Ormai lo sappiamo, tra il riscaldamento climatico e le ambizioni di giovani e talentuosi viticoltori alla ricerca di terreni a prezzi umani, la viticoltura francese sta riscoprendo territori “minori”, fuori dal gotha del vino. Tra questi senz’altro merita un posto di rilievo l’Auvergne (o Alvernia in italiano), una regione ricca di vulcani spenti e dunque geologicamente molto interessante, non è certo un caso che fino alla fine del XIX secolo l’Alvernia fosse una delle zone più vitate di Francia. A seguito dell’arrivo della fillossera la coltivazione della vite subì un forte declino ed oggi gli ettari vitati sono poco più di 400.
Abbiamo già parlato di un gamay di questa zona (leggi il post), ed oggi tocca ad un pinot noir, che ci ha particolarmente sorpreso.
Domaine Lapilli, è un’azienda agricola che si trova a sud di Clermont Ferrand, nel villaggio di Les Martres-de-Veyre. Sono 5 gli ettari di vigna – chardonnay, gamay e pinot noir – situati su 3 parcelle su suoli di origine vulcanica (da cui l’evocativo nome dell’azienda). L’impostazione è non interventista sia in vigna che in cantina. Il pinot noir che abbiamo nel calice è stato ottenuto da una macerazione a grappolo intero di nove giorni, fermentazione spontanea e affinamento in legno, con pochi solfiti aggiunti solo in fase di imbottigliamento.
Il vino si presenta in veste rubino chiaro, il primo naso è dominato dai frutti di rovo (lampone, more), quindi note minerali di ardesia e zolfo, poi scorza d’arancia e un tocco di cannella. In ingresso il vino ha una bella dolcezza, con frutto in evidenza, lo sviluppo è sì goloso ma anche profondo e fresco, l’acidità agevola la progressione che porta il vino ad una chiusura saporita caratterizzata da un tannino croccante derivante certamente dalla macerazione con i raspi. Tannino che però fornisce grip senza cedere ostiche note vegetali, insomma un pinot noir dal naso elegante ma dal sorso stratificato. La chiusura è lunga su ritorni di frutta rossa e agrumi amari.
Plus: vino naturale gustoso e preciso, espressivo e semplice alla beva, ma per nulla banale, anzi un’interpretazione di pinot noir che esalta la mineralità del territorio vulcanico di provenienza. Vino da attendere con fiducia, migliorerà ancora.
La naturale tendenza alla scoperta di nuove realtà nel mondo del vino mi ha condotto a Martinsicuro, un paesino dell’Abruzzo in provincia di Teramo, dove troviamo McCalin Vini Artigianali Naturali. Il fondatore, l’agronomo ed enologo Federico Nardi, si occupa personalmente dei lavori in vigna e delle scelte enologiche in cantina. Il tutto ha inizio nel 2015 con il primo imbottigliamento da “garagista”, come ama raccontare Federico, poi la nascita dell’azienda agricola nel 2017 e la costruzione della cantina nel 2020, insomma un’attività che da hobby si è trasformata in passione travolgente e totalizzante. I vini sono ottenuti da fermentazioni con lieviti spontanei, non chiarificati, né filtrati e non subiscono trattamenti correttivi. Le uve impiegate sono esclusivamente montepulciano d’Abruzzo, trebbiano d’Abruzzo, passerina e malvasia raccolte da cinque piccoli vigneti, con piante di età tra i 40 e i 70 anni, per un’estensione complessiva di poco più di due ettari.
Nel pieno rispetto della vite e del territorio, Federico sottolinea che nei vigneti usa solo zolfo e rame e anche in cantina sposa un approccio artigianale e naturale sempre riservando grandi attenzioni al processo produttivo. La scelta aziendale è quella di imbottigliare etichette derivanti da ogni singola parcella, e ciò restituisce nel bicchiere le peculiarità del terroir di provenienza, tutti i vini infatti, pur provenienti da parcelle curate nello stesso modo, rendono nel bicchiere le proprie caratteristiche distintive.
Il primo vino in assaggio è Orange Bop 2022, che nasce da Vigna Bop, un macerato di malvasia che ho degustato direttamente da botte. Alla vista un colore aranciato con sfumature ambrate e al naso tutta la complessità di aromi della macchia mediterranea. Al palato un gusto piacevolmente mielato unito a delle note di burro, con una elegante morbidezza. Un accostamento felice è quello con il pesce, in particolare con quello crudo e con una leggera grassezza, trovo che spesso gli orange wine si abbinino perfettamente alla cucina asiatica, principalmente quella giapponese.
Si prosegue con Rosso Bop 2022, il più classico dei montepulciano di McCalin vinificato in acciaio, un vino da tutto pasto anch’esso da Vigna Bop. Si presenta al calice di un intenso colore rosso rubino. Al naso sensazioni floreali di violetta, note di sottobosco e frutti rossi con lievi cenni speziati. Al palato il sorso è pieno, decisamente tannico e piuttosto acido, dotato di una piacevole e lunga persistenza finale.
E’ quindi il turno di Komandante 2022, un rosso da uve montepulciano affinato in acciaio che nasce da Vignanima e a seguire Komandante 2020, per apprezzare le differenze tra le due annate. Mi ha colpito particolarmente il 2020, che si presenta con una veste di impenetrabile colore rosso rubino. Al naso un sentore ematico quasi ferroso, note di piccoli frutti di bosco, cenni di sottobosco, note speziate di chiodi di garofano e un chiaro timbro iodato. Al palato è sontuoso e morbido con una lunga persistenza. Gli abbinamenti ideali con queste versioni di montepulciano d’Abruzzo sono con carni arrosto soprattutto ovine, agnello e castrato come gli arrosticini. Si esalta anche con primi piatti come le lasagne abruzzesi o chitarrine alla teramana e con i formaggi stagionati tipici abruzzesi.
Chiusura in bellezza con Animae 2022, un trebbiano in purezza (in stile ossidativo del Jura) dall’appezzamento Vignaquiete. L’affinamento in botti di rovere scolme per 16 mesi, per quest’ annata 25 mesi, permette la formazione di un leggero velo superficiale, che isola il vino e permette una lenta evoluzione sous voile, sotto velo appunto. Nel calice si presenta di un brillante colore ambrato scuro e al naso il bouquet è ampio con immediate e intense note di propoli, rosmarino, caffè, caramello salato, datteri e frutta secca. A seguire nuances di sottobosco, sensazioni di potpourri floreale e un lieve cenno di affumicatura. Al palato è secco, pungente, ricco e suadente con la sua vena acida sostenuta da una grande parte salina. Conquista il palato con una buona morbidezza e una cremosità che conducono ad un finale lunghissimo. Abbinamento ideale con formaggi erborinati italiani come il Gorgonzola o il Blu ’61, affinato con vino Raboso passito e mirtilli rossi, o erborinati stranieri come l’inglese Blue Stilton, il francese Roquefort o lo spagnolo Queso de Cabrales, tipico delle Asturie.
Vignaquiete
Una splendida esperienza sensoriale che permette al degustatore di esplorare il mondo dei vini artigianali e naturali attraverso i cinque sensi, portandosi a casa i valori e la storia di una cantina. Sì perché in McCalin Vini Artigianali e Naturali, c’è anche e soprattutto un pezzo di storia della famiglia di Federico Nardi, difatti McCalin è il nome della sua casata, scritta come si pronuncia nel suo dialetto. Al termine della degustazione mi sono congedato da Federico Nardi con la promessa di tornare perché in ogni vino degustato c’è la sua firma, ogni vino ha una sua personalità, frutto dell’audacia e delle scelte enologiche del vigneron che porta avanti le sue idee sempre e senza paura, nel pieno rispetto della materia prima a sua disposizione ogni annata.
Condividiamo il resoconto di una degustazione alla cieca in compagnia di amici appassionati.
Champagne Cuvée 736 – Jacquesson (magnum)
Champagne ottenuto prevalentemente con basi dell’eccezionale annata 2008, 53% chardonnay, 29% pinot noir, 18% pinot meunier. Il dégorgement piuttosto datato (febbraio 2013) ha fatto bene al vino che si mostra ancora con una prorompente vitalità: mineralità netta, poi zenzero, fruttini rossi, scorza d’arancia, mandorla…Il sorso è freschissimo ma stratificato, lo sviluppo è sostenuto da un’acidità agrumata che sa di cedro e accompagna il vino in una chiusura tersa e profonda. Il grande formato e la giusta evoluzione in vetro hanno dato a questa cuvée spesso molto buona una marcia in più. Un grande Champagne.
Champagne Blanc de Blancs “Inattendue” – Huré Frères
100% chardonnay per questo Champagne che risulta più lineare del precedente, siamo in un territorio aromatico che richiama gli agrumi amari, i fiori bianchi, la mela verde, una nota vegetale. La bocca è sferzata da un’acidità elettrica, il vino ha bisogno di un po’ di tempo per integrarsi e distendersi ma la chiusura gustosa ed equilibrata fanno ben sperare. Gioventù scalpitante.
Onda d’urto 2022 – Filarole
Ci troviamo in Val Tidone, Onda d’urto è un rosé ottenuto da una vinificazione “in bianco” di uve croatina, ma la croatina, si sa, non è un vitigno timido né nel colore né nell’impatto, e difatti il vino è di un rosa intenso ed il naso è un’onda d’urto (nomen omen) di frutta scura matura, ma anche arancia rossa e melograno, erbe amare, spezie dolci. Sorso saporito, la materia è ricca ma per nulla stucchevole, anzi i 15,5% di titolo alcolometrico riportati in etichetta sembrano un errore per come il vino riesce a non farli percepire. Il tannino della croatina è ben presente ed accompagnato da un’intrigante retrolfatto di chinotto. Coinvolgente.
Il primo di un trittico di vini rossi a base nebbiolo ci porta all’Inferno, ovvero in Valtellina. Il Sesto Canto di ArPePe si presenta con un bel frutto rosso dolce, quindi rose fresche, un tocco speziato (pepe verde), sottobosco… L’ingresso in bocca è di gran volume e articolazione, si dipana su note di frutta rossa e spezie. Il finale è lunghissimo e sapido. Solida certezza.
Barolo Brunate 2020 – Giuseppe Rinaldi
Barolo giovanissimo eppure il naso è fin da ora estremamente godibile ed espressivo, su note di anguria, rose rosse e spezie. Il vino ha un incedere signorile, l’acidità è perfettamente integrata in un sorso che, ad essere severi (e per un vino così ambito è giusto esserlo!), in questa fase appare appena scarno a centro bocca. La chiusura è raffinata e di grande armonia, persistente con dolcezza e senza spigolosità alcuna. Raffinato.
Langhe Nebbiolo Ester Canale 2021 – Giovanni Rosso
Una naso così non si trova tutti i giorni! Un mix senza fine di ribes, fragoline di bosco, liquirizia, potpourri, spezie e si potrebbe continuare, il vino cambia di continuo e staresti a seguirlo per ore. Al sorso è complesso e stratificato, scorrevole e delizioso, termina su note di fruttini rossi, sale e cola. Non ha la potenza di un Barolo ma ha tutto il fascino del nebbiolo che sa essere, in queste interpretazioni, moderno e antico, semplice e passionale. Emozionante.
In questi ultimi anni il mondo della comunicazione del vino si è focalizzato sulle eccellenze, sui prodotti di nicchia, sulle bottiglie costose e quasi mitologiche… e non facciamo eccezione neppure noi di Vinocondiviso che però cerchiamo, nel nostro piccolo, di portare a galla in questo mondo anche realtà più accessibili, purché rispettose del territorio e autentiche. Il vino in fondo nasce per unire intorno ad un tavolo le persone ed accompagnare un pasto in convivialità.
Oggi ti parliamo dunque di una realtà che si iscrive perfettamente in questo contesto, si tratta della Cantina SeSí, una piccola azienda a conduzione familiare nata nel 2014 dall’amore e dall’unione della famiglia Ballatori. L’azienda è situata tra le ridenti colline di Appignano del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, tra la riviera delle Palme e i Monti Sibillini e fa parte della Comunità Montana del Tronto.
Il suolo argilloso tipico del territorio dei calanchi regala vendemmie non particolarmente copiose ma ricche di qualità, che portano ad un vino elegante e complesso. Il fenomeno dei calanchi è il risultato dello scivolamento a valle di parte del terreno fangoso che compone le colline argillose per effetto della pioggia.
Fin dall’esordio l’azienda ha intrapreso un percorso di conversione al biologico nel pieno rispetto dell’ambiente e nella convinzione di fornire un vino sempre più naturale e genuino che rispecchi le caratteristiche del territorio Piceno. Ci ha accompagnato alla degustazione Elisa Ballatori, laureata in scienze agrarie con specializzazione viticoltura ed enologia ad Ancona e laureanda in agricoltura sostenibile a Perugia.
In apertura assaggiamo la Passerina Marche IGP Luigina Maria 2024 prodotta con uve passerina 85%, trebbiano 10% e vermentino 5%, affinato in serbatoi di acciaio inox. Un bel colore giallo paglierino e al naso è un’esplosione di profumi floreali di gelsomino e acacia, note fruttate di mela golden e banana con cenni di erbe aromatiche. Una bella vena acida supportata da una parte salina, con una media persistenza e di grande bevibilità. A seguire l’Offida Pecorino DOCG Colle Guardia 2023 prodotto con uve pecorino in purezza, anche in questo caso l’affinamento avviene in serbatoi di acciaio inox. Nel calice un vivace colore giallo paglierino con riflessi verdolini. Al naso è elegante e intenso con nette sensazioni floreali di acacia e biancospino, spiccate note fruttate di mela, pera e pesca con un cenno agrumato. Un sorso fresco con una decisa vena acida che sostiene una traccia sapida e una morbidezza che, unita al tenore alcolico elevato, crea un equilibrio invidiabile. Il finale è incentrato sul frutto con una buona corrispondenza gusto-olfattiva e una lunga persistenza.
Tocca poi al Rosso Piceno DOP Calanchi 2023 che nasce da uve montepulciano 60%, sangiovese 35% e merlot 5%, con fermentazione e maturazione in cemento. Un bel colore rosso rubino con riflessi porpora e al naso sensazioni floreali di rosa e viola, note fruttate di amarena e frutti di bosco in confettura, prugne secche, cenni balsamici di eucalipto e rimandi speziati di cannella e pepe. Grande equilibrio frutto di una buona acidità sostenuta da una traccia sapida, di una trama tannica scolpita e levigata e di una morbidezza che avvolge il palato. In chiusura il Rosso Piceno Superiore DOP Castellaro 2020 frutto di un blend di montepulciano 80%, sangiovese 15% e merlot per la restante parte con fermentazione e affinamento in botti di cemento. È stato recentemente premiato con il riconoscimento dell’Eccellenza dalla guida “Le Marche nel Bicchiere 2024”, curata dall’Associazione Italiana Sommelier Marche. Nel calice un luminoso rosso rubino molto intenso con riflessi violacei. Al naso esprime intensità e complessità di sensazioni con profumi floreali di rosa rossa e viola, note fruttate di more e mirtilli, marasche mature, buccia di arance rosse. Al palato il sorso è pieno e voluminoso con un tannino levigato, una spalla acida che dona freschezza e una traccia sapida che dona eleganza. Una morbidezza percettibile e un tenore alcolico elevato contribuiscono all’equilibrio del vino. La chiusura è lenta con un rimando al frutto e una lunghissima persistenza.
Un plauso alla Cantina Sesì che riesce ad esprimere nel calice tutto il potenziale del territorio Piceno con vini espressivi e dall’insuperabile rapporto qualità-prezzo.
Julien Mareschal si installa in Jura, a Pupillin, nel 2003, dando vita a Domaine de la Borde, piccola azienda artigiana biologica che vinifica circa 5 ettari di vigna prevalentemente a ploussard, trousseau, pinot noir, chardonnay e savagnin. L’azienda nel tempo abbraccia anche la biodinamica e si ritaglia un ruolo di primo piano per molti appassionati di Jura.
Abbiamo assaggiato il savagnin (in loco chiamato anche naturé) Foudre à Canon 2019, vino ottenuto da fermentazione spontanea e affinato 20 mesi in grandi botti di rovere (foudre) e giare di ceramica.
Accattivante il colore, un dorato luminoso con riflessi verde/oro. Olfatto intenso e cangiante, dapprima si apre su note di frutta non troppo matura (albicocca acerba e mela renetta), poi arrivano i fiori gialli, la cera, la roccia spaccata, un tocco fumé, da ultimo un mix di agrumi (scorza d’arancia, lime) e spezie in formazione (pepe bianco).
Sorso fresco e fitto, l’acidità è elettrica ma stupendamente integrata nella materia del vino, che risulta saporito e con alcol (13,5%) gestito alla perfezione. Lo sviluppo è dettato da una progressione energica e senza strappi ed il vino, pur mantenendo un’ottima bevibilità, non rinuncia a potenza e volume, il tutto in un’insieme elegante e scorrevole. La chiusura è sapidissima e ci sorprende con un carezzevole ritorno di miele d’acacia. Persistenza da fuoriclasse.
Plus: un vino bianco di grande carattere che ci proietta immediatamente in Jura, un’interpretazione identitaria e territoriale da parte del suo artefice, Julien Mareschal.
Abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a Grandi Langhe 2025, l’evento di presentazione delle nuove annate organizzato dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Doglianicon il Consorzio di Tutela Roero e in collaborazione con Piemonte Land of Wine. Da quest’anno vi era dunque l’opportunità di degustare i vini di tutto il Piemonte, anche grazie alla predisposizione di un’efficiente area stampa dove giornalisti e comunicatori provenienti da tutta Europa potevano degustare più di 700 etichette.
Vi è stata la possibilità di degustare parte dei vini con una certa tranquillità, prima di farci prendere dalla frenesia degli assaggi ai banchetti. Di seguito condividiamo sia gli assaggi un po’ più strutturati dell’area stampa sia qualche suggestione che abbiamo avuto nello spazio espositivo alla presenza dei produttori.
Barolo Monvigliero
5 sfumature di Monvigliero
Abbiamo iniziato assaggiando 5 diversi Barolo provenienti dalla menzione geografica Monvigliero.
Barolo Monvigliero 2021 – Fratelli Alessandria
Aromaticamente il più dolce del lotto, un frutto rosso che tende quasi alla fragola di bosco, lampone schiacciato, floreale, grafite, sorso piuttosto agile, ficcante, ottima freschezza, tannini ben fitti e fini, chiusura appena calda. Lungo su ritorni di frutto rosso sotto spirito e liquirizia.
Barolo Monvigliero Riserva 2019 – Castello di Verduno
Anche qui il naso è piuttosto dolce persino con qualche nota di caramella mou, non il Barolo (né il Monvigliero) che ti aspetti, rose appassiti, balsamicità, sorso saporito, tannino disteso, alcol sotto controllo, chiude amaro con legno un po’ troppo in evidenza.
Barolo Monvigliero 2021 – Diego Morra
Olfatto di fiori appassiti, terra e radici, fruttini rossi, ferro. Sorso molto equilibrato, succoso, saporito, dolce di frutta matura. Chiusura lunga ed elegante, sapidissima eppur lieve. Gran bel vino.
Barolo Monvigliero 2019 – I Brè
Fiori macerati, sangue, asfalto, sorso scorrevole e gustoso, tannini affusolati che in chiusura danno però il giusto grip, lungo su ritorni di frutta matura.
Barolo Monvigliero 2021 – Ramello Gianni e Matteo
Naso dolce di frutta matura (fragole ma anche pesca), un tocco di volatile, bocca di volume, piuttosto rapido nello sviluppo e caldo in chiusura. Un vino non del tutto riuscito o, più ottimisticamente, che sta passando una fase infelice.
Barbaresco
Siamo passati quindi a testare sei Barbaresco, curiosi di verificarne la maggior apertura ed espressività rispetto ai Barolo che al momento sembrano in fase giovanile di assestamento.
Barbaresco Asili 2021 – Carlo Giacosa
Naso goloso di fragoline, melograno, fiori freschi, sorso di buon volume, caldo, sapido e lungo. Un bel Barbaresco con un pizzico di alcol in chiusura che non lo fa essere eccezionale, ma vino molto buono.
Barbaresco Asili 2021 – Cascina Luisin
Naso di fragole e violette, una nota ferrosa, sorso pieno, sviluppo guidato dalla freschezza, tannino fitto ed elegante, molto bello in chiusura su ritorni di sale e frutta rossa. Un Barbaresco eccellente.
Barbaresco Serraboella 2021 – F.lli Cigliuti
Anguria, fiori rossi, goudron, bocca molto gustosa di frutta matura, sorso un po’ rigido forse, il tannino è particolarmente graffiante, ma saporito e non amaro. Un Barbaresco vecchio stampo che siamo certi potrà dare il meglio tra almeno un lustro. Da attendere con fiducia.
Barbaresco Bricco di Neive Vie Erte 2021 – F.lli Cigliuti
Fin dalla prima “snasata” siamo di fronte ad un vino fuoriclasse, l’olfatto è delicato, mutevole, stratificato di fruttini rossi, rose appassite, un tocco terroso, spezie in formazione. Bocca saporitissima, fitta eppur scorrevole, l’armonia delle sue componenti di frutta, acidità e tannino lo rendono setoso e lungo. Elegantissimo. Un grande vino.
Barbaresco Gallina 2021 – Ugo Lequio
Naso di fragole ed una certa balsamicità, sorso di ottima dolcezza e allungo, elegante e sapido. Un Barbaresco riuscito se vogliamo piuttosto minimalista ma non è certo un difetto. Piacerà particolarmente a chi ama dettaglio aromatico e cesellatura del sorso. Molto interessante.
Barbaresco Rio Sordo 2021 – Musso
Naso che non parte pulitissimo (straccio bagnato), frutta scura, corteccia, asfalto, sorso molto più rassicurante, sapido e di ottima dinamica. Altro vino da attendere con fiducia, deve sistemarsi ma il tempo lo aiuterà. La chiusura sapida e lunga fa ben sperare.
Altre bottiglie degne di nota
Barolo Vigna Rionda 2021 – ArnaldoRivera
Sembra quasi un ossimoro, ma questo è un Barolo rarefatto, senza ostentare potenza si presenta con note soffuse di fragoline di bosco, arancia, asfalto, rose appassite…elegantissimo anche al sorso, dal tannino gentile e dalla sapidità quasi marina. Vino eccellente.
Barolo Bussia Riserva 2019 – Livia Fontana
Note minerali in apertura che ricordano il calcare, seguite poi dal varietale elegante che ti aspetti dal nebbiolo, ovvero fiori appassiti, fruttino rosso, un cenno di tartufo. Sorso delicato eppur persistente, saporito e lungo, su ritorni di frutta rossa e sale.
Dogliani 2017 – San Fereolo
Frutta rossa, grafite, viole, frutta secca, sorso dal tannino fitto, saporito, sapido, vino che si distende con un’ottima progressione e persistenza. Ritorni di fiori e frutta rossa.
Monferace 2019 – Alemat
Potpourri, frutta secca (noci), corteccia, scorza d’arancia, bocca sapida e dal tannino croccante, l’acidità allunga il sorso che è comunque scorrevole. Ottima persistenza per un grignolino (Monferace) che prova a nebbioleggiare.
Grignolino del Monferrato Casalese “Altromondo” 2023 – Hic et Nunc
Fragoline e ribes, erbe di montagna, pepe, sorso agile e gustoso, vino divertente ma ben fatto e con una chiusura minerale molto intrigante.
Conversazioni stimolanti con i produttori e vini di ottimo livello nel prosieguo della giornata, ci limitiamo qui a qualche flash dei vini che ci sono rimasti più in mente.
Partiamo dal Barolo Massara 2019 del Castello di Verduno, austero e di impostazione molto classica, passando dal sempre elegantissimo Moscato d’Asti Vecchia Vigna di Ca’ d’ Gal che anche nel millesimo 2018 non delude.
Il Barbaresco Albesani Riserva Santo Stefano 2020 del Castello di Neive è goloso e stratificato al tempo stesso; ottima la linea dell’azienda (troppo poco conosciuta a nostro modo di vedere) San Biagio (andate a caccia del Barolo Bricco San Biagio 2019!).
Che dire invece di Palladino? Ci ha colpito particolarmente il Barolo Ornato 2021. Bella scoperta anche l’azienda, invero storica, Lodali che si è impressa nella nostra memoria grazie al Barolo Bricco Ambrogio Lorens 2021 di grande complessità e articolazione. Last but not least il Barolo Rocche Rivera “Scarrone” 2021 dei Figli Luigi Oddero, dal tannino fitto e gustoso.
Riprendiamo la rubrica “Faccia a Faccia” con il “Re dei vini, il vino dei Re”, ovvero con il Barolo. E, nello specifico, con due Barolo 2016, annata decisamente riuscita che ha dato vita a vini equilibrati, espressivi e longevi.
Abbiamo assaggiato fianco a fianco, o meglio, faccia a faccia, due vini di due produttori e di due MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) diverse.
Barolo Ravera 2016 – Abrigo Giovanni
L’azienda agricola Abrigo Giovanni si trova a Diano d’Alba e il Barolo che abbiamo degustato proviene dalla MGA Ravera, una importante menzione del comune di Novello. Ravera è considerata una zona più tardiva e fresca rispetto ad altri territori da Barolo e la crescita qualitativa del cru, sia per questioni climatiche sia per il lavoro attento dei produttori, è stata una costante degli anni recenti. Il vigneto da cui è ottenuto il vino si trova a 400 metri sul livello del mare e l’affinamento avviene in botti di rovere da 10 ettolitri e, in piccola parte, in tonneaux.
Il vino si presenta di un bel rosso rubino con riflessi granato, l’olfatto spazia tra le spezie e i fiori appassiti (potpourri), ma anche lamponi schiacciati, corteccia e una interessante nota balsamica.
Il sorso è succoso, di ottima energia e freschezza. lo sviluppo è sostenuto da un’efficace dinamica acido/tannica con il tannino che si mostra appena ruvido in chiusura, che però è lunga e su ritorni di radice di liquirizia.
Vino dinamico e fresco, energico e con il legno che, pur ben gestito, si fa vivo sul finale con un tannino tenace ma senza alcuna nota amara. Un Barolo molto buono che potrà evolvere positivamente ancora qualche lustro.
Barolo Cannubi 2016 – Brezza
L’azienda agricola Brezza si trova a Barolo ed è un pezzo di storia della denominazione. A conduzione biologica e con ben 20 ettari vitati, possiede alcune vigne in MGA importanti quali Sarmassa, Castellero e Cannubi. l’MGA Cannubi, il vino che abbiamo assaggiato, si può considerare come la più antica menzione geografica apparsa in etichetta in Italia (fin dal 1752!).
Il vino appare di un rosso rubino chiaro integro e luminoso senza alcun cedimento. Naso di grande eleganza che si dipana tra fiori appassiti (rose e viole) e note fruttate (melograno). A bicchiere fermo sopraggiunge una intrigante nota ematica e di scorza d’arancia.
L’ingresso in bocca è ficcante, pieno, saporito ma equilibrato in tutte le componenti senza alcuna sbavatura con un tenore alcolico gestito magistralmente. Chiude lungo su ritorni di frutta rossa e sale.
Un Barolo paradigmatico, potente ed elegante allo stesso tempo, pugno di ferro in guanto di velluto.
Riflessioni conclusive
Come detto in altre circostanze lo scopo della rubrica è quello di mettere in connessione e dialogo due vini in qualche modo confrontabili. L’idea di fondo non è quella di paragonare i due vini, quanto di trovarne nuove chiavi di lettura per comprenderli meglio. É quello che succede anche nelle relazioni personali: entrando in empatia con chi si ha di fronte, si finisce per conoscere meglio non solo l’altro ma anche sé stessi.
Ebbene, ci siamo trovati di fronte a due Barolo di ottima fattura che rispecchiano il territorio di provenienza. Brezza ha mostrato un’eleganza fuori dal comune, un’integrità sbalorditiva e una “classicità” che ce lo fa preferire al vino di Abrigo che però è un Barolo molto buono e un’azienda da seguire con attenzione anche per il favorevolissimo rapporto qualità – prezzo.
La storia di Laura Lardy è simile a quella vista in tante altre aree del vino, non solo francese. Figlia di una famiglia di produttori di vino (Lucien Lardy), cresce tra le vigne e, pur avendo provato a dedicarsi ad altre attività, cede al richiamo della terra e torna in azienda per mettersi in gioco e produrre i propri vini. Lo fa affrancandosi dall’attività di famiglia – di stampo piuttosto convenzionale – per dar vita ai vini che rispecchino la visione contemporanea dei giovani vignerons, ovvero rispetto massimo del terroir, intervento in vigna ed in cantina ridotto al minimo, fermentazioni spontanee, utilizzo di contenitori di affinamento non invasivi, aggiunta della solforosa necessaria solo in fase di imbottigliamento.
Le vigne che Laura affitta dalla famiglia, gamay e chardonnay, hanno un’età media di 40 anni e coprono complessivamente 5,5 ettari a Morgon, Fleurie, Chénas e Moulin á Vent. La prima annata prodotta è la 2017.
Il vino che abbiamo bevuto è il MorgonCôte du Py2021, ottenuto da una vigna di 0,8 ettari nella Côte du Py, uno dei cru più celebri del Beaujolais. Come da tradizione il vino è realizzato con fermentazione semi carbonica a grappolo intero in cemento, prima dell’imbottigliamento sosta 6 mesi in fusti di rovere esausti.
Colore rubino compatto e un primo naso molto pulito ed immediato. Dapprima sul frutto (fragola e lampone), poi sopraggiunge la viola e quindi una nota di mineralità scura che conferisce una certa complessità. Il sorso è dinamico, scorrevole ma non rapido, il tannino è aggraziato e l’acidità dà slancio e profondità. Chiude sapido.
Plus: vino ben fatto ed espressivo, di grande bevibilità e riconoscibilità. Rispetto ad altri Morgon assaggiati (vedi ad esempio questo post) l’interpretazione di Laura Lardy (almeno in questa annata) è più sul frutto che sulle componenti scure e speziate che conferiscono ai Morgon un’austerità spesso rocciosa e contratta.
Un vino che vale la pena di provare insomma e che condividiamo volentieri!
Envinate è un originale progetto enologico che ha preso vita nel 2005 per opera di quattro amici – Roberto Santana, Alfonso Torrente, Laura Ramos, and José Martínez – compagni di università (enologia, of course) che decidono di fornire supporto, aiuto e consulenza ai territori più originali e particolari della Spagna. Il progetto Envinate inizia così a supportare agricoltori locali delle Isole Canarie, della Ribeira Sacra e della Castiglia-La Mancia.
Pochi ma chiarissimi i punti fermi del progetto:
agricoltura seguita in prima persona dai proprietari locali di vecchie parcelle
vitigni autoctoni
approccio rispettoso dell’ambiente in vigna
fermentazioni spontanee
utilizzo della solforosa solo in imbottigliamento e quando necessario
affinamento in contenitori che rispettino la purezza del frutto (legno sì ma mai nuovo)
La curiosità di assaggiare un vino di Envinate è stata finalmente colmata grazie ad Migan 2022, un vino dell’isola di Tenerife ottenuto da due parcelle di listán negro allevate con il tradizionale metodo del cordón trenzado (viti intrecciate). La maggior parte delle uve è pressata a grappolo intero. La massa fermenta in grandi tini di cemento, poi in botti di rovere francesi dove svolge la fermentazione malolattica per poi affinare 11 mesi in botti grandi.
Il vino già dal colore rapisce: un luminoso rubino chiarissimo, appena velato (il vino non è filtrato). Il primo naso è piuttosto chiuso su note appena animali e di cerino spento, ma dopo pochi secondi di contatto con l’ossigeno ecco che irrompe sulla scena il fruttino rosso acidulo (ribes), i fiori appassiti, il pepe nero, la scorza d’arancia. Insomma, dinamica, stratificazione ed eleganza non mancano.
Il sorso è fresco, scorrevole ma ficcante, l’acidità è ben presente ma senza alcuna sbavatura, perfettamente integrata nella materia del vino. Il tannino è percepibile solo in chiusura che è lunga su ritorni di frutta rossa e spezie.
Plus: vino che potremmo definire dissetante anche grazie alla sua bassa alcolicità (12%) che coniuga sorprendentemente la grande beva con la complessità del dettaglio aromatico.
Parliamo dei vini della Savoia con una certa frequenza su queste pagine. E tra questi un posto in primo piano lo meritano i vini a base di altesse, vitigno a bacca bianca che trova la sua massima espressione nella denominazione Roussette de Savoie.
Il vino che abbiamo degustato oggi è quello di una realtà biologica piuttosto giovane (il primo millesimo prodotto è stato il 2019). Si tratta del Domaine Ludovic Archer, azienda sita ad Arbin di 4 ettari vitati in rosso a mondeuse, persan, douce-noire, gamay, pinot noir, ed in bianco a chardonnay, altesse, jacquère e roussanne.
Il vino che abbiamo assaggiato è la Roussette de Savoie “Poulettes” 2021.
Il vino si presenta in una bella veste di giallo paglierino con riflessi verde-oro. L’olfatto è delicato, articolato ed elegante, richiama l’albicocca acerba, i fiori di campo, note vegetali di fieno e cerfoglio, scorza di limone e spezie (vaniglia).
Sorso di buon volume, il basso tenore alcolico (12,5%) agevola la beva, anche perché l’acidità supporta benissimo una certa morbidezza e fornisce sufficiente energia al vino per una progressione che non perde slancio e sapore. Chiude su ritorni di agrumi e vaniglia.
Plus: l’annata 2021 è stata tutt’altro che solare, caratterizzata da gelo e abbondanti piogge, anche per questo motivo è stata necessaria una selezione delle uve particolarmente severa che ha portato a produrre solo 640 bottiglie di questa referenza. Il vino è un’ottima interpretazione di Roussette de Savoie che riesce a far convivere in equilibrio verve acido/salina con una materia ricca non esente da note boisé (metà della massa affina in legno, precisamente in demi-muids). Il risultato è un vino di impostazione naturale perfettamente a fuoco, preciso, espressivo e adatto anche a piatti elaborati a base di carni bianche.