Il Moscato Wine Festival è un didattico evento itinerante organizzato da Go Wine.
Protagonisti del banco di assaggio sono i vini, provenienti da tutto lo Stivale, ottenuti da moscato.
Secchi, vendemmie tardive, bollicine e passiti, rossi e bianchi … la versatilità dei cloni appartenenti alla famiglia del moscato è sorprendente.
Oggi ti voglio però raccontare di quello che spesso accade quando, nel mondo del vino (e non solo), lo storytelling non regge al fact checking.
E’ il caso del pressoché sconosciuto Moscatello di Taggia.
Ci troviamo in Ligura, nella denominazione Riviera Ligure di Ponente, dove un manipolo di valorosi produttori, riunitesi nell’Associazione Moscatello di Taggia decide di recuperare un vitigno ormai scomparso ma celebre fin dal XIV secolo quando dava vita ad un vino dolce amato “dagli Dei, dai Papi e dai Re”.

E così, con l’aiuto dell’Università di Torino e del CNR di Grugliasco, si va alla ricerca delle poche (67!) piante sopravvissute alla fillossera, vigne centenarie a piede franco che vengono sottoposte ad analisi molecolare, del DNA, sulle virosi, fino ad arrivare a selezionare un’unica pianta da far riprodurre.
Nel 2012 esce in commercio la prima bottiglia di Moscatello di Taggia (Riviera Ligure di Ponente, sottozona Taggia) e una dozzina di produttori convergono nell’Associazione Moscatello di Taggia.
Una bella storia vero?
La storia che ti racconto oggi è bella sì, ma non c’è il lieto fine; infatti le premesse diventano promesse di prodezze…mai realizzate ahimè! E sì perché, – e lo dico, come mia abitudine, con grande sincerità (e rammarico) – alla prova del bicchiere lo storytelling si rivela un grande boomerang.
Ho assaggiato parecchi vini di diversi aziende e ho scoperto con sorpresa che i produttori invece di riportare in vita il celebre e dolce Moscato di Taggia amato dai Papi, puntano molto sulla versione secca. I vini risultano, senza eccezioni, privi di personalità, poco aromatici, con generici profumi agrumati e di frutta bianca…deboli in bocca. Insomma, decisamente dimenticabili. Un vero e proprio tradimento di tutta l’opera di recupero effettuata, non senza sforzo, dai produttori.
Vini anestetizzati probabilmente anche a causa dei protocolli di vinificazione che non aiutano di certo il vitigno ad esprimere il proprio carattere: uso del freddo, filtrazioni, criomacerazione emergono sia all’assaggio sia nel colloquio con i produttori.
Molti di questi hanno peraltro la fortuna di avere le vigne letteralmente affacciate sul mare. Ma di mare, di sale e di sole in questi vini non c’è ombra né sentore.
I vini passiti o le vendemmie tardive assaggiate purtroppo non vanno meglio. Vini, nella migliore delle ipotesi, stucchevoli e privi di acidità.
L’augurio è che il Moscatello di Taggia ritrovi, presto o tardi, la sua spontaneità, il suo carattere distintivo ed una strada autonoma e non standardizzante per affermarsi ed onorare la sua storia.