Il pinot nero oltre i confini della Borgogna

Alcuni vitigni nascono in un preciso punto del mondo e lì rimangono per sempre, senza spostarsi. In altri casi, certe varietà abbandonano le origini per intraprendere un lungo viaggio che li spingerà ad adattarsi in angoli diversi del pianeta, senza mutare tuttavia la loro genetica. Latitudini diverse, suoli imparagonabili, stagioni opposte, pendenze, pianure, laghi, boschi, vento, mare. Non esiste una condizione pedoclimatica identica ad un’altra, eppure quella piccola vite riuscirà a fare di quel paesaggio la sua casa, e il vino che ne deriva avrà impresso il segno indelebile di quel preciso territorio.

Capita spesso, tuttavia, che una volta davanti al bicchiere, si giunga alla conclusione che le performance migliori provengano dai terroir d’origine. A volte i produttori si ostinano a far crescere un’uva in un luogo non esattamente vocato, ma sedotti da una sorta di “terra promessa” cedono al tentativo di replicare un territorio e una tradizione che non gli appartengono.

Questo avviene innumerevoli volte quando si parla di pinot nero.

Inizierò dicendo che dovremmo smettere di paragonare le espressioni di pinot nero di Borgogna a quelle di altri territori.

Non serve che io dica che crescere il pinot nero sia un’impresa alquanto audace da compiere: è uno dei vitigni più ostici e sensibili da domare perché soffre il troppo caldo, l’umidità, le estati eccessivamente secche, è soggetto a muffe e funghi, se viene vendemmiato presto risulta verde e amaro e se raccolto troppo tardi l’uva potrebbe risultare molle. Le caratteristiche pedoclimatiche del terroir devono essere incastrate alla perfezione per poter dar vita ad un grande vino, infatti già nel Medioevo i monaci cistercensi furono spinti a fare una mappatura dei loro vigneti, classificando i terroir migliori che poi sarebbero diventati Grand Cru e Premier Cru.

Quando si tratta di pinot nero, ogni minima peculiarità del territorio ha un’incidenza determinante nel bicchiere, e addirittura verrebbe da chiedersi se i profumi varietali siano rilevanti quanto l’espressione del terroir. Probabilmente la risposta a questa domanda rappresenta già un primo motivo per disincentivare i tentativi di imitazione della Borgogna.

Inoltre, non dimentichiamoci che c’è una bella differenza tra imitazione e ispirazione: la prima porta al concepimento di brutte copie, di caricature, mentre la seconda spinge a interpretare al meglio ciò che realmente si possiede, senza tentare di cavare sangue da una rapa.

Uno dei pochi esempi in cui l’ispirazione ha avuto la meglio nella realizzazione di un grande pinot nero italiano è sicuramente Podere della Civettaja. Siamo in Toscana, in Casentino, le cui altitudini e i terreni calcarei e ricchi di scheletro consentono la coltivazione di questo vitigno. Ho assaggiato recentemente la 2016 e, complice sia l’annata eccezionale sia un po’ di tempo di affinamento in bottiglia, ho avuto il piacere di bere un ottimo vino.

Pinot Nero 2016 – Podere della Civettaja

Rosso rubino di media intensità, al naso si ritrova uno stile più sul riduttivo che sull’ossidativo, con sentori di frutta freschissima, ciliegia, ribes, lampone, rosa canina, poi spicca una nota minerale di pietra bagnata, sottobosco, pepe bianco. In bocca colpisce per la sua freschezza autentica e schietta, che fa venire voglia di berlo e riberlo, oltre alla sua lunga persistenza lievemente sapida. Nessun paragone con la Borgogna: questo vino è autenticamente italiano, finalmente.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi

Noir o nero, purché sia pinot

Oggi ti racconto di una degustazione tra amici il cui tema era, genericamente, “pinot noir o pinot nero”. La supremazia francese per il vitigno in questione non era in discussione, ma è sempre stimolante mettersi in gioco bevendo alla cieca per apprezzare al meglio le sfumature del pinot nero.

Ecco cosa abbiamo bevuto:

Oltrepò Pavese Pinot Nero “Giorgio Odero” 2012 – Frecciarossa

Azienda storica e rappresentativa dell’Oltrepò, anche Frecciarossa si cimenta con il pinot nero. Abbiamo assaggiato il Giorgio Odero 2012 che si presenta al naso su toni di frutta rossa ben matura, un cenno vegetale e poi, dopo qualche minuto di assestamento, arrivano anche le erbe aromatiche. L’ingresso in bocca è piuttosto caldo, lo sviluppo è in ampiezza anche se arriva alla chiusura abbastanza rapidamente. La bocca resta appena amara.

Plus: vino interessante ed espressivo, ha tenuto molto bene nel bicchiere
Minus: un guizzo acido in più avrebbe di certo aiutato, così come una maggior articolazione al sorso.

Südtirol Alto Adige Pinot Nero “Villa Nigra” 2015 – Colterenzio

Colterenzio è una realtà cooperativa da più di 1,5 milioni di bottiglie. Tra le oltre 30 etichette in gamma anche la selezione di pinot nero Villa Nigra. Il vino ha un naso un po’ sfocato che si dipana tra note di caramella al lampone, qualche tocco boschivo e uno straccio bagnato che va e viene. Ma soprattutto la bocca delude: stretta, senza progressione e corta.

Minus: vino poco fine al naso e cortino in bocca, da rivedere.

Vougeot 1er cru “Les Cras” 2015 – Domaine Philipp

A memoria non ricordavo un Les Cras a Vougeot, ma il libro di Armando Castagno “Borgogna, Le vigne della Côte d’Or” viene in aiuto in qualche modo giustificando la dimenticanza. In Côte d’Or sono almeno 15 le vigne che portano questo nome (che deriva da crai e fa riferimento al suolo formato da sassi bianchi). L’affinamento in legno copre un po’ il primo naso che è speziato, poi esce il fruttino rosso, un tocco di incenso e china, la scorza d’agrumi… Bocca soddisfacente come presenza e sviluppo, è forse un po’ calda ma saporita e pulita in chiusura.

Plus: vino non straordinario ma sfaccettato e saporito
Minus: legno ancora ben presente sia al naso sia in bocca che non risulta ancora del tutto equilibrata.

Bourgogne 2005 – Domaine Robert Chevillon

Chevillon ha bellissime e vecchie vigne tra i migliori premiers crus di Nuits-Saint-Georges. Questo Bourgogne 2005 ha un naso appena evoluto ma ancora molto affascinante: spezie, sostanze psicotrope, ribes… La bocca è stupendamente risolta, saporita e sapida.

Plus: vino di grande fascino, perfetto nella sua semplicità. All’apice.

Bonnes Mares Grand Cru 2009 – Domaine Bart

Ed eccolo il grand cru della serata che si esprime con un naso limpido, luminoso e vivace di spezie e fruttini rossi che richiamano immediatamente la Borgogna. La bocca ha un’acidità ben presenta che accompagna lo sviluppo del vino che risulta succoso. Chiusura sapida e molto persistente.

Plus: vino che coniuga alla perfezione eleganza e complessità, facilità di beva e sinuosità.

Gevrey-Chambertin 1er cru “Les Goulots” 2004 – Domaine Fourrier

Annata davvero difficile la 2004 in Borgogna. I pinot noir ne risultano spesso vegetali con note olfattive che in casi non infrequenti arrivano persino a richiamare l’olezzo delle cimici… Domaine Fourrier se la cava invece piuttosto bene e ci regala un naso di frutta chiara, accompagnato da un tocco vegetale appena accennato, poi spezie e rose. Il sorso è “rilassato”, in questa annata l’evoluzione comincia a sentirsi anche se, pur risolta, la bocca è elegante e piacevolmente sapida.

Plus: considerando l’annata in questione non si poteva chiedere di più.

Diego Mutarelli
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Girlan e i suoi vini nel cuore di Milano

Girlan
Photo credits: Girlan

Citato la prima volta nel lontano 1085, Girlan (Cornaiano in italiano) è sede della Cantina Girlan: 200 viticoltori, che lavorano 215 ettari di vigneti fra l’Oltradige e la Bassa Atesina, ad un’altitudine fra i 250 e i 550 m s.l.m.
Guidata dal kellermeister (capocantina) Gerhard Kofler, produce tre distinte linee: le Selezioni, i Vigneti e i Classici. Vini ottenuti da uve autoctone (gewürtraminer, schiava, lagrein, moscato rosa) e da varietà internazionali (chardonnay, sauvignon, müller-thurgau, pinot nero e bianco, ecc.) che trovano in Alto Adige un ambiente ottimale.

Girlan, terroir
Photo credits: Girlan

Martedì 29 gennaio, al Park Hyatt di Milano, per mano del funambolico Luca Gardini, l’azienda ha presentato i suoi nove vini di punta.

Girlan, i vini bianchi
I vini bianchi in degustazione
  • Flora Cuvée Bianco Riserva 2016, vigneti a 450-500m s.l.m., blend di chardonnay, sauvignon e pinot bianco, affinamento in botti di rovere per 12 mesi e 6 mesi in tini d’acciaio. Un vino perfettamente bilanciato nella sua cuvée, fresco e sapido, in cui emergono note floreali, di agrumi freschi (pompelmo e lime) e sentori di erbe aromatiche.
  • Flora Pinot Bianco Riserva Riserva 2016, vigneti a 450-500m s.l.m., affinamento in botti di rovere per 12 mesi e 6 mesi d’acciaio; un vino giovane ma di sicura longevità, dove le note agrumate cedono il passo a frutti gialli maturi e delicate note salmastre.
  • Flora Chardonnay 2016, vigneti a 450-500m s.l.m., affinamento in botti di rovere da 12-15hl per 12 mesi; un vino di grande eleganza, esempio di magistrale uso di legno (nuovo) funzionale ad esaltare le caratteristiche del vitigno.
  • Flora Sauvignon 2017, vigneti a 500m s.l.m., affinamento 50% in botti di rovere e 50% acciaio; un vino fresco, dai sentori minerali e di fiori bianchi; quello che mi ha colpito meno tra i bianchi in degustazione.
  • Flora Gewürztraminer 2017, vigneti a 300-450m s.l.m., affinamento in acciaio; sicuramente quello che mi è piaciuto più della batteria dei bianchi, perfettamente equilibrato fra dolcezza e acidità, con sentori delicati di rosa e mughetto. Dimenticatevi certi gewürztraminer molli e stucchevoli in cui spesso ci si imbatte.
Girlan, i vini rossi
  • Gschleier Alte Reben Vernatsch 2017, vigneti 450m s.l.m., lunga macerazione, affinamento 9 mesi in botti di rovere; ottenuto da vigne di oltre 80 anni (Alte Reben significa infatti “vecchie vigne”) è un perfetto connubio di freschezza e acidità, dove il sentore di frutti rossi iniziale cede il passo a note aromatiche (alloro e rosmarino). La definizione che gli ha dato Luca Gardini è stata per me illuminante: Dolce & Selvatica.
  • Patricia Pinot Noir 2016, vigneti 450m s.l.m., lunga macerazione, affinamento 9 mesi in botti di rovere; una bellissima espressione di pinot nero giovane, fresco. Si avvertono sentori di arancia sanguinella, frutti rossi, menta, un tocco di zenzero e pepe bianco.
  • Trattmann Pinot Noir 2016, vigneti 400-500m s.l.m., affinamento 15
    mesi in barrique/botti di rovere; qui il pinot nero comincia a emergere in tutta la sua potenziale longevità. Spicca il tannino, croccante e fragrante, polveroso, perfettamente pronto ad evolvere.
Pinot Nero Riserva Vigna Ganger
Pinot Nero Riserva 2015 Vigna Ganger
  • Vigna Ganger Pinot Nero Riserva 2015, vigneti 360-380m s.l.m., fermentazione sui raspi e affinamento 20 mesi in barrique/botti di rovere. Eccolo, finalmente, Vigna Ganger, il fiore all’occhiello dell’azienda: un vigneto monopole, situato a Mazzon, zona altoatesina particolarmente vocata per il pinot nero con netta esposizione a sud-ovest e, caratterizzato da un microclima unico e terreni argillosi in superficie e con substrato calcareo. Il 2015 è fuori dubbio giovane: nell’aspettarlo fra qualche anno, per ora mi “accontento” di Patricia.

Fermento Milano: la verticale del Pinot Nero “Matan” di Pfitscher

Ho partecipato alla prima edizione di Fermento Milano, una nuova manifestazione che si somma agli ormai numerosi eventi autunnali. Ma gli eventi che hanno protagonista il vino non sono mai troppi e l’organizzazione della FISAR, senza fronzoli ma autentica, ha reso questo debutto degno di interesse.

Di seguito il resoconto della verticale dedicata al Pinot Nero Riserva “Matan” di Pfitscher. Ci troviamo in provincia di Bolzano, per l’esattezza a Montagna (che in dialetto locale si dice Matan) e la famiglia Pfitscher gestisce circa 15 ha di vigna per una produzione di circa 100.000 bottiglie. Il Pinot Nero Riserva Matan si ottiene da un vigneto ad un’altitudine di 350 metri esposto a nord-ovest su suoli argillosi.

Pinot Nero Riserva Matan
Photo credit: Tenuta Pfitscher

Alto Adige DOC Pinot Nero Riserva “Matan” 2013 – Tenuta Pfitscher
Rosso granato. L’olfatto risente parecchio dei sentori derivanti dal legno: cuoio, liquirizia, vaniglia…poi arrivano anche la viola ed i lamponi maturi. Il sorso è piuttosto caldo e voluminoso, l’acidità è però ben presente a riequilibrare. Il finale è caldo e sapido, di buona persistenza, che risulta però amaricante a causa del contributo del legno nuovo.

Un pinot nero che avrei preferito più “puro”, ma diamogli tempo.

Alto Adige DOC Pinot Nero Riserva “Matan” 2008 – Ansitz Pfitscher
Il colore granato è screziato da riflessi aranciati. Il naso è di grande dolcezza: prugne e ciliegie sotto spirito, vaniglia, cacao, una nota quasi di cognac. La bocca è però di ottima beva, probabilmente all’apice in questo momento.

Vino in cui acidità e dolcezza di frutto si mescolano alla perfezione.

Alto Adige DOC Pinot Nero Riserva “Matan” 2005 – Ansitz Pfitscher
Colore aranciato con naso complesso: prugna, caffè, tamarindo, sottobosco. La bocca è risolta, cremosa e calda ma fascinosa. L’acidità allunga il sorso e lascia il cavo orale pulito.

Intrigante.

Alto Adige DOC Pinot Nero Riserva “Matan” 2002 – Ansitz Pfitscher
Sorpresa da questa annata non certo facile. Il colore è aranciato ma molto vivo. Il naso è delicatissimo, un elegante sussurro che parla di spezie (cannella), cioccolato nero, un bellissimo floreale appassito per poi rinfrescare grazie ad una suadente marmellata di arance. La dinamica in bocca è ancora connotata da grazia ed eleganza, il sorso entra sottile ma si espande inesorabile e succoso. Molto lungo.

Conclusioni

La mia personale classifica di apprezzamento dei vini degustati nella verticale va dal più vecchio al più giovane, con un 2002 assolutamente sorprendente. Probabilmente un uso del legno più morigerato ed  il tempo sufficiente per “digerirlo” aiutano questa riserva di pinot nero ad esprimere tutto il proprio potenziale.

I profumi del vino: la fragola

Tra i profumi del vino più piacevoli e riconoscibili vi sono senz’altro i piccoli frutti rossi. Dopo averti parlato del profumo di lampone tocca al profumo di fragola.

Naturalmente sono costretto a semplificare: un conto è il fresco e goloso aroma del frutto fresco, tutt’altra cosa le fragole in confettura, ottenuta dai frutti più maturi e che sviluppano delle leggere note di caramello dovute alla cottura dello zucchero. Una cosa la fragola che vedi in foto, altra cosa le fragoline di bosco.  Eviterei inoltre di addentrarmi nelle diverse varietà del frutto…

I profumi del vino: la fragola
I profumi del vino: la fragola

Il profumo di fragola è considerato un aroma secondario e si forma, generalmente, dopo la fermentazione malolattica. E’ un aroma apprezzato dal degustatore che lo percepisce goloso ed elegante insieme; inoltre è facilmente riconoscibile.

In che vini puoi trovare l’aroma di fragola?

L’aroma di fragola si riscontra principalmente nei vini rossi o rosati provenienti da varie zone e vitigni: Bordeaux, Borgogna, molte vini italiani e anche del Nuovo Mondo.

Azzardo una mappa dei vitigni in cui si trova con più frequenza questo aroma. In Francia sicuramente non possiamo non citare il gamay, il merlot ed il pinot nero (quando questi vini non sono più giovanissimi possiamo trovare anche la confettura di fragola). Un vino in particolare che ricordo “marchiato” da una fragola netta è lo Château Rayas (grenache) oltre che i vini rosé della Provenza.

In Italia ci si può imbattere in questo sentore nei vini da uve nebbiolo (la fragola dei vini di Giacosa!), grignolino, bonarda, sangiovese, nero d’Avola…

E tu? Raccontami di qualche vino in cui ricordi di aver sentito una succosa fragola fresca!

Borgogna rossa accessibile: l’ossimoro enoico messo alla prova da 7 bottiglie

In Borgogna è purtroppo sempre più difficile bere bene spendendo il giusto. Soprattutto quando hai avuto la fortuna di provare qualche pinot noir di un grande manico in annata giusta.

Eppure.

Eppure i prezzi sempre più inaccessibili costringono l’appassionato ad indagare le denominazioni minori, i produttori emergenti, le zone sottovalutate. Lavoro non facile e spesso ingrato: andare a casaccio in Borgogna è molto rischioso. Non sono pochi i vini deludenti (ad esser gentili): o perché troppo semplici o perché, al contrario, troppo ambiziosi (e quindi stravolti dal legno e senza la proverbiale eleganza che l’enofilo ricerca).

Ma la Borgogna rossa dal prezzo accessibile esiste o è una chimera?

E’ questa la domanda che mi sono posto, con altri bevitori ospiti presso l’enoteca Vino al Vino di Milano, nel corso di una interessante degustazione cieca che aveva come oggetto proprio il pinot noir “per tutti”.

Pinot nero accessibile: i vini in degustazione
Pinot nero accessibile: i vini in degustazione

Ecco la lista e qualche commento su ciò che abbiamo degustato alla cieca:

Rully 1er cru “Cloux” 2015 – Domaine Jacqueson: molto giovane ma il naso già dimostra una grande finezza a partire da una mineralità calda, poi ribes, un floreale intenso, le fragoline di bosco, una speziatura sottile in formazione…bocca succosa e golosa, tannino leggermente astringente (vino giovane vinificato con raspi). La sensazione complessiva è di eleganza e leggiadria ma senza timidezze. Uno dei migliori vini della serata che si può trovare in Italia a circa 30 €.

Bourgogne Hautes-Côtes de Nuits 2014 – Domaine Gros Frère et Soeur: personalmente non mi ha per nulla convinto e devo dire che capita spesso con i vini di questo produttore. Tocco animale, fiori macerati, legno vanigliato che ritorna prepotente anche in bocca segnando il sorso di calore, dolcezza glicerica e amaro in chiusura.

Givry “Pied de Chaume” 2014 – Domaine Joblot: pollaio in apertura, poi si pulisce ed esce il balsamico, la corteccia, fiori appassiti, cera d’api, agrumi…il naso è piuttosto spiazzante insomma. La bocca è molto verticale con acidità prepotente, in questa fase ancora da integrarsi nella materia del vino. Chiusura liquiriziosa. Non è un vino cattivo ma dalla Borgogna mi aspetto altro.

Bourgogne Hautes-Côtes de Nuits 2014 – Felettig: vino molto interessante, il naso è un ricamo di fragoline, foglia di menta, fiori freschi, qualche cenno agrumato…bocca ficcante, sapida e di grande bevibilità. Altro bel vino.

Südtiroler Blauburgunder 2013 – Gottardi: eccolo l’intruso geografico, ovvero il pinot nero altoatesino. Il naso parte con un po’ di riduzione per poi regalare un ventaglio interessante fatto di asfalto, legno di rosa, fruttino rosso. La bocca è semplice, non così articolata, però di buona scorrevolezza e pulizia. Lontano dai migliori ma non male comunque.

Vougeot 1er cru “Les Petits Vougeots” 2013 – Domaine Clerget: vino dal naso interessante e accattivante di gelatina di ribes, fragoline, floreale…bocca però troppo semplice e chiusura brusca e anche un po’ troppo sull’amaro. Da rivedere.

Echezeaux grand cru 2013 – Forey: vino di ambizioni molto diverse dai precedenti, anche nel prezzo (circa 100 € in Italia). Fruttini rossi dolci, asfalto, sensazioni abbastanza “calde” con bocca però succosa e ficcante, sapida e acida, la progressione è precisa e senza intoppi e la chiusura elegante e  accompagnata da un tannino finissimo. Vino buono in assoluto, ma a quel prezzo pretendo maggiori emozioni.

Non so ancora rispondere alla domanda iniziale sull’esistenza o meno della Borgogna “accessibile”. Tu che ne dici, quali sono i pinot noir borgognoni che, ad un prezzo corretto, ti hanno colpito?

Diego Mutarelli
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11 vini: conferme, sorprese e delusioni di una serata di degustazione

Champagne Blanc de Blancs Extra Brut Les Vieilles Vignes – Francis Boulard

100% chardonnay per questo champagne di finezza e freschezza: calcare, agrumi (anche limone), pan brioche. Bollicine fitte e finissime, dinamica gustativa verticale, salato e percorso da acidità vibrante ma anche sostanza. Manca solo un po’ di allungo nel finale.

Champagne Blanc de Noirs Grand Cru – Denis Bovière

Mela e gesso in apertura, poi note più dolci di frutti di bosco, bolla elegante ma lo sviluppo gustativo, pur gradevole, è piuttosto semplice. La chiusura è segnata da una discreta mineralità.

Riesling Wehlener Sonnenuhr Spätlese 2009 – Joh. Jos. Prüm

Naso molto mutevole e complesso: idrocarburi, tocco di frutta tropicale (frutto della passione), salvia, scorza di arancia, salvia, miele, spezie orientali…bocca abboccata con dolcezza spazzata via subito da acidità ficcante ma elegantemente integrata nel vino. L’acidità prepara il cavo orale ad un nuovo sorso e accompagna il sorso in una chiusura salate decisamente gustosa. Per l’eccellenza manca solo un po’ di intensità e “cattiveria” nel finale.

Chablis Blanchot Grand Cru v.v. 2007 – Guy Robin

Chablis Montmains 1er cru 2009 – Guy Robin

Due vini poco espressivi al naso e piuttosto sconclusionati in bocca, con acidità e morbidezze che vanno ognuna per conto proprio e chiusura amaricante e sorprendentemente alcolica. Questa volta Chablis delude.

Barolo Monprivato 2006 – Mascarello

Solito straordinario naso per questo Barolo: mandarino, lampone, melograno, viola, the verde, catrame…bocca fine e delicata, ma dall’inesorabile, seppur soave, progressione. La dinamica in bocca è carezzevole, il tannino molto fitto eppur setoso. Chiusura dettata dall’acidità e da ritorni fruttati molto fini.

Morgon Les Charmes Eponym’ 2013 – Foillard

Appena stappato il naso è piuttosto ostico: fragole e pollaio, acetica e propoli, asfalto…migliora nel bicchiere di parecchio anche se non convince del tutto neppure in bocca dove avrei preferito un sorso più goloso e meno “rigido”.

Vino Rosso 1703 – Togni Rebaioli

Siamo in Valcamonica, in una vigna montana dove Rebaioli ottiene questo intrigante vino da uve nebbiolo. Fruttini rossi, aghi di pino, corteccia e floreale rosso al naso, bocca di grande acidità e tannino fitto che si articola bene in bocca con una sapida. progressione

Vosne-Romanée 1er cru Les Beaux Monts 2010 – Bruno Clavier

Bel pinot noir borgognone: fruttini rossi, incenso, effluvi balsamici, cola, fragoline di bosco. La bocca entra leggera, in punta di piedi ma poi si allarga e affonda con inesorabile eleganza: salata e ficcante, profonda e succosa. Gli manca appena un po’ di polpa per essere indimenticabile.

COF Pinot Nero “Ronco Pitotti” 2012 – Vignai da Duline

In batteria con il Vosne di Clavier, l’ambizioso pinot nero friulano ha ceduto, pur non sfigurando. Il naso è fine e ben definito, le note olfattive di fruttini rossi sono golose e invitanti, un tocco di foglia di menta invoglia al sorso. La bocca ha buona intensità ma manca un po’ di acidità appoggiandosi sulle morbidezze. L’alcol è ben gestito e la chiusura è sapida ma dai Vignai da Duline, su questo vino, è lecito aspettarsi ancor di più.

Barolo Monvigliero 2010 – Burlotto

Naso inconfondibile quello di questo vino che presenta, anche in quest’annata, un’evidente, e per me persino eccessiva, nota di oliva in salamoia. Anche la bocca non mi convince, l’ho trovata calda e poco equilibrata. I Barolo 2010 sono piuttosto scorbutici, vanno lasciati dormire ancora un po’, sperando che si risveglino dalla loro chiusura più belli che mai. Non sono convinto che per questo vino basterà ma…chi può dirlo!