Cambia il posto ma non l’eccitazione fanciullesca che ci pervade ogni volta che andiamo al mercato FIVI; diciamo subito che Bologna Fiere ha saputo gestire al meglio i quasi mille vignaioli FIVI, i tantissimi visitatori, i loro carrelli e la tanta voglia di incontrarsi ad un appuntamento oramai irrinunciabile.
E siccome siamo in Romagna eccovi subito due espressioni di sangiovese della zona; abbiamo iniziato con un rifermentato rosato di Stefano Berti: fresco, profumato senza scadere in note stucchevoli a dispetto del nome, Rossetto, un vino che ci porta subito su una lunga e sabbiosa spiaggia della vicina riviera.
Il secondo sangiovese era tanto che volevamo assaggiarlo, complici la lettura, sulla rivista AIS Viniplus, di una verticale a firma di Armando Castagno. L’articolo lo trovate a questo link. Siamo nel cuore della collina romagnola, a Bentinoro dove, da vigneti di sangiovese piantati ad alberello su un tipico sasso locale – lo spungone, matrice calcarea ricca di fossili marini, “starter naturale” di freschezza e sapidità – nasce Fermavento dell’azienda Giovanna Madonia; abbiamo provato l’ultima annata in commercio, la 2021: affinata in acciaio e barrique, ci ha colpito per l’equilibrio fra note fruttate e delicata speziatura al naso e per un allungo fresco ma deciso in bocca.
E ora passiamo ad un piccolo produttore della Franciacorta, Rizzini: due ettari di chardonnay, solo millesimati con lunghissimi affinamenti; i due spumanti in degustazione, rispettivamente un Brut Nature 2016 e un Extra Brut 2010, spiccano per carattere, eleganza e grande freschezza.
Rimandendo su Metodo Classico sempre a base chardonnay, andiamo in Trentino, da una nuova realtà di due giovani fratelli, Tommaso e Luca Moser e la loro azienda Resom, che eravamo andati a conoscere proprio nelle sue fasi embrionali; è stato quindi un grande piacere, a distanza di qualche anno, vederne i progressi e finalmente degustare il vino che avevamo visto sur lies nella loro cantina. Brek, millesimo 2019, mostra il lato più immediato dello chardonnay, con le sue note floreali e di frutta gialla; l’ottimo rapporto qualità prezzo ci spingono a consigliare ancora di più questo Trento DOC.
Nei nostri due giorni in fiera abbiamo spaziato dal prié blanc di Morgex, della Valle d’Aosta, al bianchello della Valle del Metauro, nelle Marche, fino all’aglianico del Vulture e restiamo con la certezza che il mercato FIVI, ovunque sia, è sempre una garanzia.
Oggi, a seguito di un’istruttiva visita in azienda, parliamo di una cantina – Vini Centanni – che da tre generazioni custodisce e rappresenta il Piceno ed è ora guidata magistralmente da Giacomo Centanni che, fatto tesoro dei consigli del padre e del nonno, porta avanti un concetto di fare vino nel rispetto del territorio e delle sue leggi. L’azienda agricola, certificata biologica, si trova a Montefiore dell’Aso, un delizioso borgo posto in collina incastonato tra le valli del fiume Aso e del torrente Menocchia.
I vigneti sono tutti di proprietà e sono localizzati in media a 150 metri sul livello del mare con una disposizione ovest e nord-ovest che garantisce un’esposizione particolarmente favorevole alla realizzazione dei vini DOC e IGP.
Tutto il processo è guidato dalla tradizione, un bagaglio culturale che esprime un sapere di famiglia e la voglia di riscoprire e trasmettere i propri valori nel rispetto delle tecniche tradizionali senza rinunciare all’ausilio delle nuove tecnologie. Un mix vincente di tradizione e innovazione, che ritroviamo dalle fasi iniziali del processo produttivo fino alla confezione finale con una linea di vini affinati in acciaio o legno e dotati di tappo in vetro.
I vitigni impiegati rientrano nel ventaglio dei vitigni autoctoni del territorio Piceno come il pecorino e la passerina tra quelli a bacca bianca e il montepulciano e il sangiovese tra quelli a bacca nera.
La degustazione inizia con la linea vendemmia tardiva, si tratta di vini derivanti da vigne di almeno 25 anni e i cui frutti arrivano a maturazione più tardi rispetto ai vigneti più giovani. Da questa prerogativa è nata l’idea di creare vini che Giacomo ama definire “naturalmente slow” e che è pensata per il mondo della ristorazione. Abbiamo assaggiato i quattro vini di questa gamma, ovvero “Cimula” Passerina Docg, “Canapale” Pecorino Docg, “Renarie” Rosso Piceno Superiore Doc (un blend di montepulciano e sangiovese) e, infine, “Floralia” un Marche Rosato Igp bio.
La degustazione del passerina Cimula 2022 ha suscitato delle grandi emozioni dal punto di vista olfattivo e gustativo in quanto la vendemmia tardiva arricchisce il vino di un tenore alcolico di tutto rispetto mentre il colore vira sul giallo paglierino dai riflessi dorati. Infine una nota di cedro candito e una buona morbidezza fanno del Cimula una passerina sui generis. A seguire un calice di Canapale 2022, un pecorino da vendemmia tardiva che non ha tradito le aspettative e si è presentato in tutte le sue peculiarità, quindi un bel colore giallo paglierino con riflessi dorati e una notevole acidità, una buona struttura e note di frutta esotica e nuance di salvia. A chiudere la linea vendemmia tardiva un calice di Renarie 2021, un Rosso Piceno Superiore Doc composto da un 80% di montepulciano e un 20% di sangiovese di grande morbidezza ed eleganza.
L’esperienza degustativa prosegue con Puro Centanni Rosso 2022 un vino senza solfiti aggiunti ottenuto da uve provenienti da diverse varietà a bacca rossa, un taglio studiato dopo moltissime prove svolte per anni da Giacomo Centanni. Il vino si muove con leggiadria nel calice e una nota di frutta cotta caratterizza la bevuta.
La proposta enologica vira verso le riserve, una linea affinata in legno composta dal Santa Maria Pecorino 2021, una bella espressione del vitigno affinata in barrique e dal PrimoDelia 2019 un Marche Rosso Igt affinato in barrique e frutto di 5 tipologie di vitigni autoctoni ed internazionali, un segreto tramandato dai nonni Primo e Delia. Per il Santa Maria il passaggio in barrique aggiunge ai sentori tipici del pecorino una elegante nota vanigliata. Il PrimoDelia si veste invece di un colore rosso rubino intenso e il sorso risulta pieno e corposo con un richiamo alle note fruttate, erbacee e tostate con una discreta persistenza.
Una chiusura di degustazione degna dello stile della cantina Centanni, uno scrigno raro che racchiude perle di rara bellezza: la famiglia, la tradizione, il territorio e il rispetto della natura.
Qualche tempo fa abbiamo già scritto del Domaine Jérémy Bricka, in quell’occasione l’incontro era stato indiretto, mediato cioè da un suo vino che ci aveva colpito. Questa volta, complice un viaggio in Francia, abbiamo deciso di conoscere di persona questo vigneron emergente.
Jérémy Bricka è un enologo che seguito otto vendemmie da Guigal, ha poi affiancato diversi produttori (tra i più noti Bret Brothers & La Soufrandière e Clape) prima di mettersi in proprio in Isère, una regione che, per usare un eufemismo, non è certo nota per la vigna ed il vino. Territorio però che prima dell’arrivo della fillossera registrava oltre 33.000 ettari di vigna! Altri tempi certo, eppure…complice il cambiamento climatico e le caratteristiche dei vitigni autoctoni della zona – varietà tardive e poco alcoliche – Jérémy ha deciso di provarci. Non si è fatto sfuggire l’opportunità di nuovi impianti, per un totale di 5 ettari, in un territorio ricco di scisti tra i 500 i 700 metri di altitudine. I vitigni prescelti sono stati mondeuse blanche, altesse e verdesse in bianco, mentre in rosso la scelta è ricaduta su étraire de l’Aduï, douce noire, e mondeuse noire.
In cantina si perseguono le fermentazioni spontanee e non si utilizza solforosa fino all’imbottigliamento. I vini bianchi fermentano e affinano in barrique di 10 anni, mentre per i rossi, si predilige l’acciaio e la fermentazione a grappolo intero senza rimontaggi.
Di seguito una rapida carrellata dei vini assaggiati in azienda che mi riprometto di approfondire grazie agli acquisti effettuati in loco.
Bivouac 2022: vino bianco ottenuto in parte da uve di terzi, ricordiamo che le vigne del domaine sono ancora giovani (2015) e dunque non del tutto a pieno regime. L’obiettivo di questo blend è quello di sfruttare la freschezza della jacquère, l’intensità della clairette e l’aromaticità del muscat per ottenere un vino di pronta beva, semplice e scorrevole ma che non rinunci a una certa articolazione ed armonia delle componenti. Obiettivo senz’altro raggiunto.
Passiamo poi ai due vini bianchi ottenuti da uve di proprietà, si tratta di due vini etichettati come IGP Isère “Pont de Brion”, la Mondeuse Blanche 2022 e la Verdesse 2022. Il primo vino ottenuto dal vitigno autoctono mondeuse blanche si muove su un registro di frutta bianca (pesca), scorza di agrumi e un tocco di nocciola, sorso fresco e gustoso, chiude molto sapido. Molto originale il vino ottenuto dall’antico vitigno locale verdesse: alla cieca farebbe pensare ad un savagnin del Jura, con nette note di mela accompagnate dalla frutta secca (noci, mandorle tostate), il titolo alcolometrico di 13,9% non segna per nulla il vino che anzi ha una grande dinamica, la bocca è sferzata da succosa acidità e persistente sapidità.
Per i vini rossi, anch’essi IGP Isère, abbiamo apprezzato la Douce Noire, dall’omonimo vitigno, che per certi versi ricorda un buon gamay, con i suoi rimandi di frutta rossa (fragola, lampone) e fiori (viola, peonia), vino molto piacevole. Più complesso e ambizioso il vino ottenuto da étraire de l’Aduï, rarissima varietà autoctona: frutta rossa (ciliegia, lamponi), un elegante tocco floreale e delle spezie in formazione che riportano al bastoncino di liquirizia e al pepe verde. 12,3% il titolo alcolometrico di questo vino stratificato al sorso e di grande dinamica. Abbiamo poi assaggiato la Mondeuse 2022, non ancora imbottigliata, che dimostra un grande carattere con un tannino ancora croccante ma non asciugante, si farà…
Continueremo a seguire questo produttore che ci pare essere una bella novità, e soprattutto una grande promessa, nel panorama dei vini naturali francesi.
Gli appassionati di Champagne – e noi di Vinocondiviso, come documentano i tanti post e le tante bottiglie bevute, siamo tra questi – hanno un appuntamento ormai fisso da sei anni a metà ottobre: a Modena per due giorni, il 15 e il 16 ottobre 2023, potremo assaggiare le espressioni più disparate di Champagne, un’occasione che non ha uguali in Italia.
Le grandi Maison, che hanno innegabilmente fatto la gloriosa storia della Champagne, e accanto a loro, le tante nuove realtà produttive piccole e familiari, quelle dei Récoltants-Manipulants, che negli ultimi anni si sono fatte conoscere anche dal pubblico italiano: troveremo entrambe queste due anime, durante la Champagne Experience per un totale di 176 aziende presenti e ben 900 vini.
Come districarsi in tutto questo eden rifermentato in bottiglia? Suggeriamo di scaricare da subito il catalogo (clicca qui!) e cominciare, come noi …, a togliere qualcuno dei tanti vini che vorremmo assaggiare e scegliere due zone da approfondire. Noi quest’anno abbiamo optato per Côte des Blancs e Vallée de la Marne, non tralasciando di assaggiare le nuove cuvée di alcune storiche Maison, iscrivendoci anche a due sponsor class.
Speriamo di riuscire a fare tutto, ma una cosa è certa, ci divertiremo!
È oramai una consuetudine, per la delegazione AIS di Milano, festeggiare il proprio compleanno con una masterclass a firma di Armando Castagno; quest’anno il tema scelto è stato Bolgheri: si è partiti dalla storia, per poi analizzare la zona di produzione, il disciplinare, le uve coltivate e non ultimo dodici vini in degustazione, in grado di sigillare nella mente il viaggio precedente.
Abbiamo volutamente ripreso il titolo della presentazione di Armando Castagno come titolo stesso del nostro breve articolo proprio perché quella luce accecante, su Bolgheri e sulle sue vigne, è ciò che ci è rimasto più impresso, durante e oltre la serata.
Ed eccoci addentro nella storia: nell’Ottocento la popolazione di Bolgheri viveva in un territorio poverissimo e paludoso e una diretta conseguenza della miseria era un tasso di analfabetismo fra i più alti in Italia; si era lontanissimi da tutto ciò che è ora Bolgheri: un territorio vitivinicolo di grande prestigio, costantemente premiato in Italia e all’estero, simbolo di un visionario spirito imprenditoriale che ha creato un vino iconico, il Sassicaia.
L’uomo di cui parliamo è il Marchese Mario Incisa della Rocchetta (1899-1983): originario del Piemonte, appassionato di vini francesi, ad inizio degli anni Quaranta, fece piantare, nella sua tenuta di San Guido, a Bolgheri, un ettaro e mezzo di cabernet sauvignon per produrre un vino destinato a lui, alla sua famiglia, ai suoi ospiti. Dopo vent’anni, con il fondamentale supporto dell’enologo Giacomo Tachis, inizia la commercializzazione del Sassicaia, un blend a maggioranza cabernet sauvignon con il contributo, per il 20% di cabernet franc, affinamento in barrique di rovere francese.
Sulla storia di questo vino, sui riconoscimenti che ha iniziato ad avere dall’annata 1972, sui disciplinari e sull’attuale contesto a Bolgheri, ovvero su tanti altri personaggi che a partire dagli anni Settanta hanno reso grande la zona, rimandiamo al sito del consorzio www.bolgheridoc.com, completo ed esaustivo, citando solo qualche dato e una curiosità:
dall’ettaro e mezzo piantato nel 1944 nella Tenuta San Guido, siamo arrivati a oltre 1.500 ettari, di cui circa il 30% a cabernet sauvignon, il 20% a merlot, il 15% cabernet franc;
i vini rossi coprono oltre l’80% del totale della produzione, i bianchi, a base principalmente di vermentino (a seguire sauvignon e viogner) il 14%, il restante, scarso 6%, è vino rosato;
la matrice geologica spazia dall’alberese (calcare), al macigno (arenarie), al galestro, flysch, marne;
il clima è mediterraneo ma asciutto, grazie ai venti e i giorni di luce sono sempre oltre la media italica, scarse le precipitazioni; da cui lo spunto per il titolo della serata;
le aziende consorziate (98% del totale) sono una settantina, otto delle quali possiedono oltre 50 ettari vitati; la conseguenza diretta di come storicamente si è sviluppata l’attività agricola è tale per cui dieci aziende possiedono oltre il 70% dei vigneti;
Mario Incisa della Rocchetta era un ambientalista ante litteram: nutriva un profondo, concreto, rispetto per la natura e fu il primo presidente italiano del WWF; il rifugio faunistico Padule di Bolgheri, nato nel 1959, oasi affiliata al WWF tuttora presente, ne è la testimonianza.
Prima di addentrarci nella presentazione dei dodici vini in degustazione, un bianco, un rosato e dieci rossi, un breve, ulteriore, accenno all’eterogeneità non solo dei vini, ma delle stesse cantine, i cui proprietari hanno origini molto diverse: troviamo imprenditori di altre zone d’Italia, storiche dinastie nobiliari, contadini marchigiani emigrati negli anni Cinquanta – Sessanta a seguito di riforme agrarie e non ultimo abitanti del luogo, una tipicità che differenzia Bolgheri da tutte le altre zone vitivinicole italiane.
I vini degustati
Bianco di Orma Vermentino 2022 – Podere Orma: un vino con una piacevole intensità sapida e dal carattere marino, ricorda subito l’estate appena finita.
Bolgheri Rosato Caccia al Palazzo 2022 – Tenuta di Vaira: un rosato nella sua espressione giovanile ottenuto dal cabernet sauvignon al 70%, 15% di merlot, che dona avvolgenza e 15% syrah, che conferisce una delicata nota speziata.
Bolgheri Rosso Ai confini del Bosco 2021 – Mulini di Segalari: un campione dalla botte di un’azienda biodinamica, letteralmente sperduta nel bosco e da qui il nome del vino. Fermentazione spontanea per cabernet sauvignon e cabernet franc al 90%, petit verdot al 7%, syrah al 3%, un parziale uso dei raspi e 12 mesi di affinamento in grandi botti di rovere. Note fresche e balsamiche, una volta in bottiglia troveranno armonia i sentori più erbacei e speziati in chiusura di bocca.
Bolgheri Rosso Orio 2021 – Podere Il Castellaccio: in percentuale maggioritaria il cabernet franc (60%, a seguire merlot 30% e petit verdot 10%), 12 mesi in tonneaux da 5hl, profuma di macchia mediterranea, lentisco e salmastro, e citando Castagno “possiede la timbrica aromatica della riva destra bordolese”. Ah, Orio è il cane della tenuta. 😊
Bolgheri Rosso 2021 – Michele Satta: un assemblaggio di cabernet sauvignon 30%, sangiovese 30%, merlot 20%, syrah 10%, teroldego 10%, sicuramente atipico per la zona, da vigneti giovani; si tratta di una versione fresca e schietta di Bolgheri Rosso nella sua versione senza legno.
Bolgheri Rosso Pievi 2021 – Fabio Motta: da una singola vigna da cui prende il nome è ottenuto dalla vinificazione separata di merlot al 50% e a saldo in ugual misura cabernet franc e cabernet sauvignon in tini troncoconici; colore violaceo, sentori in prevalenza di erbe aromatiche e sottobosco, sorso fresco per un vino originale e di personalità.
Bolgheri Rosso 2020 – Podere Grattamacco: fra le aziende storiche di Bolgheri (nata nel 1977) produce questo Bolgheri Rosso con una fermentazione spontanea in tini aperti di cabernet sauvignon (65%), merlot (20%) e sangiovese (15%) e affinamento in botti di rovere. Il vino ci stupisce per la sua grande ampiezza boschiva e il marcato timbro rifrescante.
Bolgheri Superiore Guado de’ Gemoli 2020 – Chiappini: venti mesi di affinamento in barrique di bassa tostatura per un blend di cabernet sauvignon al 70% con a saldo merlot (15%) e cabernet franc (15%), necessita di qualche anno in bottiglia per attenuare i sentori dovuti all’affinamento per ora prevaricanti.
Bolgheri Superiore 2020 – Dario Di Vaira: fermentazione separata per cabernet sauvignon al 60%, cabernet franc 30% e merlot 10%, affinamento di 16 mesi in barrique metà nuove e metà usate, sorprende al naso per le sue note tutte virate sullo scuro e per i sentori di tostatura già bilanciati con quelli fruttati ed erbacei. In bocca si mantiene austero e potente.
Bolgheri Superiore Tâm 2018 – Batzella: il lungo affinamento in bottiglia conferisce a questo vino, ottenuto da cabernet sauvignon per il 65% e il restante cabernet franc, grande ampiezza e profondità nel sorso, regalando un finale di intensa balsamicità.
Paleo 2019 – Le Macchiole: definito senza esitazione “lo Cheval Blanc italiano”, è un cabernet franc in purezza simbolo della tenacia della famiglia Campolmi e Merli nel perseguire i propri obiettivi. Figlio di un’annata equilibrata, senza eccessivi picchi di calore che ha permesso lente maturazioni, il vino incanta per armonia ed avvolgenza.
Bolgheri Sassicaia 2020 – Tenuta San Guido: si chiude con l’interpretazione cristallina di Bolgheri, un vino che ogni anno esce con un numero elevatissimo di bottiglie (circa 280.000) vendute solo su assegnazione in ogni parte del mondo. Il mito continua, stabile nel suo Olimpo vitato.
Dal 29 settembre al 1 ottobre 2023 a Milano è andato in scena Naturale Festival, evento multidisciplinare dedicato al concetto di “naturale”. Non solo vino e gastronomia dunque, l’ambizione degli organizzatori era quella di aprire un dibattito culturale più ampio sul tema del naturale.
Vinocondiviso ha seguito l’evento concentrandosi più prosaicamente sul ricco banco di assaggio composto da quasi 50 produttori. Come di consueto ti raccontiamo le cose che ci hanno colpito di più (l’ordine è di assaggio, non una classifica!).
Sin Título Blanco LB 2018 – Victoria Torres Pecis, un vino bianco di La Palma (Canarie), vitigno listán blanco, affinato più di venti mesi in cemento, il risultato è di grande intensità minerale e marina, molto intrigante anche al sorso che è profondo, succoso e “dissetante”. Nota di merito al distributore Gitana Wines che lo ha portato in degustazione insieme ad altri due produttori spagnoli di assoluto interesse come Micro Bio Wines – abbiamo assaggiato l’accattivante 100% verdejo, Correcaminos 2022 – e Daniel Ramos, di cui abbiamo degustato il Berrakin Blanco 2022, 100% della varietà jaén.
Spostiamoci ora in Toscana, anzi in Maremma, dove ci ha colpito, ed è una conferma, I Mandorli, in particolare con il Sangiovese 2020 mediterraneo e croccante, con un tannino ancora saporito e da attendere un po’. Sempre in Maremma interessante tutta la gamma di un produttore che non conoscevamo, si tratta de I Forestieri azienda naturale di recente costituzione che propone vini puliti ed espressivi, di personalità e freschezza.
Spostiamoci ora nei Pirenei Orientali francesi, nei pressi di Calce, dove il collettivo tutto al femminile Gipsy Queen ci ha letteralmente rapito con una grenache vinificata in anfora, millesimo 2022, di succo ed eleganza. Una delle produttrici del collettivo era presente con la sua azienda, sita sempre a Calce, L’Âme Bleue.
Torniamo ora in Italia con i vini di Signora Luna, azienda abruzzese che ha una gamma piuttosto variegata che ci ha colpito in particolare con Jep, un vino rosato da Montepulciano d’Abruzzo che fa il verso, pur essendo etichettato come semplice vino da tavola, ai migliori Cerasuolo d’Abruzzo.
Molto interessanti i vini di un’altra azienda piuttosto recente, si tratta di Terre di Confine, produttore naturale sito in provincia di Massa Carrara con alle spalle le Alpi Apuani e di fronte il mar Tirreno. Molto buono Lintero 2021, vino rosso ottenuto da varietà a bacca nera presenti nelle vecchie vigne curate dalla produttrice Giulia Marangon (vermentino nero in prevalenza con sangiovese, syrah e barbarossa).
Filarole, azienda della Val Tidone, sui colli piacentini, ha presentato una gamma di ottimo livello, dovendo scegliere un solo vino la nostra preferenza ricade sul Filarole Rosso 2021, un blend di barbera e croatina di grande acidità e polpa.
Chiudiamo la carrellata dei vini di maggior interesse con un vino dell’azienda più prestigiosa presente all’evento, si tratta di Foradori che ci ha impressionato in particolare con il Foradori 2015, da uve teroldego, un vino complesso ed articolato che al naso sa ancora di fruttini rossi freschi e aciduli (ribes), tè verde, sentori minerali, dal sorso fresco e ficcante di grande eleganza e piacevolezza.
Giudicare l’eterogenea galassia dei vini naturali da un solo evento sarebbe ridicolo, ma gli assaggi degli ultimi mesi uniti ai più recenti eventi dedicati a questa tipologia di vini ci fanno essere ottimisti. Il movimento sembra maturo, i vini con difetti spacciati per “spontaneità e garanzia di artigianalità” sono sempre meno (non del tutto assenti neppure in questa occasione a dir il vero, ma statisticamente poco significativi) e la strada imboccata sembra quella virtuosa di una ricerca di espressività e schiettezza senza rinunciare a affidabilità e precisione.
Oggi ci troviamo in uno dei borghi più antichi e suggestivi della provincia ascolana, Ripatransone, che sorge su un alto colle a pochi passi dal mare adriatico, conosciuto anche come il “belvedere del Piceno” per la sua posizione strategica.
A 508 mt sul livello del mare, sul Colle San Nicolò, troviamo la Cantina dei Colli Ripani, un’importante e vitale cooperativa caratterizzata dallo stretto legame tra i soci, la cantina e il territorio. Parliamo di una cooperativa di oltre 300 produttori per 700 ettari coltivati (oltre al vino l’azienda produce olio extravergine di oliva, caffè d’orzo e miele). Una cooperativa virtuosa dunque, la cui strategia si poggia, per quanto riguarda in particolare la parte vinicola, sul rispetto dell’identità del territorio, la produzione infatti si incentra sui vitigni autoctoni come sangiovese, montepulciano, pecorino e passerina.
Con il supporto di Alice Pulcini dell’ufficio commerciale inizia la visita della struttura e, dopo un breve passaggio nel reparto imbottigliamento e stoccaggio, ci rechiamo là dove si ergono, in bella vista, le storiche vasche in cemento. Scendiamo di un livello e lo sguardo va subito verso le grandi botti in legno che si rivelano delle vere opere d’arte con dei disegni intagliati che riprendono i simboli del borgo di Ripatransone.
Ci spostiamo nel punto vendita, attiguo alla cantina, per la degustazione che è stata incentrata sulle tre versioni del vitigno pecorino. Il percorso inizia con “Grotte di Santità”, lo Spumante Bio Ancestrale Marche IGT Bianco da uve 100% pecorino annata 2020. Nel calice abbiamo un vino spumante, senza solfiti aggiunti, realizzato con il metodo ancestrale che alla vista presenta una leggerissima velatura dovuta ai lieviti ancora presenti all’interno della bottiglia. Il perlage risulta finissimo e persistente con le catenelle di bollicine che risalgono il calice muovendosi leggiadre ed eleganti. All’olfatto si avvertono nitide le note agrumate mentre al palato il sorso è definito dalla freschezza e acidità tipica del vitigno. Il perlage accarezza il palato e invita al sorso successivo. Il finale è impreziosito da una buona mineralità con una persistenza abbastanza lunga.
Proseguiamo con la versione ferma e degustiamo il “Mercantino” Offida docg pecorino 2022 della Linea 508 punta di diamante della proposta della cantina. Veste giallo paglierino di estrema limpidezza, al naso si avvertono immediatamente intensi profumi di frutti tropicali come il mango ma in particolare il melone e in successione dei sentori agrumati. Al gusto si presenta sontuoso con freschezza e acidità che sferzano il palato. Un aspetto da sottolineare è senz’altro la sapidità che dona al vino una certa eleganza e allunga il finale.
L’ultima versione del pecorino è un’eccellente esempio di come l’utilizzo del legno, in fase di fermentazione e affinamento, rappresenti il mezzo e non il fine di un progetto di fare vino. Nel calice abbiamo l’Offida pecorino docg “Condivio” 2017 che si presenta alla vista di un colore giallo paglierino carico dotato di grande luminosità. All’olfatto si fa apprezzare per decisi sentori di frutta matura mentre il sorso è pieno e intenso con delle accennate note di spezie dolci come la vaniglia. Anche per il Condivio ritorna la sapidità, riscontrata nella versione che ha fatto solo acciaio, e la lunga persistenza.
Il sipario si chiude con la degustazione del Kinà, un vino aromatizzato ottenuto dalle migliori uve di sangiovese che incontrano le erbe aromatiche regalando al degustatore un finale amarognolo di grande eleganza gustativa.
La Cantina dei Colli Ripani è una bellissima realtà del territorio Piceno che coniuga perfettamente il binomio vitigni e territorio.
Recentemente ho avuto il piacere di visitare l’Azienda Agricola Saladini Pilastri a Spinetoli, un piccolo paese della provincia di Ascoli Piceno, invitato gentilmente e guidato in maniera egregia dall’enologo Fabio Felicioni. L’esperto winemaker ha esordito narrandomi la storia e le origini dei Conti Saladini Pilastri, una nobile famiglia ascolana che vanta più di mille anni di storia.
La fervente attività vitivinicola ha sempre contraddistinto la nobile famiglia con la nascita circa tre secoli fa dell’azienda agricola dei Conti Saladini Pilastri. Il vino che si produceva veniva ceduto dai mezzadri ai Conti perché lo invecchiassero nelle botti di rovere di proprietà. L’attuale cantina fu costruita accanto alla vecchia in modo da accentrare tutta la produzione.
Dagli anni settanta, mi spiegava l’enologo, furono impiantati i nuovi vigneti che ho avuto la fortuna di visitare in loco testando anche la tipologia di terreno.
Poi successivamente vennero effettuati investimenti per migliorare le diverse fasi della lavorazione e produzione portando avanti l’idea di una coltivazione biologica di tutte le vigne attraverso l’utilizzo di prodotti naturali come zolfo e rame o con insetti utili. La scelta in vigna è stata quella delle basse rese per ottenere una qualità elevata del prodotto finale.
Di ritorno dalle vigne ci siamo addentrati all’interno della cantina dove antiche botti in cemento ancora in uso fanno compagnia a una bottaia con in bella mostra le barrique e le botti più grandi.
All’interno di una struttura adiacente alla cantina ho potuto degustare in compagnia del Sig.Felicioni alcuni dei vini aziendali, ovvero, l’Offida Passerina docg “Roccolo” 2022, l’Offida Pecorino docg “Comes” 2022 e il Rosso Piceno Superiore doc “Piediprato” 2020.
Passerina Offida docg “Roccolo” 2022. Esprime un colore giallo paglierino di grande luminosità e un elegante bouquet floreale e fruttato che richiama il territorio. Il finale leggermente sapido dona un’eleganza e una struttura al di fuori della norma.
Pecorino Offida docg “Comes” 2022. Un vino territoriale dai sentori tipici di erbe aromatiche come rosmarino e salvia impreziosito da un tocco di anice. Il frutto tropicale risulta evidente con un finale lungo e contraddistinto da una buona sapidità e mineralità. Ne risulta un vino molto equilibrato con tenore alcolico ben bilanciato dalla spalla acida e dalla sapidità.
Rosso Piceno Superiore doc “Piediprato” 2020. Un rosso dal colore brillante sintomo di un ottimo stato di salute del vino. Sentori di frutti a bacca rossa con un accenno speziato ed eleganti sentori terziari con in evidenza una ricercata nota di grafite (matita temperata). Un tannino giovane ma non troppo ruvido rende il vino molto accattivante e solo il tempo lo renderà meno esuberante e astringente lasciando spazio ad un versione ancora più raffinata, con un gusto più morbido e levigato.
La storia e un tocco di modernità fanno dell’azienda Agricola Saladini Pilastri un pilastro del territorio Piceno.
Per quanto ci si possa sforzare di organizzare in modo sistematico la visita al Vinitaly, l’evento è così mastodontico che rischia di travolgere anche il più compassato dei degustatori. Tirare quindi le somme di una fiera di questo tipo è presuntuoso e persino inutile, gli assaggi sono molti e proprio per questo non sufficientemente “ragionati” per essere affidabili.
Non potevamo però esimerci, come da nostro costume, dal condividere almeno le nostre impressioni a caldo con lo scherzoso espediente delle nomination, ovvero dei vini o delle aziende che – per ogni tipologia – ci hanno colpito di più.
La gamma di alto livello più completa: questa nomination la vince l’azienda Valle Reale, che presenta al Vinitaly una gamma di vini tutta di altissimo livello. Assaggiamo i loro vini alla borgognona, ovvero a partire dai rossi per arrivare solo da ultimo ai bianchi. Convincenti i tre Montepulciano d’Abruzzo (il 2021, il Vigneto Sant’Eusanio 2020 e il Vigna del Convento 2018) caratterizzati da materia e freschezza in grande equilibrio; magnifici i rosé, dall’immediato e beverino Cerasuolo d’Abruzzo 2022 all’anteprima del Cerasuolo d’Abruzzo Vigneto Sant’Eusanio 2022 che si propone fin da ora al vertice italiano della tipologia; i Trebbiano d’Abruzzo non sono da meno a partire dall’ottimo base 2022 per salire in qualità e finezza con il Vigneto di Popoli 2020 e soprattutto con il sontuoso Vigna del Convento di Capestrano 2019.
Campania Felix: tre vini campani ci hanno colpito particolarmente, le aziende sono ben note ma quest’anno hanno presentato tre campioni di altissimo livello. Parliamo del Fiano di Avellino Riserva Vigna della Congregazione 2021 – Villa Diamante dall’impostazione nordica, fresca, serrata e di grandissima prospettiva; del Taurasi Riserva Quindicianni 2005 – Perillo dalla materia sontuosa e dall’incedere aristocratico; infine, in cima ad un ipotetico podio campano, lo straordinario Fiano d’Avellino Riserva Tognano 2020 – Rocca del Principe che vogliamo assaggiare con più calma per raccontarlo nel dettaglio in un prossimo post.
Eroe dei due mondi: Vigna Lenuzza, azienda friulana di Prepotto (UD), fa due vendemmie l’anno e per questo vince la nomination “Eroe dei due mondi”. Ebbene sì, vendemmia e vinifica nei Colli Orientali del Friuli ribolla, friulano e schioppettino e, in febbraio/marzo, vendemmia e vinifica degli appezzamenti nell’emisfero australe, in Sudafrica, precisamente in Hemel-en-Aarde Valley. Abbiamo assaggiato l’interessantissimo Pinot Noir 2020 – Lenuzza Vineyard, un pinot nero aggraziato e calligrafico nella sua precisa compostezza.
Saranno famosi: questa nomination è dedicata al vino di un produttore non certo sconosciuto, tant’è vero che ne avevamo già parlato anni fa in altro post, ma che senz’altro meriterebbe maggiore ribalta. Stiamo parlando di Alberto Giacobbe e del suo sorprendente Cesanese del Piglio Superiore Riserva Lepanto 2019 dall’entusiasmante verve agrumata e speziata.
Nord Piemonte: il Gattinara Riserva Osso San Grato 2018 di Antoniolo si conferma al vertice della zona, in questo millesimo il vino è feroce e tannico al sorso e articolato al naso, tra fruttini rossi, ruggine, sangue. Da attendere con fiducia, sembra una grande riuscita.
Sangiovese “di montagna”: strepitoso il Brunello che viene dalla più alta vigna di Montalcino (621 m slm), parliamo del Brunello Passo del Lume Spento 2018 che svetta nella gamma, tutta di altissimo livello, dell’azienda Le Ragnaie.
Chiavennasca: tra gli assaggi valtellinesi a base di nebbiolo (pardon, chiavennasca) si staglia il riuscitissimo Sassella Riserva Rocce Rosse 2016 di ArPePe, complesso e signorile, eppure piacevolissimo alla beva fin da ora.
Questi sono solo i vini che ci hanno colpito di più, ma per ragioni di spazio non abbiamo potuto dar conto di altre ottime bottiglie. Quali i tuoi migliori assaggi? Scrivicelo nei commenti!
Sono ancora divertenti e didattiche le fiere del vino? I banchi di assaggio? I saloni enogastronomici?
La risposta è molto soggettiva naturalmente, e dipende anche dalla curva di esperienza che ciascun appassionato di vino sta attraversando. Quando si è alle prime armi ci si getta sugli eventi vinosi con entusiasmo bulimico, ci si esalta per la possibilità di assaggiare molte cose e conoscere i produttori e si corre volentieri il rischio di assaggiare tanto e capirci poco. Quando ci si fa più smaliziati ed esperti si tende a snobbare questi eventi per masterclass o degustazioni mirate. Da qui in poi le strade divergono: qualcuno inizia a bere solo per edonismo e si concentra su poche etichette dal “valore sicuro”, altri non rinunciano al piacere della scoperta, dell’incontro con nuovi produttori e tipologie di vino, sprezzanti del pericolo di imbattersi in vini poco interessanti, noiosi o imprecisi.
Dopo la mia visita al Live Wine 2023 di Milano, da quest’anno riservato ai soli operatori, la mia risposta alla domanda iniziale è dunque affermativa. Sì, alle fiere del vino si impara e ci si diverte ancora. A patto di lasciarsi coinvolgere, di essere capaci di accogliere la serendipità, la scoperta fortuita, che è pronta a sorprenderci tra i banchetti dei diversi produttori.
Di seguito ti racconto dei vini che mi hanno colpito di più, alcuni di questi di produttori che non avevo ancora mai provato.
L’azienda Agricola Caprera si trova in Abruzzo, tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e quello della Maiella a 400 metri s.l.m, in questo territorio oltre alla vigna alleva e custodisce grano, ulivi, bosco. Tra i vini assaggiati di questa azienda due sono quelli che mi hanno particolarmente colpito. L’ottimo Cerasuolo d’Abruzzo “Sotto il Ceraso” 2020, ottenuto da una vigna di 90 anni, vendemmiato la prima metà di ottobre e affinato in acciaio e tonneaux, è fine ed elegante, un cerasuolo di montagna che però pinotteggia nel suo incedere fresco e nel frutto rosso vivace, il sorso è succoso, vibrante, lungo e gustoso su ritorni di ciliegia e sale. Sorprende per finezza e leggiadria anche il Montepulciano d’Abruzzo “Le Vasche” 2020, tipologia che spesso eccede in tratti muscolari e alcolici, e qui invece è fresco ed equilibrato, ma sapido e di grande persistenza.
Non conoscevo l’Azienda Agricola Antonio Ligabue che in Valcamonica produce vini naturali senza aggiunta alcuna di solforosa. Tra i vini assaggiati mi ha stupito il Vino Rosso “Minègo” 2007, una barbera ultracentenaria che ha maturato 31 mesi in botti di 500 litri, integrità sbalorditiva, per un vino dal frutto vivo, dal sorso profondo e dall’incedere aristocratico. Di interesse anche il Vino Bianco “BLE” 2021, da petite arvine, che si propone con accattivanti sentori di pesca gialla e delicato vegetale, per uno sviluppo fresco e dinamico.
Istinto Angileri è un’azienda agricola di Marsala che non avevo mai provato e che ha presentato una gamma di alto livello, nessun vino men che esemplare. Dal Terre Siciliane IGP “Principino” 2021, un grillo di grande carattere da una vigna affacciata sul mare che integra perfettamente il suo generoso tenore alcolico (14%) in una materia ricca e stratificata, all’affusolato zibibbo secco Terre Siciliane IGP “ZETA” 2021, per arrivare al salatissimo Rosato IGP Terre Siciliane “Ro.Sa.” 2021 ottenuto dall’originale vitigno autoctono parpato.
Altra azienda siciliana di interesse, seguita dal medesimo enologo di Istinto Angileri, è Nuzzella. L’Etna Rosso “Selmo” 2020 è ottenuto da nerello mascalese dal versante Nord-Est dell’Etna, di grande piacevolezza pur se dal profilo austero che si dipana tra frutta rossa, erbe di montagna e rimandi minerali, sorso con più fibra che polpa, ottimo sviluppo e chiusura minerale.
Per chiudere torniamo al nord, in Valle d’Aosta, con la Maison Maurice Cretaz, produttore biodinamico che presenta una “rocciosa”, floreale e sapida petite arvine, si tratta del “Lie Banques” 2021, in rosso stupisce il “BOS Monot” 2019, un nebbiolo di montagna che sa di melograno, ribes ed erbe aromatiche, dall’impatto gustativo piacevolmente “elettrico”, dal tannino croccante e saporito.
Ebbene sì, alle fiere del vino si possono ancora fare belle scoperte, purché si sposi la filosofia di quel tale che disse “preferisco avere una mente aperta alle novità che una mente chiusa dai dogmi.”