Andrea ci invia il resoconto di una bella visita presso l’azienda Deperu Holler. Ne avevamo parlato già grazie al bel post di Chiara, ma replichiamo volentieri!
Un’esperienza da fare: una visita con merenda da Carlo Deperu.
Capito un lunedì pomeriggio. Con solo due ore di preavviso. Carlo mi accoglie come un amico, andiamo in vigna con la cantina in mezzo, posto splendido, e lui chiede a Tatiana, sua moglie, qualcosa che non capisco ma capirò dopo…
In cantina assaggiamo da vasca il Prama Dorada 2018, 70% vermentino non macerato, moscato e malvasia macerati ed uniti alla massa del vermentino svinato. Vino “sveglio”, intenso, lievi note ossidative, bella cremosità. Dopo un assaggio di un vermentino fatto con uve di un suo amico, fresco ma un filo amaro, apriamo una bottiglia di Fria 2018, vermentino in purezza macerato 24 ore sulle bucce. Bel vino che spiega bene che il vermentino può essere ben diverso dal succo di ananas e mango che domina la Gallura e non solo. Floreale, sapido, pesche bianche…
Nel frattempo arriva Tatiana che annuncia di aver apparecchiato sul tavolo sotto la quercia, andiamo e troviamo vino, pecorino, favette, asparagi selvatici, pane carasau. Casualmente in macchina avevo una borsa frigo con una bottiglia di Champagne carte d’or di Pascal Mazet di sboccatura vecchiotta e un salame artigianale sardo. Apriamo tutto e comincia una merenda che si protrarrà dalle 17 alle 21. Arriva anche una famiglia tedesca di amici di Carlo. Apriamo anche il Familia 2017 (da uve muristellu o bovale sardo) bello fruttato, fresco, asciutto, beva “elettrica”.
Ci siamo lasciati alle spalle il glamour della Costa Smeralda ed una giornata grigia per scivolare nell’entroterra sardo, nel cuore della Gallura. Quasi due ore di strada, curve morbide e solitarie che si snodano tra rocce color corallo ricoperte da una fittissima vegetazione di arbusti.
L’appuntamento con i proprietari della cantina Deperu Holler è nel villaggio di Perfugas, dove abitano. Speravamo di trovare qualcosa da mangiare lungo la strada ma incrociamo solo un paio di agriturismi che paiono abbandonati.
Perfugas
è una cittadina di 2.500 anime fatta di casette basse ed intonaci scrostati; la
attraversiamo diverse volte nell’intento di trovare qualcosa di simile ad una
trattoria ma scorgiamo solo un paio di bar, entriamo in uno di questi.
L’aspetto dei panini non ci convince, optiamo per un banale gelato industriale.
La piazza di Perfugas è deserta, il sole un po’ velato, ci accomodiamo su una
panchina di fronte al comune. Un vecchio seduto al bar prospicente ci scruta
incuriosito, la sensazione è quella di essere “stranieri”. Ci attraversa una
lieve sensazione di sconforto di fronte a quella desolazione; forse ci stavamo
perdendo la vivacità della costa per una visita in cantina che non partiva con
i migliori presupposti? Ma ormai ci siamo, è ora di andare, ci spostiamo di
fronte alla casa dei vignaioli.
Il tempo
nei giorni precedenti non era stato clemente e si temeva non fosse possibile
salire in vigna. Siamo fortunati, sembra che la pioggia arriverà solo in tarda
serata.
Appena si apre l’uscio di casa si schiude un mondo che ci fa dimenticare la deserta piazzetta ed un gelato dal sapore chimico. Ci accoglie Tatiana, la dolcissima moglie di Carlo Deperu, insieme conducono l’azienda vitivinicola nata nel 2007. Non faccio in tempo a varcare la soglia del loro appartamento che Tatiana, indicando un grosso sacco di carta, mi offre il contenuto. Delle bellissime mandorle glassate, preparate da un’anziana del paese per la comunione del loro bambino, le assaggio con voracità, dato lo scarso pranzo. Siamo pronti per andare in vigna, Tatiana consegna a Carlo due grosse borse frigo e lui ci fa segno di seguirlo con l’auto. Nessuno li aveva avvisati, ma sapevano che non avremmo trovato da mangiare e così dentro quello due sacche hanno preparato la nostra merenda.
Ci sono luoghi e persone che sembrano esistere solo nella fantasia, ce li siamo immaginati leggendo qualche romanzo, sensazioni ed immagini come ingredienti della fantasia di uno scrittore che si materializzano ora davanti agli occhi. Se me lo chiedeste ora, non ci saprei tornare in quel luogo e forse senza Carlo questo luogo non esiste, come si venisse catapultati in una dimensione spazio-temporale differente.
Fatichiamo a stare dietro alla sua utilitaria che agilmente si inerpica su una salita sconnessa di terra bianca, parcheggiamo l’auto ed il tempo si ferma. Le vigne Deperu Holler dominano un piccolo canyon scavato dal fiume Coghinas e dal lago Casteldoria. Il panorama è dominato dall’omonima torre del XII secolo, l’unico segno di civiltà, poi a perdita d’occhio solo i monti, le rocce, il verde, il lago e là, dietro il monte Ruju, il mare a pochi chilometri in linea d’aria.
Alcuni paletti che delimitano le vigne sorreggono dei teschi di bovino. Nella tradizione sarda gli animali con le corna proteggano dal male. Il male qui è rappresentato dalle malattie della vite, dai branchi di animali selvatici che si nutrono dei frutti e dai venti impietosi. Un paio di giorni prima della nostra visita, le vigne erano state sferzate dalla rabbia del vento di Maestrale, carico di sale marino, che ha bruciato le viti. Le foglie si sono arricciate assumendo un colore bruno; il cannonau si è salvato ma per buon parte del vermentino non è andata così, la produzione per la vendemmia 2019 sarà sicuramente molto ridotta. Carlo lo dice con rassegnazione; è la natura.
Ci portiamo sotto una grossa quercia, con la sua chioma sovrasta un lungo tavolaccio di legno tenuto in piedi da cavalletti, qualche seduta di fortuna intorno. Sembra un banchetto abbandonato da anni, così non è. Carlo estrae dalle sacche tutto, e dico tutto, quello che occorre per trasformare un luogo abbandonato in un sontuoso pic-nic. Da quelle borse escono una pittoresca tovaglia, stoviglie di coccio e metallo, calici da vino e poi cibo. Anzi è riduttivo: Tatiana e Carlo riescono ad estrarre da quelle sporte un pezzo di tradizione e cultura sarda; così compaiono sulla tovaglia di cotone colorato preziose leccornie che raccontano un popolo. La Conzedda, con la forma di una provola, è un formaggio fatto con latte bovino di alpeggio che non viene scremato; il formaggio è grasso pastoso ma non stucchevole, si fa sciogliere appeso sopra le braci e fatto colare direttamente sul pane. Il muffato di pecora, il vignaiolo agita orgoglioso il piccolo contenitore e dice “questo dovete proprio assaggiarlo”; un pecorino erborinato, al naso la complessità dei sentori di stalla e di sottobosco, l’assaggio è potente di grande sapidità e pizzicore. Non può mancare il pane dei pastori, il Pistoccu, più spesso e croccante del più famoso Carasau. Poi arrivano tanti vasetti di vetro, sono le conserve di famiglia, fatte con l’olio delle loro terre: fave, cardi ed asparagi selvatici.
Degustiamo i vini immersi in questa straordinaria atmosfera, Carlo ci ha fatto sedere alla sua tavola come fossimo vecchi amici. Degustiamo, anzi mangiamo e beviamo al ritmo dei venti che si alternano sulla collina. Il produttore li conosce, li anticipa, sà da dove arrivano e quando si calmeranno. Oltre 4 ore di chiacchiere, di vino sì, ma soprattutto di tradizione gastronomica e cultura sarda. Parliamo di carni, delle loro cotture, dei pesci del mare e delle anguille che arrivano dal lago. Sogniamo ad occhi aperti quando Carlo ci racconta delle cene che si organizzano su quel tavolo, quando si fa ardere il braciere posizionato alle nostre spalle: porceddu, capretto, casse di pesce ed ogni sorta di verdura recuperata dall’orto coltivato a pochi metri. A questo punto ci accorgiamo delle luci appese ai rami dell’albero, quello che ci sembrava un vecchio tavolo abbandonato è un lussuoso banchetto attorno al quale ruotano parenti, amici e visitatori, amanti di vino da tutto il mondo.
Pasteggiamo con i due vini bianchi della cantina. Fria, il vermentino 100%. Avevo già assaggiato il 2017, di grande freschezza e ricco di frutto. Il 2018 che ci propone è diverso, l’annata ha fatto crescere poco l’acidità, quindi la scelta di macerare le uve. Sprigiona un profondo sentore di caramello, pera e caucciù. Il corpo è rotondo, vivacizzato da una bella sapidità e da una chiusa amaricante. La seconda etichetta la soprannominiamo affettuosamente il “trittico”, Prama Dorada: vermentino, moscato, malvasia. Predominano i sentori ossidati, una straordinaria espressività che regge bene il confronto con l’erborinato da cui continuiamo ad attingere e che Carlo continua ad offrire generosamente.
Il tempo
che passiamo sotto la quercia pare infinito e prezioso, dimentico l’esistenza di
orologio e cellulare. Tra chiacchere e cibo le bottiglie al tavolo finiscono.
Decidiamo quindi di alzarci, in cantina ci aspettano gli assaggi di vasca ed i
rossi.
Riassaggiamo
il vermentino dalla vasca, andando oltre la tensione metallica si percepisce un
vino già ben equilibrato. I rossi spillati dall’acciaio sono di eleganza
inaspettata, inebriano di tabacco e cacao pur non essendo ancora passati in
legno, solo alcune soste in cemento.
Abbiamo portato con noi Pistoccu ed erborinato da abbinare ai rossi, Carlo ci fa avvicinare ad una piccola vasca e ci offre quello che sembra il nettare dell’azienda: cannonau passito. Le lunghissime fermentazioni l’hanno privato quasi completamente del residuo zuccherino. Un succo di frutti scuri e spezie che dirompe al palato con tannino, sapidità e un finale fortemente amaricante. Riuscirò mai ad avere una bottiglia di quella piccola vasca?
Concludiamo la carrellata dei vini con l’etichetta Familia, cannonau e muristellu (bovale sardo). Porta questo nome perché è il vino della quotidianità, da portare al tavolo con i parenti.
Quando si spende assieme del tempo così prezioso è triste salutarsi, ma sta per arrivare la pioggia e dobbiamo rientrare verso la costa. Carlo ci fa un ultimo regalo, estrae dalla tasca un coltellino con il quale ripulisce i gambi di alcune erbe selvatiche o le cicerchie della malva per farcele assaggiare. È un grande esperto di erbe e dei loro benefici, sono le erbe che lui lascia crescere in vigna come alternativa alla chimica perché proteggono e nutrono il terreno.
Ci abbracciamo e torniamo alla macchina, ci sembra di aver vissuto qualcosa di incredibile, rimaniamo in silenzio gran parte del tragitto per fissare nella memoria questi straordinari momenti.
Eccoci al secondo produttore che ho visitato approfittando di una breve vacanza in Maremma. Se hai perso la prima puntata di questo resoconto la puoi trovare qui di seguito: Valdonica.
Casteani (Gavorrano)
Mario Pelosi, ingegnere e manager di lungo corso, recupera e ristruttura un’area in passato sfruttata da una società mineraria per i giacimenti di lignite e carbone presenti nel sottosuolo. Dal 2002, oltre a creare il wine resort, recupera circa 15 ettari di vigneto e oliveto. Casteani si presenta in questo modo come una “nuova” realtà vinicola della Maremma ma con una storia agricola che affonda le radici nel XIX secolo. I vitigni messi a dimora sono principalmente sangiovese e vermentino, oltre ad alicante, merlot, syrah e viognier.
Mi presento in azienda senza molto preavviso e ciò nonostante vengo accolto dalla giovane enologa che mi accompagna per una rapida ma appassionata visita.
Molto bella la cantina, su due piani: al piano inferiore la luminosa, spaziosa e pulita zona di vinificazione ed una più raccolta area dedicata all’affinamento. Noto subito accanto a botti e barrique anche qualche anfora di terracotta.
Casteani: cantina di affinamento
L’azienda, pur di piccole dimensioni, produce una gamma piuttosto ampia. Di seguito ti riporto i miei assaggi che, come di abitudine, mi ripropongo di approfondire ulteriormente con le bottiglie comprate in loco per una degustazione più attenta.
Monteregio di Massa Marittima “Sessanta” 2011 – Casteani
Vino Spumante Brut “Piccabòn” 2016 – Casteani
Vino spumante charmat ottenuto da uve vermentino, chiamato in toscana anche Piccabòn. Il vino è piacevole e sorprendente: naso molto fine di frutta bianca, agrumi, floreale elegante; la bollicine è sottile e carezzevole. Nel complesso il vino risulta dissetante e ben fatto, giocato sulla semplicità che però non scade mai nel banale.
Maremma Toscana Sangiovese “Spirito Libero” 2015 – Casteani
Spirito Libero è la linea di Casteani prodotta senza solfiti aggiunti. In etichetta sono riportati infatti i solfiti liberi e totali presenti naturalmente nel vino dopo la fermentazione (3 mg/l di anidride solforosa libera e 6 mg/l di totale). Il vino è ottenuto con un metodo brevettato, chiamato Purovino, che si avvale dell’utilizzo dell’ozono.
Il vino che ne risulta è ben fatto, stappato da qualche ora ma decisamente pimpante, tannino ben dosato e sapidità decisa.
Monteregio di Massa Marittima “Sessanta” 2011 – Casteani
Sangiovese ed alicante per questo vino profondo e austero. Il 50% della massa affina 12 mesi in barrique di secondo e terzo passaggio, la restante parte in acciaio. L’affinamento è ultimato da ulteriori 12 mesi in vetro. Il vino risulta fruttato con l’apporto del legno ben calibrato, senza alcuna concessione dolce/amara. La persistenza è molto buona grazie ad un tannino croccante ma fine.
Non sono riuscito invece ad assaggiare, ma ho provveduto ad acquistarne una bottiglia, l’interessante vino ottenuto da affinamento in anfora di terracotta, il Maremma Toscana Syrah “Marujo”…stai sintonizzato su Vinocondiviso, non dimenticherò di parlartene non appena avrò l’occasione di degustarlo!
Nella Maremma viticola qualcosa di nuovo e che val la pena seguire con attenzione si muove. Oggi ti parlo della prima di due realtà relativamente recenti che sono andato a visitare approfittando di qualche giorno di vacanza in Toscana. A breve su questi schermi la seconda puntata!
Valdonica (Sassofortino)
Ci troviamo a circa 500 metri di altezza, Valdonica ha tra le vigne più alte della Maremma. Il panorama che si vede da lassù, oltre la piscina dell’annesso resort, è mozzafiato: le vigne di sangiovese e vermentino, la Maremma, il Mediterraneo e, sullo sfondo, l’Isola del Giglio.
Vista sulle vigne, la Maremma, l’Isola del Giglio
Martin Kerres è un imprenditore austriaco che molla tutto e si trasferisce qui, rapito dalla bellezza del posto. Ristruttura e lancia il resort, pianta 10 ettari di vigna su suoli vulcanici, nel 2008 mette in commercio le prime bottiglie, dal 2012 ottiene la certificazione biologica.
La storia più recente dice di molti progetti in cantiere e di una vocazione all’export molto forte. Iniziano ad arrivare i primi riconoscimenti, le citazioni nelle guide nostrane, fino ad un clamoroso 98 punti attribuito da Decanter al Vermentino “Ballarino” 2012.
Di seguito qualche impressione sui vini che ho degustato:
Degustazione presso Valdonica
Valdonica Ballarino 2014
Valdonica Arnaio 2015
Valdonica Saragio 2013
Ballarino 2014: è un vermentino vinificato in parte in acciaio ed in parte in barrique. Una parte della massa (circa il 20%) fa macerazione sulle bucce (una settimana). Il vino risulta molto saporito, ben fatto, con profumi di macchia, agrumi, frutta bianca ed una nota minerale e di polvere pirica mai prevaricante. Finale pulito e di ottima sapidità. Vino piuttosto buono, un vermentino di stampo “internazionale” (absit iniuria verbis!).
Arnaio 2015: un vino vinificato in solo acciaio a base sangiovese e ciliegiolo (10%). Al naso bellissimo il floreale rosso, l’arancia, la ciliegia fresca, il rosmarino…molto succoso, beverino, con acidità ben calibrata. Non inganni il tappo a vite che fa pensare ad un vino “da battaglia”, il vino è sì scorrevole ma per nulla banale ed il rapporto qualità-prezzo è decisamente favorevole.
Saragio 2013: 100% sangiovese, lunghe macerazioni, invecchiamento di 18 mesi in barrique, questo vino è piuttosto muscolare, con una certa intensità sia all’olfatto sia al palato. L’ho trovato con un tannino ancora da smussare. Potrà migliorare con l’affinamento. Gli ho preferito il più semplice Arnaio.
L’azienda produce anche un’altra riserva di sangiovese, il Baciòlo, ed una selezione in purezza di ciliegiolo che non ho avuto ancora modo di assaggiare. Insomma, se ti trovi sulla costa toscana non mancare dall’esplorare l’entroterra!