Poker servito a cena: 4 vini in gran forma

Barolo Santo Stefano di Perno 2006

Oggi ti racconto di 4 vini bevuti a cena in compagnia di qualche amico degustatore. Serata tranquilla, chiacchiere coinvolgenti, i bei piatti e l’ambiente accogliente dell’Osteria Lagrandissima di Milano, ecco gli ingredienti che hanno accompagnato un riuscito poker di vini.

Champagne Réserve Thierry Fournier extra-brut

Thierry Fournier si trova nella Vallée de la Marne e dal 1930 valorizza al meglio la varietà principe del luogo, il pinot meunier. Il vino che abbiamo bevuto è un assemblaggio di meunier (80%), chardonnay (10%) e pinot noir (10%). Champagne estremamente godibile, senza alcuna sbavatura, si presenta con un bel colore giallo dorato ed una bollicina sottile e continua. L’olfatto è un bel mix di agrumi, frutta gialla e note minerali (calcare). Uno Champagne molto classico, dal rimarchevole equilibrio, scorrevole e semplice, ma senza rinunciare a intensità e stratificazione. Molto convincente, anche nel prezzo (30-40 €).

Furmint 2022 – Péter Nagyvàradi

Péter Nagyvàradi è un giovane vignaiolo ungherese che dopo varie esperienze in altre aziende in Ungheria, Cile e Nuova Zelanda fonda nel 2021 la propria micro azienda al nord del Lago Balaton. Un vero e proprio garagista, visto che al momento possiede solo 2 ettari di vigna. L’impostazione è naturale e il furmint che abbiamo nel calice è un vino di grande personalità. Naso molto intrigante: caffè verde, sedano, pompelmo, note cerealicole, fiori di campo. Il sorso è leggero, dal corpo esile (11%), ma molto dinamico, energico e vitale. Vino originale e dalla fattura impeccabile.

Côtes du Jura Pinot Noir Cuvée Julien 2020 – Jean-François Ganevat

Il Domaine Ganevat è ormai una realtà biodinamica conosciutissima, una delle star del Jura. Naso eccezionale e mutevole: parte sul frutto (fragola nettissima, poi melograno), quindi una rinfrescante nota di foglie di menta, un tocco affumicato e intriganti note speziate. Sorso delicato e dall’alcol contenuto (12%), alla concentrazione preferisce la dinamica e la profondità, grazie ad una freschezza pronunciata che accompagna lo sviluppo del vino fino ad un finale sapido e lungo, su ritorni di spezie e frutta rossa.

Barolo Santo Stefano di Perno 2006 – Giuseppe Mascarello

La storia di Mascarello Giuseppe e Figlio risale al 1881 ed è senz’altro una tra le aziende più rappresentative delle Langhe. Santo Stefano di Perno è un vigneto, sito in Monforte d’Alba, vinificato dall’azienda dal 1989. Appena versato, dopo ben 18 anni di bottiglia, ha bisogno di distendersi ma già il colore lascia stupefatti: un rosso rubino dai riflessi granato luminoso e senza alcun cedimento. L’olfatto si dipana lentamente, prima è compresso su note di catrame e rose appassite, poi si rasserena, arriva il lampone, l’anguria, una nota balsamica (eucalipto) e, da ultimo, un sentore quasi salmastro. Bocca potente e ampia ma senza alcun eccesso alcolico, il vino ha un’ottima progressione, risulta stratificato e il tannino è mirabile per grana, estrazione ed eleganza. Chiude lungo e saporito, su ritorni di spezie, frutta rossa e sale.

Diego Mutarelli
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Melideo Rocco, c’è del nuovo in Abruzzo!

Non nascondo di essere sempre alla ricerca di nuove realtà che si avvicinano al mondo del vino. È un fatto oggettivo che, di fianco ai grandi nomi dell’areale Chietino in Abruzzo, si stanno muovendo nuove leve che intendono proporre vini tipici e territoriali che esprimono e sintetizzano le qualità di un territorio. Per questo motivo ho deciso di raccontarvi oggi di una nuovissima realtà che sta muovendo i primi passi e che spero possa consolidarsi e mantenere le ottime premesse che ho potuto constatare nel corso di una mia recente visita.

Siamo in Casalincontrada, in provincia di Chieti. Casalincontrada è conosciuto anche come il paese delle abitazioni in terra cruda, realizzate con impasto di terra e paglia e testimoni di una memoria contadina, oggi rappresentano un patrimonio architettonico mondiale da preservare.
Il caratteristico borgo incastonato ai piedi della Maiella è il punto di partenza per la nuova avventura di Melideo Rocco. L’azienda agricola è di famiglia e conta diversi anni di attività alle spalle con il fondatore che fu il nonno materno Di Filippo Fioravante, a quel tempo l’azienda conferiva l’uva alla cantina sociale. I terreni di proprietà sono situati a Poggiofiorito (CH), a metà tra la Maiella e la Costa dei Trabocchi ad un’altitudine sui 300 metri s.l.m. con esposizione a N/E e S/E.
Oggi siamo agli inizi di un nuovo percorso, difatti si tratta del primo imbottigliamento con uve che sono state lavorate per conto del proprietario da una cantina vicina. L’imbottigliamento e l’etichettatura, quest’ultima effettuata manualmente, fino alla bottiglia finita è stata invece opera del Sig. Rocco che mi ha manifestato il desiderio di costruire una cantina dove convogliare tutte le fasi dell’attività produttiva.

In degustazione vi presento il Pakkabù Bianco, Rosato e Rosso. I vini sono ottenuti da uve provenienti dai vigneti di proprietà, di circa 20 anni, allevati a tendone o meglio, pergola abruzzese.

vini in assaggio Melideo Rocco

In apertura il Pakkabù Bianco 2023 prodotto con uve Pecorino in purezza che si presenta di un vivace colore giallo dorato con riflessi verdolini. Nel calice si muove con leggiadria e una discreta consistenza. Gli archetti sono regolari ma ampi e anticipano un vino di media struttura e corpo. Al primo naso, senza roteare il vino, cerchiamo di percepire la componente aromatica e arrivano immediatamente profumi molto intensi con delle piacevoli note di frutta bianca come la pesca, sentori agrumati che ricordano il pompelmo e una lieve sensazione di frutta esotica come la papaya. Un bouquet di qualità fine che apre il ventaglio olfattivo sulle note primarie della frutta e lo chiude sulle note di erbe aromatiche. In bocca si rivela secco e si fa apprezzare subito per la sua buona acidità che dona freschezza e prepara il palato al prossimo sorso.
Buona la mineralità che regala cenni salini sul finale che lasciano spazio ad un vino che ha un forte legame con il suo terroir. Al palato si apprezzano le note agrumate di pompelmo già avvertite al naso con un finale di buona persistenza e piacevolezza.
Si abbina perfettamente con antipasti di pesce crudo, primi piatti e arrosti di pesce.

Si prosegue con il Pakkabù Rosato 2023 prodotto da uve Montepulciano d’Abruzzo. Il calice si veste di un cristallino colore rosato cerasuolo brillante. Al naso il bouquet olfattivo è intenso, complesso e di qualità fine con eleganti profumi di frutta fresca rossa come la fragola, ciliegia, cenni di melograno e lampone ed eleganti note floreali di rosa e geranio. Sapore piacevole, fresco, con una buona acidità e di lunga persistenza aromatica. Ottimo con pesce alla griglia, zuppe di pesce, arrosti di carni bianche, trippa, pizza e formaggi semi stagionati.

In chiusura il Pakkabù Rosso 2023 da uve Montepulciano d’Abruzzo in purezza che si presenta di un colore rosso rubino intenso con profonde sfumature violacee. Al primo naso intensi e ampi profumi di frutta rossa matura come marasca e mirtilli, seguono lievi note speziate di liquirizia e cenni di tabacco dolce.
Al palato il sorso è pieno, morbido, vellutato con un tannino presente e una vena acida supportata da una parte salina. Di buon corpo si fa apprezzare per una buona persistenza e una grande bevibilità.

Seguirò con interesse e curiosità l’evoluzione di questa realtà che debutta con dei vini varietali, semplici e accessibili (anche nel prezzo, sotto i 10 €), la gamma dovrebbe ampliarsi entrando nel sistema delle denominazioni di origine e dedicandosi anche a riserve e selezioni di maggior ambizione.

Walter Gaetani

Le Trame 2017, il miracolo di Giovanna Morganti?

Su queste pagine abbiamo già parlato di Le Trame (vedi ad esempio questo post oppure quest’altro), il non Chianti Classico – da tempo esce come Toscana IGT per scelta del produttore – di Podere Le Boncie, l’azienda agricola di Giovanna Morganti a Castelnuovo Berardenga (SI).

L’annata 2017 è stata una delle meno favorevoli dell’ultimo decennio e quindi abbiamo stappato la bottiglia, dopo anni di riposo in cantina, senza particolari aspettative. E invece… una volta in più il vino ci sorprende ricordandoci che la materia è complessa e rifugge dalla generalizzazioni e dalle ricette valide per tutte le stagioni. Questo vino, pur in un’annata che in Toscana non ha regalato capolavori, è un vero e proprio miracolo. Vino di un’integrità, dolcezza ed eleganza che mai avremmo potuto prevedere.

Le Trame 2017 - Podere le Boncie
Le Trame 2017 – Podere le Boncie

Si presenta con un luminoso rubino appena più chiaro sull’unghia. Olfatto subito molto estroverso e mutevole: viola, ciliegia, macchia mediterranea, scorza d’arancia, terra smossa e note ematiche…a bicchiere fermo una nota verde e balsamica che ricorda il muschio.

Sorso di grande equilibrio, l’alcol (13,5%) risulta perfettamente integrato in una materia fruttata di suadente dolcezza, la freschezza non manca così come il tannino risolto a centro bocca e appena più fitto in chiusura, contribuendo però a sostenere un persistente allungo sapido, floreale e di frutta rossa.

Abbinato con successo alle costolette di agnello.

Diego Mutarelli
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Quanto può evolvere il Fiano di Avellino?

Il fiano è senza ombra di dubbio uno dei vitigni a bacca bianca di maggior potenziale del nostro Bel Paese. Se poi proviene dalla sua culla di elezione, l’Irpinia, e da un manico che lo sa valorizzare, il gioco è quasi fatto. Scriviamo quasi perché in realtà le cose sono meno lineari di così, il vino sa sorprenderci e ripudia banalizzazioni e ricette valide per tutte le stagioni.

In effetti c’è una caratteristica in più che dobbiamo considerare per poterci regalare un grande Fiano di Avellino. Questa caratteristica è la sua capacità di evolvere nel tempo e stratificarsi arricchendosi di aromi e sensazioni, che nei vini molto giovani non si riscontrano.

Fiano 2016 - Pietracupa

Scriviamo queste riflessioni dopo aver assaggiato lo splendido Fiano di Avellino 2016 di Pietracupa. Abbiamo atteso questo vino in cantina per più di un lustro, perché un precedente assaggio ci aveva fatto intuirne il potenziale di evoluzione. Nel luglio 2019 infatti, scrivevamo su Vinocondiviso (vedi il post!):

Fiano di Avellino 2016 – Pietracupa

Naso da attendere senza fretta, appena versato è compresso su note di frutta bianca, nocciola, leggera affumicatura. Il vino risulta giovanissimo anche in bocca, che però risulta molto promettente, sapida e con un leggero tannino. Chiude succoso.

Dunque un vino che ci era piaciuto, di cui avevamo intravisto il potenziale, ma che al momento della bevuta risultava ancora piuttosto algido e reticente. Ebbene, dopo oltre 5 anni abbiamo ribevuto lo stesso vino ed è stata una vera e propria Epifania, il vino si muove su un registro di maggior espressività con un’eleganza ed una portamento da fuoriclasse, un vino insomma che porteremmo senza indugio sulle tavole di mezza Europa senza soggezione alcuna con i grandi bianchi francesi o tedeschi. Peraltro parliamo di un vino che si trova comodamente intorno ai 20 €.

Il vino oggi si presenta con una bellissima veste dorata. L’olfatto è allo stesso tempo maestoso e raffinato: fiori di campo e nespola, erbe mediterranee che ricordano il timo e il rosmarino, scorza di limone, poi, a bicchiere fermo, nocciola, affumicatura e roccia…. Sorso ancora giovanissimo – il vino potrà evolvere positivamente ancora per qualche anno – è vibrante in quanto sferzato da un’acidità tagliente e che rimanda ad altre latitudini, il tenore alcolico contenuto (12,5%) assiste la beva, ma al vino non manca la concentrazione di sapore, in chiusura anzi la sapidità è considerevole. Chiude su ritorni di sale e agrumi, terso e lunghissimo.

Una grande vino bianco italiano che abbiamo abbinato a pranzo con uno spaghetto allo scoglio home made e a cena con un semplice pollo arrosto con patate.

Diego Mutarelli
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Naturale Festival: cinque produttori che forse non conosci!

Naturale Festival

Circa un anno fa avevamo partecipato a Naturale Festival, un bell’evento dedicato al vino naturale che anche quest’anno si è tenuto presso Mare Culturale Urbano di Milano. Se l’anno scorso nel nostro resoconto avevamo parlato di “prova di maturità” per il movimento mettendo in luce i tanti vini espressivi ed enologicamente corretti, quest’anno – consapevoli che questo mondo è, fortunatamente, in eterno rinnovamento – ci siamo focalizzati nel degustare le aziende a noi meno conosciute.

Di seguito condividiamo le nostre impressioni sulle aziende più interessanti che abbiamo “scoperto” e che non erano presenti o non avevamo già assaggiato lo scorso anno. Siamo sicuri che alcune di queste realtà potresti non conoscerle e speriamo di incuriosirti, secondo noi ne vale la pena!

Poggio Cagnano, ci troviamo in Maremma, qui una giovane coppia cura poco più di 4 ettari di vigna a 450 metri s.l.m., tra il mare e il Monte Amiata. Le uve beneficiano di escursioni termiche notevoli e i vini dell’azienda a base di vermentino, ansonica, sangiovese, alicante e ciliegiolo sono espressivi e gustosi. Ci ha colpito particolarmente l’Ansonica Tacabanda “you must believe in spring” 2022: due giorni di macerazione, affinamento in inox e cemento, il vino ha una bellissima eco marina, fresco e sapido, ma di grande carattere. Delizioso. Non da meno il Sangiovese Euphoria Vigna ai Sassi 2021, altro vino di personalità, macerato 12 giorni sugli acini (diraspati ma non pressati) e affinato in anfora, si dipana grazie ad una convincente dinamica tra sale e tannino “masticabile”.

Viticoltori Anonimi, un’altra giovane coppia alle prese con un lavoro ammirevole di recupero di vecchie vigne semi abbandonate. Siamo in Umbria, l’azienda ha meno di mezzo ettaro di vigna e la produzione è, conseguentemente, limitatissima … ma chissà che quest’avventura non possa assumere una dimensione leggermente più significativa, anche per permettere agli appassionati di assaggiare questi vini molto coraggiosi ed intriganti. Le referenze sono numerose, nonostante le poche bottiglie prodotte, qui ci limitiamo a parlare del Trespolo 2023, ottenuto da trebbiano spoletino vendemmiato nella prima settimana di ottobre. Diraspatura a mano per preservare l’acino intero, fermentazione spontanea, macerazione sulle bucce di 24 giorni e affinamento in damigiane di vetro sulle fecce fini con frequenti bâtonnage. Vino fresco e gustoso, minerale e slanciato.

Terrae Laboriae, ci troviamo in Sannio, per l’esattezza a San Lorenzo Maggiore (BN). L’azienda cura 8 ettari di vigna ed in vinificazione si caratterizza per l’utilizzo in affinamento delle anfore in stile georgiano (Qvevri). Ci è piaciuta molto la Falanghina Speri 2023, 1 mese di macerazione in anfora ma che resta leggiadra al sorso, senza estremizzazioni tanniche o vegetali, dal bel frutto disidratato, la giusta verve sapida e uno sviluppo lineare ed elegante. Curioso il vino rosso Teli 2022, dal vitigno locale camaiola.

Ludovico, azienda abruzzese sita in Valle Peligna, a Vittorito (AQ). Abbiamo assaggiato un convincente Montepulciano d’Abruzzo Suffonte 2021, affinato in acciaio risulta molto fruttato e saporito, ricco ma senza accessi muscolari, ma anzi di grande beva. Siamo curiosi di approfondire il resto della produzione (Cerasuolo e Trebbiano d’Abruzzo).

Cà Bianche, siamo in Valtellina, a Tirano (SO), solo 2 gli ettari di vigna a circa 650 metri s.l.m. che cura personalmente dal 2007 Davide Bana. Elegante e gustoso come solo la chiavennasca, ovvero il nebbiolo di Valtellina, sa essere, il Valtellina Superiore “La Tèna” 2021 è un vino austero e ficcante, di grande fascino e dalla persistenza notevolissima.

Diego Mutarelli
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6 bottiglie condivise tra amici

Le serate tra amici che si incontrano con la scusa di condividere qualche vino sono, senza ombra di dubbio, più divertenti rispetto a masterclass o wine tasting più formali. In fondo le bottiglie di vino nascono per essere godute e condivise a tavola, con amici, chiacchiere e divertimento. Socializzazione e spensieratezza però non escludono che si possa anche imparare qualcosa, soprattutto se si beve alla cieca e le regole sono “porta una bottiglia che hai voglia di condividere”, senza troppi limiti e paletti.

Di seguito ti raccontiamo cosa abbiamo bevuto qualche giorno fa in occasione di una di queste serate.

Champagne Rosé Ambonnay grand cru brut – André Beaufort

Champagne Rosé grand cru extra-brut – Egly-Ouriet

Due Champagne importanti sia in termini di prezzo che di notorietà, entrambi rosé provenienti da vigneti grand cru della Montagne de Reims. Siamo rimasti stregati, una volta ancora, dallo Champagne di André Beaufort, azienda artigiana che cura pochi preziosi ettari di vigna e che dà vita a prodotti sempre emozionanti: rosa con riflessi aranciati, presenta un naso psicodelico di liquirizia e lampone, chinotto e frutta secca, fiori appassiti e radici. La bollicina è sottile e continua, solletica il palato e accompagna uno sviluppo dinamico e dall’acidità agrumata, chiude lungo su ritorni di fruttini rossi e spezie. Lo Champagne di Egly-Ouriet, frutto di un assemblaggio di pinot noir e chardonnay, ha una confezione più aristocratica e meno artigiana, una bella dolcezza di frutto giallo e mineralità calcarea, in bocca si sviluppa in profondità, la freschezza la fa da padrona, l’impressione è che la nostra bottiglia stesse attraversando una fase (si tratta di una base 2017) di chiusura, il vino è insomma apparso di ottimo livello ma meno espressivo del precedente.

Igt Liguria di Levante “Amante del Sole” 2022 – Cián du Giorgi

Cián du Giorgi è una recente piccola azienda che si trova nel Parco Nazionale delle Cinque Terre e che ha recuperato trascurati vigneti a Vernazza e Riomaggiore. Il conferitore della bottiglia è andato a trovare la coppia che gestisce l’azienda (Riccardo Giorgi e Adeline Maillard) prima ancora che potessero etichettare il vino. Amante del Sole è ottenuto da vigne centenarie autoctone (bosco, ruzzese, albarola ed altre), fermentato spontaneamente e macerato sulle bucce. Il naso richiama la pesca gialla, gli agrumi e la macchia mediterranea, ingresso in bocca piuttosto possente, con alcol generoso, pecca un po’ di articolazione e sviluppo, benché il finale sia rinfrescante e appena tannico. Azienda che ci ha incuriosito e di cui speriamo di assaggiare presto il resto della gamma.

Côtes du Jura AOC Pinot Noir Les Varrons 2022 – Domaine Labet

Sempre più difficile da trovare i vini del domaine Labet, stavolta è toccato al pinot noir Les Varrons che ha un bellissimo colore rubino trasparente; al naso ribes rosso, melograno, cerino spento, una nota di mineralità chiara. Il sorso è fresco, agile, leggero nonostante i 13,5% di titolo alcolometrico. Delicato e succoso in chiusura, ma per nulla timido, anzi lungo e sapido. Vino intrigante.

Rosso di Montalcino 2020 – Poggio di Sotto

Poggio di Sotto è un’importante azienda di Montalcino che non ha bisogno di presentazioni. Il vino si presenta con un olfatto di frutta e fiori rossi, arancia, un tocco speziato, la bocca è piuttosto morbida, il tannino è quasi assente, l’acidità rinfresca ma manca un po’ quel dialogo acido-tannico dei migliori sangiovese, vino di una certa eleganza ma da questa azienda è lecito aspettarsi maggior personalità.

Barolo Riserva Perno 2015 – Elio Sandri (Cascina Disa)

I Barolo di Elio Sandri sono piuttosto noti per essere Barolo “vecchio stampo”, tradizionali e che hanno bisogno del giusto affinamento in cantina prima di poter essere goduti appieno. E questo 2015 non fa eccezione, vino che risulta ancora compresso ma assolutamente riconoscibile come Barolo (plus). Rosso rubino con riflessi aranciati, fiori appassiti, asfalto, un tocco agrumato, sorso potente e serrato, di volume ma corroborato da ficcante freschezza. Chiude un po’ brusco su ritorni di erbe amare e liquirizia. Vino da dimenticare in cantina.

Diego Mutarelli
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Toscana IGT: vini d’avanguardia o in cerca di identità?

La Masterclass Toscana IGT – evento organizzato da Doctor Wine, ovvero Daniele Cernilli, in collaborazione con il Consorzio Vino Toscana – è stata l’occasione per fare il punto su un distretto produttivo del vino toscano che muove numeri significativi. Ogni anno oltre 4.000 aziende toscane rivendicano l’appellazione Toscana IGT per un controvalore di circa 495 milioni di euro con una fortissima vocazione all’export (il 70% della produzione varca i confini nazionali).

Abbiamo partecipato alla manifestazione con il nostro solito spirito di cronisti curiosi, cercando di mettere da parte lo scetticismo che molti appassionati nutrono nei confronti di una denominazione così disomogenea e ampia in termini geografici e produttivi. Etichettati come Toscana IGT possiamo infatti trovare vini bianchi, rossi, frizzanti, da vendemmia tardiva e passiti…insomma un calderone così ampio di offerta che rischia di togliere identità e coerenza alla proposta enoica.

Il Consorzio Vino Toscana, di recente costituzione, non potendo dunque puntare su un’inesistente identità territoriale, ecco che si pone obiettivi molto più concreti:

  • difendere da contraffazioni e abusi di vario genere il maschio Toscana
  • promuovere e sostenere i suoi soci in attività di promozione in Italia e all’Estero

Abbiamo potuto assaggiare 24 vini, 6 bianchi e 18 rossi, il cui elenco riportiamo nella foto sottostante.

La curiosità che ci ha spinto ad assaggiare con attenzione i vini proposti è stata quella di indagare quanto Toscana IGT possa porsi come “denominazione di ricaduta” dei vini innovativi, sperimentali, non ortodossi rispetto alle storiche denominazioni toscane come Brunello di Montalcino, Chianti Classico, Nobile di Montepulciano, Vernaccia di San Gimignano… Anticipiamo che la qualità media degli assaggi è stata molto buona, soprattutto in termini di correttezza enologia, più chiaroscuri invece abbiamo trovato proprio sul fronte dell’emozione, della sperimentazione e della personalità. Insomma, per il momento di avanguardia e sperimentazione non ne abbiamo visti a sufficienza, ma il cammino del Consorzio è appena iniziato…

Come nostro costume condividiamo le note dei vini degustati limitandoci, in questo caso, ai soli assaggi più convincenti.

Toscana Rosso IGT 2021 – Vallepicciola: azienda sita a Castelnuovo Berardenga propone questo vino da uve sangiovese del vigneto Fontanelle, piante di oltre 40 anni poste a 450 metri sul livello del mare. Fermentazione in cemento e affinamento di 20 mesi in barrique (50% di legno nuovo). Il vino è godibilissimo nei suoi sentori di amarena, fiori rossi, terra e un tocco di spezie balsamiche, sorso potente ma la beva non ne risente, la freschezza alleggerisce e allunga il sorso ed il tannino cesellato accompagna il vino verso una chiusura pulita di ottima lunghezza.

Estatura Toscana Rosso IGT 2019 – Barone Pizzini Tenuta Ghiaccioforte: siamo nei poderi Ghiaccioforte, le vigne a conduzione biologica di Barone Pizzini in Maremma. Il vino che abbiamo nel calice è frutto di un riuscito blend di sangiovese (50%) e carignano nero (50%), fermentazione in acciaio e 12 mesi di barrique. Il vino è di un rosso rubino compatto, al naso frutta rossa, macchia mediterranea, balsamico, spezie e tostature (senza eccessi), insomma l’affinamento in legno si sente ma è gestito alla perfezione senza inopportune dolcezze, il sorso è caratterizzato da una certa morbidezza, i 15% di titolo alcolometrico sono però ben mitigati da tannino fitto e fuso, sapidità in filigrana e acidità rinfrescante.

Camboi Toscana Rosso IGT 2019 – Castello di Meleto: azienda storica di Gaiole in Chianti che non ha bisogno di presentazioni, presenta questo vino ottenuto da malvasia nera, che affina 18 mesi in botti da 25 hl. Colore rubino chiaro luminoso, si propone all’olfatto con fruttini rossi aciduli (ribes) ma anche arancia, un elegante tocco floreale e di ginepro. La bocca è dinamica, snella e succosa, precisa ed equilibrata, con l’acidità a fare da filo conduttore ed un tannino in secondo piano. Vino finto semplice di grande piacevolezza e bevibilità.

Il Blu Toscana Rosso IGT 2021 – Brancaia: nota azienda di Radda in Chianti che etichetta come Toscana IGT Il Blu, un blend di merlot (80%), sangiovese e cabernet sauvignon. Ogni singola varietà viene affinata separatamente in barrique (per due terzi nuove), per 18 mesi. In seguito, una volta assemblato, il blend finale matura in vasche di cemento non vetrificato per 3 mesi. Rosso rubino con riflessi bluastri, naso molto ampio di lampone, prugna, caffè, cassetto della nonna, spezie dolci…il sorso è una carezza, avvolge il cavo orale e lo accompagna senza soluzione di continuità in un finale in cui l’acidità fa capolino e sostiene la chiusura rintuzzandone il calore.

Campo all’Albero Toscana Rosso IGT 2020 – La Sala del Torriano: azienda nota anche per i suoi Chianti Classico, presenta in degustazione il Campo all’Albero, merlot (70%) e cabernet sauvignon (30%), 18 mesi di affinamento in barrique. Confettura di ciliegie, mirtillo, caffè, note balsamiche al naso, morbido in ingresso in bocca con un tannino fitto e saporito che fornisce grip e dinamica, la chiusura è sapida e lunga. Un vino che potrà evolvere e migliorare ancora.

Cabernet Franc di Vignamaggio Toscana Rosso IGT 2020 – Vignamaggio: ottenuto da piante di oltre 40 anni di cabernet franc site in Greve in Chianti, il vino fermenta in acciaio e affina 18-24 mesi in barrique. Colore rubino impenetrabile, all’olfatto è intenso nei richiami di ribes nero, cacao, prugna, caffè e una caratterizzante nota vegetale (peperone grigliato). L’acidità rende il sorso succoso, il tannino è ben presente ma affusolato. Bella progressione per una chiusura saporita e di personalità.

Diego Mutarelli
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Taste Alto Piemonte a Milano: i nostri assaggi

Taste Alto Piemonte è un format ideato dal Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte che quest’anno ha scelto Milano come vetrina e location d’eccezione e AIS Milano come partner organizzativo.

Il 16 settembre 2024 all’Hotel Westin Palace abbiamo avuto modo di assaggiare alcuni dei vini rappresentativi dell’intrigante territorio dell’Alto Piemonte, territorio variegato che copre ben 10 denominazioni: Boca DOC, Bramaterra DOC, Colline Novaresi DOC, Coste della Sesia DOC, Fara DOC, Gattinara DOCG, Ghemme DOCG, Lessona DOC, Sizzano DOC, Valli Ossolane DOC.

Come nostra consuetudine di seguito condividiamo i nostri migliori assaggi.

I grandi nomi non deludono

Gli storici grandi nomi dell’Alto Piemonte non deludono anche in queste “nuove” annate.

Partiamo da Antoniolo che, a Gattinara, sforna ormai da decenni una gamma di vini di altissimo livello, fedeli alla tradizione, potenti ed eleganti allo stesso tempo. In particolare, il Gattinara Riserva DOCG Osso San Grato 2019 (60-70 €) è una vino dalla classe cristallina, probabilmente il miglior assaggio dell’evento.

Spostiamoci a Lessona dove Tenute Sella sfodera un Lessona DOC 2019 (25 €) estroverso e gustoso, qui al nebbiolo si unisce la vespolina per un vino che risulta molto aperto al naso (sangue, note ferrose, ribes), aristocratico e compito al sorso, con un tannino fuso e cremoso.

A Boca si trova invece Le Piane, che presenta una gamma convincente a partire dall’ottimo Boca DOC 2018 (60 €) vino di grande complessità e stratificazione; ci ha però colpito ancor di più il Piane 2021 (30-40 €), etichettato come “semplice” Vino Rosso, 90% di croatina da vecchie vigne con, a completare l’uvaggio, nebbiolo e vespolina. Un vino di grande personalità e carattere, con frutto rosso e spezie, al sorso risulta di grande impatto, tannico e persistente. Una delle espressioni di croatina più convincenti mai assaggiate.

Le sorprese positive

Chiamarli outsider sarebbe sbagliato, ma è un fatto che di fianco ai grandi nomi dell’Alto Piemonte ormai da anni hanno acquisito un posto di rilievo altri produttori che anche in questo evento si sono ben distinti.

In Val d’Ossola Cantine Garrone da diversi anni sta proponendo vini sempre più convincenti e identitari. Meritevole inoltre la valorizzazione e conservazione del prünent, antico clone di nebbiolo adattatosi alla perfezione in questi luoghi. Ci è piaciuto moltissimo il Prünent Valli Ossolane Nebbiolo Superiore DOC 2021 (30 €) dal profilo slanciato, fresco e saporito, con sentori che vanno dal frutto rosso alle erbe di montagna, con richiami ferrosi e speziati. Ottimo anche il Prünent Diecibrente Valli Ossolane DOC Nebbiolo Superiore 2020 (40 €), da uve provenienti da un vero e proprio “grand cru”, un vigneto del 1920. Il vino ha grande fascino e un quid di potenza e profondità sapida in più rispetto al Prünent 2021.

Tenute Vercellino è una giovane azienda di Valdengo (BI) che cura poco più di 2 ettari di vigna. Ci è piaciuto il Coste della Sesia Rosso 2022 (25 €), un uvaggio di nebbiolo (50%), barbera, vespolina, croatina ed uva rara che unisce al frutto goloso un’intrigante mineralità.

Per chiudere in bellezza parliamo dell’Azienda Agricola Gilberto Boniperti e del suo buonissimo Fara DOC Bartön 2021 (25 €) che si presenta con un naso elegantissimo e floreale e poi spiazza con una bocca sferzante per freschezza e grip tannico, un vino di grande personalità.

In questo post ci siamo limitati a riportare gli assaggi che più ci hanno colpito, ma la quasi totalità dei vini assaggiati ci è parsa convincente, ci sembra insomma che l’Alto Piemonte goda ottima salute!

Diego Mutarelli
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Ruje 2013, il grande rosso di Zidarich

Chi segue con regolarità questa pagine sa che il Carso vi compare spesso. La maggior parte delle volte ci siamo concentrati sulla vitovska e sulla malvasia, i vitigni a bacca bianca che la fanno da padrone sia commercialmente sia dal punto di vista degli ettari vitati. Questa volta parliamo invece di un grande rosso del Carso, il Ruje 2013, messo a punto da Benjamin Zidarich.

Si tratta di un blend di merlot (80%) e terrano (20%), due vitigni per molti versi antitetici: internazionale e aristocratico il merlot, autoctono e fieramente rustico il terrano. Due vitigni che però – come dimostra il vino che abbiamo nel calice – se acclimatati in vigne vecchie e con il giusto affinamento trascorso in legni di varia dimensione ed in vetro, possono integrarsi con una splendida sinergia. E così la materia fruttata e morbida portata in dote dal merlot si fonde e assimila perfettamente l’acidità irruente terrano. Il risultato è quello di un vino originale e coinvolgente.

Il colore è rosso rubino dai riflessi bluastri. Al naso inizialmente si riconosce la frutta matura (prugna) e una bella floralità. Poi si susseguono caffè, cioccolato fondente, un tocco di cannella, pepe nero, quindi un balsamico che ricorda gli aghi di pino. A bicchiere fermo il quadro si schiarisce ed esce un’intrigante nota di anguria.

Sorso voluttuoso, morbido e di volume ma senza alcuna mollezza, l’acidità del terrano fornisce slancio e allungo e sostiene lo sviluppo, il tannino è magistralmente estratto e la chiusura è lunga su ritorni di frutta rossa, spezie e grafite.

Una grande vino rosso del Carso che potrebbe accompagnare degnamente uno spezzatino di cinghiale al cacao.

Diego Mutarelli
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Kevin Bouillet, giovane promessa di Pupillin

Sempre alla ricerca di novità vinose, anche in quei territori che come il Jura corrono il rischio di gentrificazione (ne abbiamo parlato anche in passato), abbiamo avuto modo di degustare il vino di un giovane vignaiolo di Pupillin di cui si inizia a parlare con sempre maggiore insistenza.

Si tratta di Kevin Bouillet che, dopo essersi fatto le ossa presso il domaine de la Tournelle, nel 2018 a Pupillin, non lontano da Arbois, lancia il proprio domaine. Attualmente Bouillet cura in prima persona 4 ettari di vigna (poulsard, trousseau, chardonnay, savagnin, pinot noir e melon queue rouge). L’azienda è in conversione biologica e di impostazione naturale (fermentazioni spontanee, nessun utilizzo di diserbanti né di prodotti di sintesi).

Arbois-Pupillin “Pépin Rouge” 2020 – Kevin Bouillet

Si tratta di un assemblaggio di poulsard (75%) e trousseau (25%), le uve provengono dalla stessa parcella denominata “La Marcette”

Colore ribes chiarissimo con riflessi d’arancio.

Naso pulito, calligrafico e ricamato di frutti rossi a più non posso (ribes rosso, fragole di bosco, melograno), dopo qualche secondo di riposo a bicchiere fermo una splendida nota floreale tra la camomilla e i fiori dolci del gelsomino, quindi un che di terroso/minerale che ricorda la sabbia. Poi ancora scorza d’arancia e spezie in formazione.

Sorso lieve, i 12% di titolo alcolometrico descrivono di un vino leggero e delicato che però, e qui i freddi numeri vanno abbandonati, non è per nulla debole. Il vino si sviluppa grazie ad un’acidità agrumata e rinfrescante, la beva è clamorosamente facile, e i ritorni in chiusura tra agrumi e fruttini rossi sono delicati ma persistenti.

Dissetante e goloso.

Diego Mutarelli
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