati: Pallagrello bianco, Pallagrello nero e Casavecchia. La scommessa è vinta.

Invoco la tappa svariate volte, finalmente mi accontentano, è Marta Valpiani. Avevo assaggiato il suo Albana e mi era parso sublime, avevo bisogno di una conferma e l’ho avuta. La loro descrizione sul biglietto da visita è “vignaiole artigiane romagnole” tanto basterebbe a conquistarmi (Albana a parte). Il loro straordinario tocco femminile è sulle etichette, sembrano decorazioni floreali di antiche porcellane. Marta indica Elisa seduta dietro il desk, le ha volute lei così. Brava Elisa.

Una tappa ci è parsa obbligata, elenchi chilometrici di produttori in tutte le regioni e poi il Molise, un solo rappresentante. Ci avviciniamo al banco, è affollato. Claudio Cipressi è pronto a difendere da solo la sua regione. Ci dice “gli altri miei colleghi non vogliono partecipare”, è un peccato. La Tintilia del Molise ci piace, non poco. Reclamiamo il Molise a gran voce alla prossima Fivi.

Trebotti, siamo in Tuscia, due simpatici ragazzi ci accolgono con gioia, si definiscono “giovani, indipendenti e bio”. Sono rimasta piacevolmente sorpresa dal loro Violone. Mi piacciono le loro bottiglie che si distinguono subito, con bandane, chiuse con cera e con etichette oversize. L’occhio vuole la sua parte, soprattutto quando si parla di nicchie di mercato.

Lo stand di Agostino è vuoto, sulla tovaglia bianca solo le bottiglie e qualche biglietto da visita, sembra non essere a suo agio, ma la Calabria ci piace, soprattutto ci piace scoprire cose inedite, quindi l’Azienda Agricola Cerchiara è tappa obbligata. Scopriamo che per Agostino sono le prime vendemmie, le prime etichette e le prime fiere. Il suo racconto parla però di una storia lunga, quella del suo territorio che lui conosce bene. Assaggiamo la Lacrima, è schietta, morbida. Speriamo di sentire parlare ancora di questi vini anche fuori regione.

Seconda fermata in Calabria. I due ragazzi di Scala, a confronto con Agostino, sono dei veterani. Cirò è il loro fiore all’occhiello, un’etichetta che sembra arrivata da una drogheria del dopoguerra, è quella scelta dal nonno e non è mai stata cambiata. Mario Soldati in Vino al vino scriveva che per fare il vino buono ci vogliono tre generazioni, oggi ho capito cosa intendeva.

Concludiamo la nostra gita in Calabria da Santino Lucà. Il desk è ricoperto di bergamotto ed attira l’attenzione anche solo per il profumo. Finalmente assaggio il Greco di Bianco, un mito del quale avevo solo sentito parlare (il vino che in antica Grecia era riservato al vincitore delle Olimpiadi). Ma un capitolo a parte andrebbe dedicato al suo Marasà bianco (vitigni Mantonico e Guardavalle), per approfondire ne porto una bottiglia a casa. Lasciamo a Santino il biglietto da visita, a fine giornata ci ringrazia, eppure siamo solo alcune delle centinaia di facce viste in quella giornata. Grazie a te.

Al nord ci dedichiamo alla Valtellina, al Grumello di Gianatti Giorgio. Ho un debole per il Nebbiolo di montagna e qui la montagna si sente netta, fresca e nessun sentore di legno che prevarica.

Poi ci avviciniamo a dei nuovi volti della Valtellina, all’azienda Pizzo Coca. I due giovani produttori, barbe lunghe e look da giramondo, hanno portato decine di foto delle loro vigne e dei loro animali (api incluse). Le etichette sono giovani, divertenti e attirano l’attenzione. Questi ragazzi sono da tenere sott’occhio.

Ci rilassiamo concedendoci una bolla, la tappa è dall’amico Gigi Nembrini, di Corte Fusia, t-shirt brandizzata e sguardo divertito. Le sue bollicine cremose concludono degnamente la giornata.

Decidiamo di dedicarci alla Toscana il giorno seguente. La sveglia è più rilassata ma già in auto siamo colti dalla sottile euforia di chi sa che a breve scoprirà qualcosa di nuovo stringendo un calice in mano.

Podere le Cinciole, Valeria e Luca sembrava ci stessero aspettando, ci raccontano del loro Podere centenario. Hanno portato dei campioni di terreno per descrivere una mineralità che in bocca è piacevolmente netta. Contro tutti campanilismi, sono loro stessi a suggerirci un “vicino di casa”. Andiamo subito a provarlo. È Fabio Motta “viticultore a Bolgheri”, l’accento lo tradisce nel suo essere lombardo, ma il suo Bolgheri è madrelingua e si sente. Fabio si è innamorato di questa terra ancora mentre studiava agraria, non l’ha più lasciata.

Proseguiamo da Istine, bella scoperta del Chianti. Angela, produttrice e figlia del fondatore, sgranocchia cioccolata e dice: “è Pernigotti, l’ho comprato anche se non servirà a nulla, per salvare un’azienda italiana”. Sarebbe bastato questo per capire che il loro vino è buono e genuino. Ottimo anche il loro vermuth di Radda.

Concludiamo con uno dei due sardi presenti in fiera, è l’azienda agricola Berritta. Il signor Francesco è orgoglioso del suo Panzale, vitigno autoctono rarissimo, ha ragione Francesco, la sua evoluzione negli anni è straordinaria.

È giunto il tempo di tornare a casa, accompagnati dalla malinconia di quando finiscono le cose belle; ho con me diverse bottiglie, le ho prese perché quando le aprirò potrò riascoltare storie e rivedere volti.

Chiara EM Barlassina
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