Oggi parliamo di un altro vino di Henri Chauvet, produttore dell’Auvergne di cui abbia già parlato qualche tempo fa. Per qualche informazione sul produttore invitiamo a leggere quel post, qui proseguiamo invece parlando del vino che abbiamo assaggiato in questa occasione.
Côtes d’Auvergne “Au Chant de la Huppe” 2022 – Henri Chauvet
Vino naturale ottenuto da gamay e pinot noir vinificati separatamente e poi assemblati e invecchiati in botti di legno esauste. Il vino ha un bel colore rubino chiaro di grande luminosità. Naso pulito ed espressivo di frutta rossa (fragola, arancia rossa), viola, mineralità scura, cola.
Sorso improntato sulla freschezza che, insieme ad un tenore alcolico piuttosto contenuto (11,5%), rendono la beva scorrevole e golosa. La delicata effervescenza presente nel vino appena versato (suggeriamo una caraffatura) svanisce dopo qualche minuto di attesa. Il vino è estroverso anche in bocca, tanta frutta rossa e dinamicità, tannino setoso, sottile scia sapida e chiusura su ritorni di fruttati e amarognoli che richiamano la radice di liquirizia.
Plus: vino ben fatto che metterà d’accordo sia i winesnob, che ne apprezzeranno l’eleganza e l’impronta borgognona, che gli intransigenti del vino naturale che ne riconosceranno la spontaneità.
La storia di Laura Lardy è simile a quella vista in tante altre aree del vino, non solo francese. Figlia di una famiglia di produttori di vino (Lucien Lardy), cresce tra le vigne e, pur avendo provato a dedicarsi ad altre attività, cede al richiamo della terra e torna in azienda per mettersi in gioco e produrre i propri vini. Lo fa affrancandosi dall’attività di famiglia – di stampo piuttosto convenzionale – per dar vita ai vini che rispecchino la visione contemporanea dei giovani vignerons, ovvero rispetto massimo del terroir, intervento in vigna ed in cantina ridotto al minimo, fermentazioni spontanee, utilizzo di contenitori di affinamento non invasivi, aggiunta della solforosa necessaria solo in fase di imbottigliamento.
Le vigne che Laura affitta dalla famiglia, gamay e chardonnay, hanno un’età media di 40 anni e coprono complessivamente 5,5 ettari a Morgon, Fleurie, Chénas e Moulin á Vent. La prima annata prodotta è la 2017.
Il vino che abbiamo bevuto è il MorgonCôte du Py2021, ottenuto da una vigna di 0,8 ettari nella Côte du Py, uno dei cru più celebri del Beaujolais. Come da tradizione il vino è realizzato con fermentazione semi carbonica a grappolo intero in cemento, prima dell’imbottigliamento sosta 6 mesi in fusti di rovere esausti.
Colore rubino compatto e un primo naso molto pulito ed immediato. Dapprima sul frutto (fragola e lampone), poi sopraggiunge la viola e quindi una nota di mineralità scura che conferisce una certa complessità. Il sorso è dinamico, scorrevole ma non rapido, il tannino è aggraziato e l’acidità dà slancio e profondità. Chiude sapido.
Plus: vino ben fatto ed espressivo, di grande bevibilità e riconoscibilità. Rispetto ad altri Morgon assaggiati (vedi ad esempio questo post) l’interpretazione di Laura Lardy (almeno in questa annata) è più sul frutto che sulle componenti scure e speziate che conferiscono ai Morgon un’austerità spesso rocciosa e contratta.
Un vino che vale la pena di provare insomma e che condividiamo volentieri!
L’attributo “predestinato” – usato spesso a con una certa generosità dai giornalisti sportivi – mi è sempre sembrato ingiusto, scorretto, persino immorale. L’utilizzo che se ne fa in ambito giornalistico-sportivo, ad esempio, fa passare il messaggio che sia sufficiente il DNA, il talento, l’indole innata di cui l’atleta non ha alcun merito, a far diventare campioni. Ma è veramente così? Se persino il più grande atleta di tutti i tempi, il nuotatore americano Michael Phelps, si considerava “non il più forte, ma il più allenato”…ecco che il far credere che il talento basti a ottenere successo, nella vita come nello sport, è una grande menzogna (oltre che perfetto alibi per chi non ce la fa).
Mi smentisco subito però definendo “predestinato” Henri Chauvet, un ex manager del mondo bancario e assicurativo, degustatore appassionato, che abbandona la sua professione e nel 2021 (quindi pochi anni fa!), compra un domaine con vecchie vigne a Boudes, in Auvergne (un territorio non certo da Champions League del vino, per restare in ambito sportivo), ed in pochi anni ottiene attenzione, passaparola, corsa all’accaparramento dei sui vini (e relativi riflessi speculativi sul prezzo delle sue bottiglie), endorsement da parte di altri celebri vigneron come Allemand, Chave, Ganevat… come qualificarlo se non predestinato?
Il domaine attualmente possiede 13 ettari di vigna (spesso molto vecchia) di gamay, pinot noir, syrah, cabernet franc et chardonnay. L’impostazione è biodinamica e naturale (la certificazione bio è in arrivo in quanto l’azienda è in riconversione), vinificazione senza lieviti selezionati, ovviamente nessuna filtrazione e solfiti solo se strettamente necessario in fase di imbottigliamento. I vini che ne derivano tuttavia, a differenza dell’impostazione così intransigente, sono un mix perfetto di precisione, pulizia, espressività e gourmandise. Compreso il vino di cui parliamo oggi:
Côtes d’Auvergne Boudes Gamay 2022 – Henri Chauvet
Colore rosso rubino chiaro trasparente e dai bei riflessi porpora. Olfatto intrigante di ribes, peonia e viola, argilla e una elegante affumicatura. Appena versato il vino in bocca pizzica per un flebile residuo di anidride carbonica (leggo poi che l’uva fa 15 giorni di fermentazione a grappolo intero in contenitori inox, prima di passare in legno), dopo pochi secondi comunque la CO2 sparisce e lascia il posto ad un sorso gustoso e dinamico, il frutto è ben presente senza alcuna mollezza però, anzi lo sviluppo è supportato da un’acidità rinfrescante ed un tannino appena percepibile, materia e alcol (12%) sono contenuti, l’esito è una beva semplice e gourmande. La chiusura è su ritorni aciduli di ribes, fiori rossi e un tocco ravvivante di pepe. Persistenza delicata ma più che significativa. Ha retto benissimo un arrosto di faraona ripieno.
Plus: vino naturale di ottima fattura e grande espressività, un gamay che però tende all’eleganza del pinot nero senza rinunciare alla sua indole glouglou.
L’Isére è forse il territorio vinicolo meno considerato di tutta la Francia. Eppure da qualche tempo – complice il cambiamento climatico e la nouvelle vague di giovani produttori naturali alla ricerca di terreni vocati al giusto prezzo – si nota un certo dinamismo e delle bottiglie originali e di grande interesse.
Qualche mese fa abbiamo già parlato di Jérémy Bricka, oggi invece riferiamo del Domaine Les Alpins. Si tratta della creatura di Sébastien Benard, quattro ettari a La Buisse, nel nord dell’Isère, all’interno del Parco Naturale Regionale de la Chartreuse, a circa 20 km da Grenoble. L’azienda è certificata biologica ma la gestione è naturale, i soli trattamenti contemplati in vigna sono lo zolfo ed il rame in dosi molto limitate (da 1 a 2 kg per ettaro all’anno).
Isére Coteaux du Gresivaudan IGP “Les Comperes” 2020 – Domaine Les Alpins (Sébastien Benard)
Il vino è ottenuto da gamay (in maggioranza), con a saldo mondeuse, persan e pinot noir. Il gamay viene vinificato a grappolo intero con macerazione semi-carbonica, gli altri vitigni vengono vinificati insieme e poi uniti al gamay. Dopo l’assemblaggio il vino affina per circa un anno in barrique e fusti di rovere usati.
Les Comperes si presenta di un bel rosso rubino chiaro con luminosi riflessi porpora. Primo naso molto floreale (rosa, peonia), poi arriva il frutto rosso (fragola), ma anche inchiostro e una spezia che ricorda il pepe verde.
La bocca è scorrevole e golosa, la beva è trascinata da un’acidità rinfrescante e dissetante che però trova una carnosa materia fruttata a compensarne l’esuberanza. Tannino appena accennato e chiusura su ritorni floreali. Dopo il primo sorso la bocca resta fresca e pronta ad un nuovo assaggio, complice il titolo alcolometrico molto contenuto (12%).
Può accompagnare degnamente un piatto di salsiccia e fagioli ma anche un semplice panino al salame.
Plus: vino espressivo e di grande beva ma non un semplice glou glou. L’immediatezza del gamay trova equilibrio nei suoi compari (“Les Comperes….”) di assemblaggio, con il pinot noir che apporta raffinatezza e la mondeuse e il persan che conferiscono nerbo e struttura.
Abbiamo già parlato più volte di Beaujolais su queste pagine. Lo rifacciamo oggi dopo l’assaggio di un vino che ci ha molto colpito. Si tratta del Beaujolais Villages di un produttore artigiano fondamentale per la zona: parliamo di Yvon Métras che per primo seguì, negli anni ’80, il manipolo di produttori naturali innovatori – Jean Foillard, Marcel Lapierre, Jean-Paul Thévenet e Guy Breton – che si dedicarono a produrre vini di qualità in un territorio allora dedito prevalentemente ai vini novelli a base gamay (il celeberrimo beaujolais nouveau). Per un sintetico approfondimento sulla regione leggi questo nostro post.
Métras segue i suoi 5 ettari di vigna dando vita a poche e contese bottiglie di Beaujolais Villages e Beaujolais Cru (Moulin à Vent e Fleurie). Abbiamo assaggiato il vino che non ricade in alcun cru e che è chiamato “Madame Placard”, annata 2019. Si tratta di un vino vinificato in cemento con macerazione semi-carbonica a grappolo intero, senza solfiti aggiunti.
Beaujolais “Madame Placard” 2019 – Yvon Métras
Colore rubino chiaro con riflessi porpora, la velatura rende la veste ancor più accattivante.
L’olfatto, dopo una iniziale e brevissima riduzione, si apre su una macedonia di fragole, ribes e lamponi, poi una nota floreale molto fine (violetta) e quindi, da ultimo, un’intrigante arancia sanguinella.
Il sorso è fantastico per dinamicità, freschezza e scorrevolezza, il vino non è per nulla banale però, anzi l’acidità solletica il palato ed accompagna un tannino a grana finissima appena accennato. La chiusura è sapida e di buona lunghezza su ritorni di ribes e arancia.
Ha retto bene l’abbinamento con un arrosto di pollo ma, potendo, provatelo con un bel pollo ruspante alla diavola!
“Morgonner: avere le caratteristiche di Morgon. L’originalità di Morgon risiede nei suoi aromi di kirsch, frutta a nocciolo matura (ciliegia, prugna, anche albicocca…), acquavite di frutta e spezie che non si trovano in nessun altro cru del Beaujolais.”
Facciamo un passo indietro: noi di Vinocondiviso abbiamo un debole per il Beaujolais, tante volte ne abbiamo parlato e soprattutto degustato; sicuramente l’uscita, lo scorso anno, di un libro ad esso completamente dedicato, a firma di Armando Castagno, ha colmato la mancanza di una letteratura in merito in lingua italiana. Nel capitolo dedicato alla AOC Morgon Castagno parla di “morgonner” (pagina 125), facendo riferimento a “quei vini che ne ricalcano, pur essendo altro, il carattere (è un privilegio dei grandi vini: in Italia non conosciamo alternative a “baroleggiare”).”
Abbiamo quindi recuperato il Morgon 2018 di Terres Dorées (la 40esima vendemmia di J.P. Brun, il produttore) per iniziare a comprendere … i meriti del Morgon per farsi verbo. Gamay in purezza da vigne ad alberello di oltre 50 anni di età, a pieno titolo quindi “vielles vignes”, viene vinificato secondo lo stile borgognone: nessuna macerazione carbonica, fermentazione tradizionale e affinamento in piecés.
Già versandolo, il vino esprime simpatia e voglia di convivialità. Al naso e poi in bocca ampie note vinose subito seguite da frutta scura, un pizzico di datteri e spezie, il sorso è vistoso, un po’ ruspante e sornione, che pensiamo siano i tratti caratteristici anche del vigneron, almeno guardando il suo volto sorridente nelle immagini che troviamo on line. Sicuramente lontano per caratteristiche dai più famosi Morgon di Lapierre e Foillard, soprattutto in termini di finezza e profondità gustativa, questo Morgon non smentisce, di contro, l’ottima fama di Brun, che con i suoi 40 ettari circa sparsi nel Beaujolais riesce sempre a tradurre, nel calice, le espressioni dei diversi cru in cui possiede le vigne.
Chiosa finale: abbiamo voluto abbinare, questo vino ad un quadro di Piet Mondrian, “Mulino di sera” … chissà se morgoneggia anche lui.
Non è l’inizio di una barzelletta, ma il resoconto degli ultimi vini bevuti. Un casuale percorso paneuropeo.
Moulin à Vent “Les Trois Roches” 2019 – Pierre-Marie Chermette
Bel rubino scarico e luminoso come ci si aspetta dal gamay di Beaujolais. Olfatto di ribes, fragolina di bosco, viole. Il tutto avvolto da mineralità scura che fornisce complessità senza togliere spensieratezza al vino. Freschezza e sapidità veicolano il sorso, che risulta scorrevole e goloso, peccato solo per una punta di alcol che sfugge nel finale.
Pierre-Marie Chermette è un domaine del Beaujolais con una lunga tradizione. La stile di vinificazione è molto delicato e mai prevaricante, per questo è particolarmente didattico assaggiare i loro crus del Beaujolais, oltre al Moulin à Vent in gamma possiamo infatti trovare anche Brouilly, Fleurie, Saint-Amour.
Priorat vinyes velles 2015 – Ferrer Bobet
Impenetrabile nel suo rosso rubino con riflessi bluastri. Al naso è molto intenso e di impatto con frutta scura matura (prugna), eucalipto, un floreale elegante di viola e peonia, un tocco di cacao. Anche il sorso è possente, si allarga nel cavo orale ma fortunatamente la dinamica non manca, l’acidità stempera la materia fruttata e la accompagna nello sviluppo. Il tannino è molto ben calibrato, setoso e dolce. La chiusura è sapida con qualche ritorno speziato (vaniglia).
Ferrer Bobet è un’azienda a conduzione biologica relativamente recente (il primo millesimo in commercio è stato il 2005) . Il vinyes velles 2015 è ottenuto per due terzi dalla varietà cariñena e per un terzo da garnacha; ha uno stile ipertrofico e morbido ma con alcol sotto controllo e buona mobilità. Non entusiasmerà chi cerca, anche nei vini rossi, freschezza e spigliatezza; la materia ricca e dolce ed il lavorio del legno, come spesso accade in questa denominazione, sono ben avvertibili pur in un contesto di grande armonia.
Grignolino del Monferrato Casalese “Bestia Grama” 2019 – Agricola BES
L’Agricola BES è una giovanissima realtà biologica che si trova in Monferrato, per l’esattezza a Treville. Il grignolino che assaggiamo per la prima volta ha un bellissimo colore rubino chiaro, al naso si inseguono piccoli frutti rossi e note agrumate, fiori dolci e delicati tocchi di pepe. Bocca agile, molto succosa e beverina, tannino appena accennato e chiusura elegantemente pepata.
Non certo un vino complesso, ma molto ben fatto e misurato nella sua immediatezza. Azienda da seguire, produce due altri vini – uno a base barbera, l’altro a base syrah – che non abbiamo ancora avuto l’occasione di provare.
Su Vinocondiviso parliamo spesso dei vini della Savoia. E continuiamo a farlo anche in quest’occasione per raccontare di un vino del domaine Giachino, un’azienda biologica e biodinamica situata nel parco regionale della Chartreuse, con vigne sulle pendici del Mont Granier nei comuni di Chapareillan, les Marches et Apremont.
Savoie AOC “Giac’ Potes” 2018 – Domaine Giachino
Il vino in questione è ottenuta da fermentazione a grappoli interi di mondeuse e gamay.
Il colore rubino screziato di blu ne svela l’estrema giovinezza.
All’olfatto prevale il floreale del garofano, seguito dal frutto rosso (fragola) e da qualche nota sanguigna.
Il vino è agile e beverino, ha un buon volume, si sviluppa cremoso con la componente fruttata ben bilanciata da vena acida e salina. Il vino chiude con un tannino appena astringente, con ottima persistenza e ritorni floreali.
Plus: vino da merenda, scorrevole e schietto senza essere banale.
La vacanze permettono, quando va bene, di visitare terroir enoici più o meno celebri. E così, anche quest’anno, le ferie natalizie mi hanno permesso di andare a scoprire nuovi terroir vitivinicoli. Oggi ti racconterò dei confini meridionali della Borgogna.
Giochi per bambini con vista sulle vigne
Mâconnais
Ci troviamo nel Mâconnais, territorio che si estende a sud della Côte de Beaune e della Côte Chalonnaise e immediatamente a nord del Beaujolais. Una zona di confine dunque che, con qualche pregiudizio, temevo potesse rappresentare un compromesso al ribasso tra il prestigio della Côte d’Or e la sfrontata spensieratezza del Beaujolais. Mi sbagliavo di grosso, almeno a giudicare dagli splendidi vini e dalla chiarezza di intenti che ho colto presso il domaine che ho scelto di visitare.
Vinzelles
Bret Brothers & La Soufrandière sono due marchi di un’unica proprietà che si trova nel piccolo centro di Vinzelles, vicino a Mâcon. La storia del domaine risale al 1947 quando Jules Bret, medico, acquista il domaine La Soufrandière: un solo ettaro di vigna nella denominazione Pouilly-Vinzelles Climat “Les Quarts”. A quel tempo l’uva veniva conferita alla cooperativa, per Jules La Soufrandière era poco più che una casa di campagna. L’amore per la vigna lo porta però ad estendere poco a poco la proprietà.
Solo negli anni ’90 i nipoti di Jules, Jean-Philippe, Jean-Guillaume et Marc-Antoine, decidono di seguire in prima persona il domaine. Nel 2000 cessano il conferimento delle uve alla cooperativa e nasce La Soufrandière. Nel 2001 viene creata invece Bret Brothers, che distingue, con ammirabile trasparenza, i vini ottenuti da uve di proprietà (La Soufrandière) dai vini di négoce (Bret Brothers), ottenuti cioè da vigne non di proprietà, anche se vendemmiate in prima persona dal domaine.
La Soufrandière
Schematicamente:
Bret Brothers
8 ha gestiti nel Mâconnais e nel Beaujolais (chardonnay, gamay)
produzione annua: 50.000 bottiglie
80% delle uve certificate bio o in conversione
vendemmie manuali gestite dal domaine, vinificazione con lieviti indigeni, senza zuccheraggio (chaptalisation) o acidificazione
fermentazioni e affinamento in inox o barrique usate (dai 7 ai 18 anni)
La Soufrandière
11 ha di proprietà nel Mâconnais (100% chardonnay)
produzione annua: 60.000 bottiglie
certificazione biologica (AB) e biodinamica (Demeter)
vinificazione con lieviti indigeni, senza zuccheraggio o acidificazione
fermentazioni e affinamento (11-18 mesi) in inox o barrique usate (dai 7 ai 20 anni!), qualche cuvée in cemento
Les Quarts
Ho avuto modo di guardare da vicino la bella vigna “Les Quarts”, il più bel climat della AOC Pouilly-Vinzelles, con vigne tra i 45 e gli 80 anni di età.
Rapida visita in cantina, funzionale e ben organizzata, con molte barrique non nuove, contenitori in cemento di varie fogge (incluse due uova da vino in cemento), vasche in inox.
Molti i vini in degustazione di entrambi i marchi aziendali, di seguito qualche cenno ai vini assaggiati. Nota bene che, poiché in alcuni casi ho assaggiato da bottiglie senza etichetta, non sempre l’annata in foto corrisponde all’annata riportata nel testo (che è quella corretta a cui far riferimento).
Mâcon-Chardonnay 2018 – Bret Brothers
Vino ottenuto da uve provenienti da una parcella sita nel villaggio di Chardonnay, non lontano da Tournus, a nord di Mâcon. Gli abitanti di Chardonnay sostengono orgogliosamente che sia il loro villaggio ad aver dato il nome al vitigno bianco borgognone per eccellenza. Non è certo a dir la verità, quel che è sicuro è che chardonnay derivi dal latino cardus, dal nome dalla pianta che cresce in particolare sui terreni calcarei, e Chardonnay infatti è un paese che ha abbondanti suoli calcarei. Vino che fermenta ed affina 11 mesi in inox, solo il 10% della massa sosta in legno piccolo. Naso molto sul frutto bianco accompagnato però da un sorso teso e profondo. Vino finto semplice, per me delizioso nella sua gustosa immediatezza. Essenziale.
Pouilly-Loché “La Colonge” 2018 – Bret Brothers
Pouilly-Loché è una delle denominazioni più piccole di tutta la Borgogna. Ottenuto da vigne di 30 anni esposte a est questo vino, vinificato in legno piccolo, esprime grande energia e vigore, con acidità molto marcata ma perfettamente integrata nella materia. Chiusura minerale di grande eleganza. Grintoso.
Mâcon-Vinzelles “Le Clos de Grand-Pére” 2018 – La Soufrandière
Da vecchie vigne (età media di 60 anni) vicino alla proprietà. Vino che affina prevalentemente in inox, delicato e al contempo profondo. Molto giovane, ma decisamente promettente. Arzillo.
Pouilly-Vinzelles 2018 – La Soufrandière
Dalle vigne tra 35 e 50 anni del climat “Les Quarts”, quindi considerate dalla proprietà non ancora degne, vista la (relativa) gioventù, di entrare nel vino che riporta in etichetta il climat. Vino tutto giocato sulla mineralità, la droiture e la sapidità. Raffinato.
Saint-Véran “La Combe Desroches” 2018 – La Soufrandière
Da una parcella, esposta a nord, di 1,5 ha e situata ai piedi della Roche de Vergisson. Vino potente ed energico, appena amaricante in chiusura. Vivace.
Pouilly-Fuissé “En Chatenay” 2017 – La Soufrandière
Unico vino tra i bianchi assaggiati in cui si avverte la presenza del legno, nonostante i legni impiegati siano esausti, come per tutti gli altri vini. Però il sorso racconta anche molto altro: agrumi, sassi, sale…persistenza molto lunga. Da attendere con fiducia.
Pouilly-Vinzelles 2017 “Les Quarts” – La Soufrandière
Ottenuto dalle più vecchie piante di chardonnay del domaine (dai 50 agli 80 anni di età), eccolo il vino degno di chiamarsi “Les Quarts”! Un grande vino che si esprime sul frutto bianco, gli agrumi, i sassi. Il sorso è di un’acidità molto netta eppure il vino risulta equilibrato e godibilissimo. Chiusura sapida entusiasmante. Chapeau!
Chénas “Glou des Bret” 2018 – Bret Brothers
Sconfiniamo in Beaujolais per questo vino ottenuto da macerazione carbonica. Si tratta di un vino da merenda gustoso, molto frutto rosso al naso (fragola), beverino e succoso in bocca. Gioviale.
Beaujolais-Lantignié 2018 – Bret Brothers
Lantignié potrebbe diventare, secondo alcuni progetti, l’11° cru del Beaujolais oltre che la prima AOC totalmente bio. È un vino di una certa complessità, fruttato certo ma stratificato e ficcante. Intrigante.
Julienas “La Bottière” 2018 – Bret Brothers
Gamay inferiore ai due precedenti, anche a causa di qualche insistita nota vegetale. Rimandato.
Questa la carrellata dei vini che ho assaggiato. Come sempre tornerò su alcuni di questi vini non appena avrò l’occasione di degustare con calma i vini che ho acquistato presso il domaine.
Chiudo con una considerazione personale su cui ti invito a dire la tua nei commenti. I vini bianchi di Borgogna, con le poche ma dovute eccezioni, non sono il mio genere di vino bianco preferito. Trovo che troppo spesso la mano in cantina del produttore sovrasti l’espressività del vino. Legni piccoli, giovani e tostati, il bâtonnage, l’abbondante uso di solforosa…danno vita a vini che troppo spesso trovo inutilmente “conciati”, dolciastri, lattici, con note di polvere da sparo che tendono a prevalere sul resto. Mi è piaciuto scoprire che un’altra Borgogna bianca è possibile.
Quali i tuoi ultimi vini bianchi di Borgogna che ti hanno convinto? Chablis non vale… 😉
Tra i profumi del vino più piacevoli e riconoscibili vi sono senz’altro i piccoli frutti rossi. Dopo averti parlato del profumo di lampone tocca al profumo di fragola.
Naturalmente sono costretto a semplificare: un conto è il fresco e goloso aroma del frutto fresco, tutt’altra cosa le fragole in confettura, ottenuta dai frutti più maturi e che sviluppano delle leggere note di caramello dovute alla cottura dello zucchero. Una cosa la fragola che vedi in foto, altra cosa le fragoline di bosco. Eviterei inoltre di addentrarmi nelle diverse varietà del frutto…
I profumi del vino: la fragola
Il profumo di fragola è considerato un aroma secondario e si forma, generalmente, dopo la fermentazione malolattica. E’ un aroma apprezzato dal degustatore che lo percepisce goloso ed elegante insieme; inoltre è facilmente riconoscibile.
In che vini puoi trovare l’aroma di fragola?
L’aroma di fragola si riscontra principalmente nei vini rossi o rosati provenienti da varie zone e vitigni: Bordeaux, Borgogna, molte vini italiani e anche del Nuovo Mondo.
Azzardo una mappa dei vitigni in cui si trova con più frequenza questo aroma. In Francia sicuramente non possiamo non citare il gamay, il merlot ed il pinot nero (quando questi vini non sono più giovanissimi possiamo trovare anche la confettura di fragola). Un vino in particolare che ricordo “marchiato” da una fragola netta è lo Château Rayas (grenache) oltre che i vini rosé della Provenza.
In Italia ci si può imbattere in questo sentore nei vini da uve nebbiolo (la fragola dei vini di Giacosa!), grignolino, bonarda, sangiovese, nero d’Avola…
E tu? Raccontami di qualche vino in cui ricordi di aver sentito una succosa fragola fresca!