Coprire un vino scopre i suoi dettagli più intimi: Roumier e una degustazione senza veli

Se durante una degustazione alla cieca le prime domande che ci poniamo riguardano vitigno, zona e annata, nelle fasi successive proveremo a chiederci quale sia il livello qualitativo del vino, cosa che a volte risulta molto più difficile di quello che potremmo aspettarci.

Quando invece ci troviamo davanti a bottiglie scoperte, il nostro cervello innesca certi meccanismi, anche involontari, che ci preparano mentalmente a ciò che andremo a degustare. Si tratta di processi cognitivi che possono in qualche modo imbrogliare, offuscando la nostra obiettività e facendoci coinvolgere non solo dal vino, ma anche dall’etichetta. E più la bottiglia è costosa, rara, o recensita con punteggi alti, più ci si aspetta di bere qualcosa di trascendentale, illuminante, commovente. A tutti noi sarà capitato almeno una volta di godere di queste sensazioni, ma non solo per merito del vino, quanto alle aspettative preliminari, che inconsciamente hanno scatenato un desiderio di appagamento che siamo decisi a soddisfare.

In teoria potrebbe apparire facile, o addirittura banale, essere in grado di verificare che la qualità di un vino corrisponda alla descrizione in etichetta. Ebbene, quando poi ci troviamo da soli di fronte alla realtà dei fatti, capiamo che questo discernimento non è così semplice, e che a volte i vini “base” si dimostrano addirittura più apprezzabili rispetto a esemplari più blasonati. Per questo è importante esercitare le abilità di valutazione bendando i pregiudizi e le aspettative, non solo per divertirci nel metterci alla prova, ma soprattutto per imparare ad ascoltare i dettagli che determinano la vera qualità di un vino, senza maschere.

Allenare la capacità di giudizio è un cammino complicato, ci metterà di fronte alle nostre lacune e i nostri limiti, a volte ci sorprenderà e altre ci deluderà, ma senza dubbio realizzeremo che il vino non mente mai, e ci fornirà gli strumenti necessari per capire il valore di una bottiglia. Che valore non è solo un parametro economico, ma qualcosa da custodire nel cuore e nella memoria.

Una sera mi sono trovata a confrontare due bottiglie bendate: due vini meravigliosi, qualitativamente direi allo stesso livello, per motivi diversi. Una volta tolta la stagnola ho scoperto che si trattava di un Grand Cru e di un Village, provenienti da due zone diverse della Côte de Nuits.

Il Village che tanto mi ha sorpreso non capita tra le mani tutti i giorni: il produttore è Christophe Roumier, che oggi gestisce il leggendario Domaine fondato da suo nonno, Georges Roumier. Questa realtà possiede neanche dodici ettari in alcune delle parcelle più prestigiose della Côte de Nuits, ed è soprattutto emblema delle qualità uniche di Chambolle Musigny.

Chambolle Musigny: un nome che solo a pronunciarlo evoca una sorta di terra promessa, sogno di ogni vigneron, il cui frutto è un vino spesso definito in maniera semplicistica come femminile e seducente. In realtà Chambolle Musigny è questo, ma molto di più: situato tra Morey Saint Denis e il Clos Vougeot, questo comune è minuscolo, abitato da appena trecento abitanti, eppure le sue terre di origini antichissime sono la culla di vini straordinari, dalla bellezza mistica e inarrivabile, la cui unicità sta nella loro energica luminosità, nel dettaglio, nelle infinite sfumature che si presentano a livello aromatico.

Tra le parcelle che compongono lo Chambolle Musigny di G. Roumier troviamo Le Clos, lieu dit situato praticamente nella Combe Ambin e per questo le uve ricavate sono profumate, fresche, e in grado di donare energia al vino.

L’annata è la 2012: il colore è brillante e abbastanza concentrato, al naso sprigiona una complessità interessante e ancora in evoluzione, in cui emergono profumi freschi di lampone, fragolina di bosco, un floreale che volge sul glicine, poi sottobosco, pietra bagnata e un lieve profumo di  incenso. Andare a ricercare tutti i suoi profumi è stato un vero viaggio dentro me stessa, tuttavia la parte più sorprendente della degustazione è stata, giustamente, l’assaggio: nel calice ho trovato il perfetto equilibrio tra la finezza di Chambolle, data da tannini che si presentano in punta di piedi, e una tridimensionalità sbalorditiva, con un centro bocca denso, teso, persistente. 

Se questo è il suo Village, allora come sarà il suo Bonnes Mares, o addirittura Les Amoureuses o il rarissimo Musigny? 

P.S. Ora magari vi chiederete quale fosse il Grand Cru con cui l’ho confrontato. La risposta è semplice: andare a sbirciare il mio pezzo precedente, sui benefici e rischi di intraprendere un viaggio tra i vini di Borgogna, e lo scoprirete!

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi

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