Quanto può evolvere il Fiano di Avellino?

Il fiano è senza ombra di dubbio uno dei vitigni a bacca bianca di maggior potenziale del nostro Bel Paese. Se poi proviene dalla sua culla di elezione, l’Irpinia, e da un manico che lo sa valorizzare, il gioco è quasi fatto. Scriviamo quasi perché in realtà le cose sono meno lineari di così, il vino sa sorprenderci e ripudia banalizzazioni e ricette valide per tutte le stagioni.

In effetti c’è una caratteristica in più che dobbiamo considerare per poterci regalare un grande Fiano di Avellino. Questa caratteristica è la sua capacità di evolvere nel tempo e stratificarsi arricchendosi di aromi e sensazioni, che nei vini molto giovani non si riscontrano.

Fiano 2016 - Pietracupa

Scriviamo queste riflessioni dopo aver assaggiato lo splendido Fiano di Avellino 2016 di Pietracupa. Abbiamo atteso questo vino in cantina per più di un lustro, perché un precedente assaggio ci aveva fatto intuirne il potenziale di evoluzione. Nel luglio 2019 infatti, scrivevamo su Vinocondiviso (vedi il post!):

Fiano di Avellino 2016 – Pietracupa

Naso da attendere senza fretta, appena versato è compresso su note di frutta bianca, nocciola, leggera affumicatura. Il vino risulta giovanissimo anche in bocca, che però risulta molto promettente, sapida e con un leggero tannino. Chiude succoso.

Dunque un vino che ci era piaciuto, di cui avevamo intravisto il potenziale, ma che al momento della bevuta risultava ancora piuttosto algido e reticente. Ebbene, dopo oltre 5 anni abbiamo ribevuto lo stesso vino ed è stata una vera e propria Epifania, il vino si muove su un registro di maggior espressività con un’eleganza ed una portamento da fuoriclasse, un vino insomma che porteremmo senza indugio sulle tavole di mezza Europa senza soggezione alcuna con i grandi bianchi francesi o tedeschi. Peraltro parliamo di un vino che si trova comodamente intorno ai 20 €.

Il vino oggi si presenta con una bellissima veste dorata. L’olfatto è allo stesso tempo maestoso e raffinato: fiori di campo e nespola, erbe mediterranee che ricordano il timo e il rosmarino, scorza di limone, poi, a bicchiere fermo, nocciola, affumicatura e roccia…. Sorso ancora giovanissimo – il vino potrà evolvere positivamente ancora per qualche anno – è vibrante in quanto sferzato da un’acidità tagliente e che rimanda ad altre latitudini, il tenore alcolico contenuto (12,5%) assiste la beva, ma al vino non manca la concentrazione di sapore, in chiusura anzi la sapidità è considerevole. Chiude su ritorni di sale e agrumi, terso e lunghissimo.

Una grande vino bianco italiano che abbiamo abbinato a pranzo con uno spaghetto allo scoglio home made e a cena con un semplice pollo arrosto con patate.

Diego Mutarelli
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Un Fiano di Avellino…principesco!

Il fiano è, senza ombra di dubbio, uno dei grandi vitigni a bacca bianca del nostro Paese. E Lapio, in provincia di Avellino, uno dei territori in cui esprime al meglio le proprie potenzialità. Qui si trova Rocca del Principe, un’azienda agricola che da decenni si dedica al fiano, dapprima come conferitore a realtà più grandi (in primis Mastroberardino) ed poi, dal 2004, come produttore autonomo ed indipendente. L’azienda, guidata da Ettore Zarrella e Aurelia Fabrizio, dispone di 6 ettari di fiano e 1,5 ettari di aglianico.

Abbiamo assaggiato il Fiano di Avellino Tognano 2018. La vigna da cui è ottenuto il vino si trova in Contrada Tognano, intorno ai 550 metri di altitudine e con esposizione est, ed è considerata un vero e proprio grand cru della denominazione Fiano di Avellino. Le uve sono vendemmiate a fine settembre/inizio ottobre, fermentano e affinano a lungo in acciaio, sulle fecce fini, prima di riposare in vetro per minimo 12 mesi. La scelta aziendale è quella di mettere in commercio il vino con un anno di ritardo rispetto a quanto consentirebbe il disciplinare. Scelta che valorizza le notevoli capacità di evoluzione e longevità del vitigno.

Nel bicchiere abbiamo un vino giallo paglierino screziato da luminosi riflessi verde-oro. L’olfatto è complesso e articolato, di grande eleganza: è la magia dovuta alla permanenza sulle fecce del vino e alla lunga evoluzione in bottiglia (in questo caso beviamo il vino a quasi 6 anni dalla vendemmia). Agrumi, nespola, fieno, ma anche mandorla fresca, iodio, note vegetali di mentuccia e macchia mediterranea delineano un quadro aromatico che potrebbe far pensare a Chablis o alla Mosella… e invece siamo da tutt’altra parte ma in un territorio che non è certo da meno!

Sorso di grande freschezza e dinamica, il profilo “nordico” avvertito al naso lo ritroviamo anche in bocca, con un frutto limitato alla parte agrumata ed una tessitura innervata di acidità rinfrescante e saporita mineralità. La chiusura è di grande pulizia e persistenza.

Un grande vino che in questa fase appare ancora “giovane”, tra qualche anno potrebbe spiccare il volo e regalarci un vino di caratura mondiale, davvero principesco. L’ultima bottiglia di questa annata che riposa in cantina ci dirà se la profezia si avvererà!

Diego Mutarelli
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