Quando abbiamo saputo che il Uain Clab del Ristorante Novanta di Bressana Bottarone (PV) aveva in animo di organizzare una degustazione dedicata ai Chianti Classico di Val delle Corti, alla presenza del produttore Roberto Bianchi, abbiamo segnato l’agenda con il circoletto rosso e ci siamo organizzati per essere presenti.
Quale migliore occasione infatti per approfondire il carattere dei vini dell’UGA (Unità Geografica Aggiuntiva) di Radda se non questa, con la possibilità di parlare con uno dei produttori di riferimento di tutta la denominazione?

I Chianti Classico di Radda sono tra quelli che negli ultimi anni hanno meno sofferto l’innalzamento delle temperature, questo in buona parte grazie alla maggior presenza di aree boschive rispetto ad altre aree geografiche del Chianti e ad un’altitudine media delle vigne di tutto rispetto (spesso oltre i 500 metri s.l.m. e con vette vicine ai 650 metri). Infatti, se fino a pochi lustri or sono queste caratteristiche pedoclimatiche davano origine a vini austeri e “duri”, bisognosi di affinamento e pazienza per essere degustati, oggi di contro la freschezza ariosa e la profonda “verticalità” dei vini di questa zona, decretano Radda come uno dei territori più à la page di tutto il Chianti Classico.
Val delle Corti è un’azienda agricola di Radda in Chianti, sono 5 gli ettari attualmente vitati, oltre a circa 600 olivi. L’azienda nasce nel 1974 per iniziativa di Giorgio Bianchi che decide di abbandonare Milano desideroso di un maggior contatto con la campagna e alla ricerca di ritmi di vita meno frenetici. Allora Val delle Corti era in abbandono e il lavoro fu incessante per ristrutturare gli edifici, recuperare le vigne, ripiantarne altre … Roberto Bianchi ci ha raccontato come la prematura scomparsa del padre Giorgio lo mise di fronte ad una scelta non facile per lui che in quel momento, ancora giovane, non si era mai occupato del vino se non “di riflesso”. Eppure la scelta – più emotiva che razionale crediamo – fu immediata e naturale: dedicarsi anima e corpo all’azienda ed al Chianti Classico, di cui Val delle Corti è senza ombra di dubbio diventata uno degli alfieri più rappresentativi.
Ecco cosa abbiamo bevuto.

Chianti Classico Riserva 2020: la riserva di Val delle Corti esce solo nelle migliori annate con uve (100% sangiovese) selezionate dai vigneti più vecchi del podere. Fermentazione spontanea in acciaio e affinamento di 30 mesi in barriques e tonneaux usati. Il vino che abbiamo nel calice si presenta di un bel rubino chiaro luminoso, olfatto estroverso di viola e sentori agrumati (arancia), poi esce anche un frutto carnoso (susina) e una nota minerale che ricorda il gesso. Non mancano i cenni balsamici. Sorso freschissimo e dinamico, dal tannino fitto e fine e dalla chiusura lunga e sapidissima. Una grande versione buona oggi ma che spiccherà il volo tra qualche anno.
Chianti Classico Riserva 2018: com’è giusto che sia il vino cambia a seconda delle annate e questa 2018 ha un profilo meno espressivo del millesimo 2020. Ci troviamo di fronte a un’impronta autunnale di foglie secche, sottobosco, fiori appassiti, cacao e lamponi schiacciati. Bocca succosa e scorrevole, dal tannino integrato e dalla materia innervata da acidità rinfrescante. Vino che spinge più sulla verticalità che sull’ampiezza. Chiude su ritorni di frutta rossa e liquirizia. Chianti Classico Riserva che si trova in ottima fase di beva.
Chianti Classico Riserva 2017: figlio di un’annata difficile, il vino si presenta dal colore più fitto dei precedenti. Naso di erbe aromatiche, balsamico, con frutta scura e una nota di cipria. Sorso ampio, caldo e voluttuoso, tannino risolto e acidità più in sottotraccia rispetto ai campioni precedenti. Chiude di buona lunghezza su ritorni di frutta e spezie. Vino (o bottiglia) un po’ sottotono, soprattutto a confronto con i suoi fratelli presenti in degustazione.
Chianti Classico 2016: la prima bottiglia purtroppo presentava un difetto di tappo (TCA). La sua sostituta è sembrata a chi scrive anch’essa con un problema di tenuta del tappo che ne ha senz’altro pregiudicato la performance. Non giudicabile.
Chianti Classico Riserva 2015: un’annata calda e siccitosa dà vita ad un sangiovese più scuro nel colore e nell’espressività. Marasca, balsamicità, corteccia, liquirizia al naso. Ingresso in bocca ampio e piuttosto caldo, la progressione è caratterizzata da maggior morbidezza rispetto agli altri campioni sin qui degustati. Chiude sapido e di ottima lunghezza. Interessante interpretazione dell’annata 2015.
Extra 2014: si tratta di una selezione di sangiovese atto a diventare Riserva. Singole barriques vengono considerate, in certe annate, portatrici di una peculiarità tale che si preferisce imbottigliarle separatamente rispetto al Chianti Classico Riserva. Il vino affina 12 mesi in più rispetto alla Riserva. Naso di frutti di rovo (mora), balsamico, pepe e asfalto. Sorso “polposo”, la materia è ricca e stratificata, il vino ha dinamica e verve acida. Vino ancora giovane, goloso nell’incedere e austero al centro bocca con tannini fitti ma maturi e saporiti. La chiusura è lunga su ritorni minerali e fruttati. Unicum.
Chianti Classico Riserva 2013: bottiglia conferita da Luciano, generoso partecipante alla degustazione che ha deciso di condividerla con i partecipanti. Il vino parte su curiose note di yogurt alla fragola e caffè, quindi si schiarisce senza però mai decollare del tutto. Anche il sorso, pur sapido e fresco, non convince appieno. Bottiglia non fortunata.
Diego Mutarelli
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