Taste Alto Piemonte: il nebbiolo del Nord Piemonte tra sorprese e conferme

Come anticipato qualche post fa, Vinocondiviso ha partecipato con grande entusiasmo a Taste Alto Piemonte.
L’evento non ha deluso le attese: tra i banchetti si respirava proprio un’aria positiva. I produttori presenti in massa con pochissime defezioni, richieste in aumento dal mercato per i vini dell’Alto Piemonte, livello medio dei vini decisamente alto con vini precisi ma ben caratterizzati territorialmente.

Sarebbe troppo arduo, e probabilmente ingiusto, esporre valutazioni precise e dettagliate, dopo tanti assaggi e piacevoli chiacchiere.
Ci teniamo però ad evidenziarti i migliori assaggi delle denominazioni che ci hanno maggiormente convinto.

Valli Ossolane DOC
Ci troviamo in Val d’Ossola, un lembo di terra incuneato nell’estremo Nord del Piemonte tra il Canton Ticino a Est e il Vallese a Ovest.

Valli Ossolane nebbiolo superiore Prünent 2016 – Cantine Garrone

Il prünent è un clone di nebbiolo allevato in Val d’Ossola fin dal 1300. Il vino che ne ricava Cantine Garrone è molto bello, chiaro al naso ed estremamente equilibrato in bocca. Serietà al sorso e beva vanno a braccetto.

Valli Ossolane nebbiolo superiore Prünent 2016 – Cantine Garrone

Gattinara DOCG
Forse la denominazione più importante dell’Alto Piemonte, quella dove generalmente si incontrano i vini più convincenti e apprezzati.

Gattinara Osso San Grato 2014 – Antoniolo
Gattinara San Francesco 2013 – Antoniolo
Gattinara 2014 – Franchino

Vini che non hanno bisogno di presentazioni quelli di Antoniolo. L’Osso San Grato ha “beneficiato”, in un’annata non semplice, di una rigorosa selezione delle uve. Ancor meno bottiglie del solito a disposizione ma la qualità è eccellente: vino ferroso e rigoroso al naso, acido e sapido in bocca. Giovanissimo ma dalle grandi prospettive. Più godibile in questa fase il San Francesco 2013, con un frutto croccante che si stempera nel carattere sanguigno e ferroso di Gattinara. Franchino ha uno stile completamente diverso, il Gattinara 2014 appare rustico ma anche di grande dinamica e carattere, un vino che ci ha intrigato.

Gattinara Osso San Grato 2014 – Antoniolo

Bramaterra DOC
Le maggiori sorprese sono forse arrivate da questa DOC, con parecchi vini interessanti e da scoprire.

Bramaterra Balmi Bioti 2015 – La Palazzina
Bramaterra 2014 – Roccia Rossa
Bramaterra 2014 –
Le Pianelle

Tre vini diversi eppure accomunati da un sorso vibrante e fresco, con un finale liquirizioso e minerale. Da assaggiare.

Coste della Sesia DOC
I vini di questa denominazione, quando accompagnati dal nome del vitigno, sono ottenuti da almeno l’85% di quel vitigno con, a saldo, nebbiolo (spanna), croatina, vespolina.

Coste della Sesia Croatina 2015 – Noah
Coste della Sesia Nebbiolo Vallelonga 2016 – Fabio Zambolin

La Croatina di Noah è ottenuta da vecchissime vigne di croatina ancora allevate alla maggiorina, il vino che ne deriva è sorprendente, gustosissimo con delle note di sangue e ferro ed un tannino croccante che chiamano una bella costata. Fabio Zambolin è invece una microazienda di cui scommettiamo che sentiremo parlare ancora. Il nebbiolo Vallelonga 2016 è semplicemente delizioso, un Lessona mascherato.

Lessona DOC
In questa denominazione abbiamo incontrato con maggior frequenza i vini più convincenti.

Lessona Pizzaguerra 2015 – Colombera&Garella
Lessona 2014 –
Noah
Lessona 2013 –
Sella
Lessona San Sebastiano alla Zoppo 2010 –
Sella

Abbiamo trovato vini mediamente più approcciabili rispetto ai Gattinara, ad esempio, con una maggior componente fruttata e floreale e acidità meno aggressiva. Vini che però non sono per nulla facili o banali sia chiaro! San Sebastiano allo Zoppo 2010 è forse il vino di questo filotto che ci ha colpito di più, ancora giovanissimo ma di grande classe.

Boca DOC
I vini di Boca devono essere ottenuti da nebbiolo (dal 70% al 90%) con vespolina e uva rara (bonarda novarese) a completare il blend.

Boca 2015 – Barbaglia

Vino in cui convivono un naso minerale e sanguigno con un sorso gustoso e appagante. Durerà a lungo ma si beve ottimamente già ora.

Boca 2015 – Barbaglia



Nuovi arrivi dal Trentino

Domenica scorsa, 24 marzo, durante la seconda edizione di Vinifera, evento dedicato ai vini artigianali dell’Arco Alpino, si è tenuto un interessante incontro – “Nuovi vignaioli, uno sguardo sul futuro del sistema vitivinicolo del Trentino Alto Adige” – dove si è parlato in particolare di giovani che hanno interrotto la tradizione familiare di conferitori di uve a grandi aziende o/e cantine sociali e hanno deciso di vinificare ed imbottigliare il frutto del proprio lavoro.
I concetti chiave sono stati: senso di appartenenza, legame col territorio e voglia di percorrere strade nuove dando valore alle proprie radici.

Klinger

Ho avuto la fortuna di conoscere tre di queste realtà: una, sera stessa del convegno, nella caneva dei fratelli Cobelli: i ragazzi della cantina Klinger ci hanno fatto assaggiare in anteprima assoluta i loro tre vini freschi
freschi di… etichettatura: ottima la Nosiola da vecchie vigne.

Cantina Resom

Il giorno successivo ho conosciuto l’azienda dei fratelli Moser, cantina Resom (il loro cognome al contrario): tante ottime degustazioni in vasca e in botte e soprattutto belle le parole del più giovane dei fratelli, Luca: “sono nato in vigna ma sono cresciuto con il sogno di fare il vino che volevo io, dalle mie uve.”

Cantina Ress

L’ultima realtà, cantina Ress, è attiva da circa un anno con due espressioni di Trento DOC: un Rosè, dedicato alla loro mamma, e un Blanc de Blancs, che abbiamo assaggiato nella loro cantina, una grotta naturale dove affinano a lungo gli stessi spumanti.

Insomma, dalle parole ai fatti, da un giorno all’altro 🙂

Alessandra Gianelli
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Noir o nero, purché sia pinot

Oggi ti racconto di una degustazione tra amici il cui tema era, genericamente, “pinot noir o pinot nero”. La supremazia francese per il vitigno in questione non era in discussione, ma è sempre stimolante mettersi in gioco bevendo alla cieca per apprezzare al meglio le sfumature del pinot nero.

Ecco cosa abbiamo bevuto:

Oltrepò Pavese Pinot Nero “Giorgio Odero” 2012 – Frecciarossa

Azienda storica e rappresentativa dell’Oltrepò, anche Frecciarossa si cimenta con il pinot nero. Abbiamo assaggiato il Giorgio Odero 2012 che si presenta al naso su toni di frutta rossa ben matura, un cenno vegetale e poi, dopo qualche minuto di assestamento, arrivano anche le erbe aromatiche. L’ingresso in bocca è piuttosto caldo, lo sviluppo è in ampiezza anche se arriva alla chiusura abbastanza rapidamente. La bocca resta appena amara.

Plus: vino interessante ed espressivo, ha tenuto molto bene nel bicchiere
Minus: un guizzo acido in più avrebbe di certo aiutato, così come una maggior articolazione al sorso.

Südtirol Alto Adige Pinot Nero “Villa Nigra” 2015 – Colterenzio

Colterenzio è una realtà cooperativa da più di 1,5 milioni di bottiglie. Tra le oltre 30 etichette in gamma anche la selezione di pinot nero Villa Nigra. Il vino ha un naso un po’ sfocato che si dipana tra note di caramella al lampone, qualche tocco boschivo e uno straccio bagnato che va e viene. Ma soprattutto la bocca delude: stretta, senza progressione e corta.

Minus: vino poco fine al naso e cortino in bocca, da rivedere.

Vougeot 1er cru “Les Cras” 2015 – Domaine Philipp

A memoria non ricordavo un Les Cras a Vougeot, ma il libro di Armando Castagno “Borgogna, Le vigne della Côte d’Or” viene in aiuto in qualche modo giustificando la dimenticanza. In Côte d’Or sono almeno 15 le vigne che portano questo nome (che deriva da crai e fa riferimento al suolo formato da sassi bianchi). L’affinamento in legno copre un po’ il primo naso che è speziato, poi esce il fruttino rosso, un tocco di incenso e china, la scorza d’agrumi… Bocca soddisfacente come presenza e sviluppo, è forse un po’ calda ma saporita e pulita in chiusura.

Plus: vino non straordinario ma sfaccettato e saporito
Minus: legno ancora ben presente sia al naso sia in bocca che non risulta ancora del tutto equilibrata.

Bourgogne 2005 – Domaine Robert Chevillon

Chevillon ha bellissime e vecchie vigne tra i migliori premiers crus di Nuits-Saint-Georges. Questo Bourgogne 2005 ha un naso appena evoluto ma ancora molto affascinante: spezie, sostanze psicotrope, ribes… La bocca è stupendamente risolta, saporita e sapida.

Plus: vino di grande fascino, perfetto nella sua semplicità. All’apice.

Bonnes Mares Grand Cru 2009 – Domaine Bart

Ed eccolo il grand cru della serata che si esprime con un naso limpido, luminoso e vivace di spezie e fruttini rossi che richiamano immediatamente la Borgogna. La bocca ha un’acidità ben presenta che accompagna lo sviluppo del vino che risulta succoso. Chiusura sapida e molto persistente.

Plus: vino che coniuga alla perfezione eleganza e complessità, facilità di beva e sinuosità.

Gevrey-Chambertin 1er cru “Les Goulots” 2004 – Domaine Fourrier

Annata davvero difficile la 2004 in Borgogna. I pinot noir ne risultano spesso vegetali con note olfattive che in casi non infrequenti arrivano persino a richiamare l’olezzo delle cimici… Domaine Fourrier se la cava invece piuttosto bene e ci regala un naso di frutta chiara, accompagnato da un tocco vegetale appena accennato, poi spezie e rose. Il sorso è “rilassato”, in questa annata l’evoluzione comincia a sentirsi anche se, pur risolta, la bocca è elegante e piacevolmente sapida.

Plus: considerando l’annata in questione non si poteva chiedere di più.

Diego Mutarelli
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Albana macerate, il nuovo ma antico spirito dell’Albana

Da oggi Vinocondiviso si arricchisce dei contributi di Andrea, degustatore di lungo corso e di vaste vedute: vini naturali e vini classici, vini artigianali e territoriali. I gusti e l’apertura mentale di Andrea non conoscono confini né barriere ideologiche. Questo è il suo primo post. 

Interessante e rara degustazione, almeno nel contesto milanese, di cinque Albana di Romagna (con una eccezione bolognese) vinificati in rosso, cioè con una macerazione sulle bucce per estrarre più materia e tannini dall’uva. Si inseriscono nella attuale moda degli Orange Wines ma, a nostro avviso, mantengono una loro specificità ed una marca data dal vitigno e dal territorio.

L’Albana è un’uva “potente” grappoli molto grandi e piuttosto spargoli che portano acini molto ricchi di materia, sia fruttata sia tannica. La macerazione non snatura il profilo aromatico del vino, lo arricchisce in intensità ed ampiezza, almeno nella maggioranza dei casi.

Albana macerata
Le Albana di Paolo Francesconi

Veniamo alla degustazione:

Arcaica 2013Paolo Francesconi

Macerazione di circa un mese. Colore dorato intenso, naso che ti accoglie con balsamicità, crema di menta, erbe aromatiche, terroso e liquirizia lieve, si intuisce la sapidità che accompagnerà il sorso, il quale è tannico, di acidità molto vivace, e al primo impatto un po’ “scodante” e scontrosa ma che, con il tempo nel bicchiere, si ricompone per far emergere la sapidità ed i ritorni balsamici di menta e rosmarino. Ottima tenuta nel bicchiere, ancora integro dopo circa due ore.

Albana
Albana

Mezzelune 2015 – Ca’ dei 4 Archi

Macerazione per un paio di settimane scarse (dal 2016 saranno 55 giorni). Già dal colore, un dorato luminoso, si intuisce un vino fine ed elegante, ed è così. Un mazzo di fiori bianchi e gialli ti accoglie al naso, accompagnato da frutta gialla dolce, che con l’aerazione verranno affiancate da note di miele e da sentori di sasso bagnato. In bocca è elegante, preciso, pulito, la frutta ed il miele prendono la scena, probabilmente il vino ha un po’ di zucchero residuo, accompagnate da un’acidità lieve e finissima e da un ritorno di sale e miele di castagno. Anche lei tiene senza problemi il tempo nel bicchiere, non si scompone e vira su note più terrose ad accompagnare la dolcezza.

Fricandò 2013 – Al di là del fiume

Macerazione tra 2 settimane e tre mesi, in vasca o anfora. Si presenta con un colore intenso, quasi ambrato. Il naso è caldo, burroso, ci sento una nota leggera di grasso di prosciutto, ma anche agrume, spezie aromatiche, liquirizia dolce, albicocca, buccia di banana. Una varietà di frutto che si riflette in bocca, dove tornano i frutti, con anche la nocciola, ma che non dimostra grande mobilità, un sorso un po’ statico che si accentuerà con il tempo nel bicchiere, quando il vino si siede un po’ troppo.

Gea 2013 – Vigne di San Lorenzo

Macerazione di circa un mese. Colore ambrato scuro, sembra un vermut, ed anche al naso si presenta con spezie, nocciole, fiori secchi, caramella d’orzo, insomma un profilo sia da vino sia da vermut… Il vino al naso è comunque inquieto, si inseguono le note dolci e quelle speziate, la polvere di caffè, la caramella toffee. In bocca è ancora più inquieto, l’acidità e la dolcezza non hanno alcuna voglia di mettersi d’accordo, inizialmente, e scodano da tutte le parti, la lingua viene grattata da una sensazione ruvida di polvere di caffè. Col tempo la bocca si raffina, l’acidità si ingentilisce, il frutto e i fiori secchi tornano a farsi vivi e si mantengono nel tempo.

Antiqua 2016 – Paolo Francesconi

Vinificazione e macerazione in anfora per 5/6 mesi. Colore oro giallo delicatissimo, qui l’anfora ha schiarito il colore rispetto all’Arcaica. Il vino si presenta di grande finezza, composto, floreale, fieno caldo, infusi di erbe, roiboos. Note sapide e minerali emergono con l’aerazione, insieme a dolci sensazioni di frutta chiara, la buccia dell’albicocca, il ribes bianco. Un naso da restare lì incollati, finissimo e mobile. In bocca è ancora di più, una integrazione perfetta di finezza, intensità, salinità, morbidezza. Impossibile definire note dominanti, è una sinfonia. Il retrobocca è fin carnoso e roccioso, come dei fiori cresciuti su una parete di roccia. Vino oltre gli schemi di macerazione o vinificazione classica, riunisce il meglio di entrambe per questo vitigno di grandissime potenzialità.

Andrea D’Agostino

Ribera del Duero Vega Sicilia Unico 1981

E’ raro, ma a volte capita, che ad una degustazione di ottimi vini ve ne sia uno che si impone con la sua classe superiore al punto da far dimenticare tutti gli altri, letteralmente eclissati dalla luminosa grandezza del vino in questione. Quando poi il vino si chiama “Unico”, pensi che tutto sommato il suo nome se lo sia meritato.

Ribera del Duero Vega Sicilia Unico 1981
Vega Sicilia “Unico” 1981

Siamo nella Ribera del Duero, nella Spagna centro settentrionale. E’ qui che viene fondata, nel lontano 1864, sulla sinistra orografica del fiume Duero,
Pagos de la Vega de Santa Cecilia, oggi nota a tutti come Vega Sicilia.
Vega Sicilia Unico è il più noto vino spagnolo e universalmente riconosciuto come uno dei più grandi vini rossi del mondo.
Inizialmente il vino ero ottenuto in prevalenza da vitigni bordolesi, solo in tempi relativamente recenti la quota tempranillo è diventata maggioritaria (80%) con un saldo di cabernet sauvignon a completare l’uvaggio.

Vino rosso dal più lungo affinamento al mondo (si arriva a 10 anni tra barrique, tonneaux e vetro) ha una straordinaria capacità di evoluzione, mostrando non solo doti di longevità e tenuta, ma persino di miglioramento con il passare dei decenni.

Ribera del Duero “Unico” 1981 – Vega Sicilia
Bellissimo color rubino integro, non certo luminoso ma vivace.
Naso che alla cieca ti porta a Bordeaux con tabacco e note balsamiche, ma la dolcezza di un fruttino scuro ancora croccante (mirtillo) ravviva il quadro.
L’olfatto è estremamente mutevole, con il passare dei minuti nel calice si susseguono note di corteccia, caramello, sangue che si mescolano a fieno e fiori appassiti.
La bocca è sferica, ovvero ampia e dolce, riempie il cavo orale con grazia. L’elegante calore alcolico è perfettamente funzionale allo sviluppo del sorso, che risulta ferroso e saporito, accompagnato da un tannino dolce e da una lunghissima chiusura sapida.
Vino di un’armonia incredibile, non si avverte alcuna spigolosità al sorso eppure il vino è di magnetica personalità.

Per la cronaca: la 1981 non è neppure una tra le migliori annate.

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Gli altri vini della serata, relegati senza colpa al ruolo di comprimari?
Eccoli!

  • Sancerre “Clos La Néore” 2015 – Vatan
  • Il Guercio 2016 – Tenuta di Carleone
  • Chianti Classico Riserva 2010 “Caparsino” – Caparsa
  • Vigorello 1990 – San Felice (buonissimo!)
  • Pomerol 1996 – Chateau La Conseillante
  • Chambolle-Musigny 2007 – Ghislaine Barthod
  • Friuli Colli Orientali Pinot Nero 2016 – Le Due Terre
  • Brunello di Montalcino 2013 – Le Chiuse
  • Champagne Grand Cru 2008 – Camille Savès

Due vini naturali a confronto

Oggi ti parlo di due vini del filone cosiddetto “naturale”, ovvero vini prodotti da vigneron che hanno un approccio non interventista in vigna ed in cantina.
Quindi vendemmie manuali, condotta della vigna con criteri biologici o biodinamici, rinuncia a pesticidi di sintesi, erbicidi o insetticidi.
In cantina si opta per fermentazioni spontanee senza aggiunta di lieviti o enzimi, senza il controllo delle temperature, rinunciando ad additivi e correttori, e limitando il più possibile l’utilizzo di solforosa, che comunque in imbottigliamento è consentita.
Insomma, il controllo (in tutte le sue forme) nella filosofia naturale è visto come un’azione che toglie autenticità – potremmo dire verità – al vino, che deve invece rispecchiare, costi quel che costi, il territorio ed il millesimo di provenienza.

I risultati?
A volte straordinari – possono definirsi naturali (prima che questo termine avesse il significato “politico” che assume oggi) – molti dei migliori vini del mondo.
Altrettanto spesso però i vini risultano poco aggraziati, spigolosi, l’olfatto può presentare note animali o la pungenza della volatile.
Al di là delle buone intenzioni insomma, come sempre, bisogna saper distinguere e valutare senza pregiudizi ma anche senza partigianeria.

Inizio a raccontarti di un vino della maison Ligas, azienda vitivinicola che si trova nel nord della Grecia, in Macedonia. Ligas è senz’altro uno dei riferimenti della filosofia di vino naturale in Grecia, dichiara di ispirasi
persino ai principi della permacultura di Fukuoka e della sua “agricoltura del non fare”.

Assyrtiko 2017 – Maison Ligas

Vino vinificato con macerazione sulle bucce in acciaio e poi affinato sia in acciaio sia in barrique usate (da Selosse). Nessuna aggiunta di solforosa.

Il vino si presenta giallo dorato luminoso e trasparente.
Primo naso sul leggero idrocarburo, a seguire alghe, scorza d’arancia, fiori bianchi e tanta macchia mediterranea. Poi ancora sensazione marine e di bergamotto.
Ingresso in bocca brusco, decisamente secco ma di una certa ampiezza. Lo sviluppo è piuttosto rapido con tannino percepibile e finale piuttosto alcolico e un po’ troppo amaro (erbe amare).

+ vino decisamente interessante al naso, con dei richiami marini e agrumati di grande finezza

– irruente in bocca, avrei preferito uno sviluppo meno rapido e più graduale. La chiusura è furiosamente sapida (plus) ma anche piuttosto amara

L’altro vino di cui ti parlo viene invece dalla Spagna, una Spagna “minore” dal punto di vista vitivinicolo, la regione della Mancia.
L’azienda si chiama Bruno Ruiz, 65 gli ettari di proprietà condotti in regime biodinamico. Parco vigne decisamente vecchio e dedicato a vitigni autoctoni come Tempranillo, Tinto Velasco e Airén.

Airén ‘Pampaneo Ecologico’ 2017 – Esencia Rural – Bruno Ruiz

Vino macerato 2 mesi in acciaio da viti ad alberello di oltre 100 anni.

Il colore del vino richiama l’ambra.
Olfatto spiazzante e complesso: agrumi, panpepato, erbe officinali, spezie…una girandola di profumi che si inseguono e cambiano di continuo.
Al palato è molto intenso, saporito, salato, con progressione entusiasmante fatta di leggerissima astringenza, noti dolci/amare, acidità vivacissima.
Chiude con ottima persistenza su ritorni di caramella al rabarbaro.

+ Vino complesso e divertente, da scoprire ad ogni sorso e da seguire in un crescendo di sorpresa.

+ Originale e spiazzante ma godibilissimo

ALSAZIA: un prezioso mosaico enologico nel cuore dell’Europa (2/2)

Prosegue il racconto con la seconda puntata del viaggio in Alsazia di Chiara, se non hai ancora letto la prima parte la trovi al seguente link: Alsazia – un prezioso mosaico enologico (1/2).

Passeggiando, al fresco, tra i filari...
Passeggiando, al fresco, tra i filari…

Giusto il tempo di mettere un brezel nello stomaco e si riparte per il prossimo appuntamento: la cantina Cle De Sol. Siamo a Ribeauville. Simon, ci aspetta sulla porta, è un giovane vigneron appassionato ed innamorato di vino e del suo territorio, oltre che di motori. Un’altra piccola realtà in cui la sala degustazione si confonde con il magazzino, ma è proprio questo il fascino: si entra nel cuore della vita di questi produttori. Le pareti della stanza sono ricoperte di argilla, la stessa argilla presente nei suoi vigneti.
I vini di Cle de Sol sono un elogio alla natura ed al suo tocco, la filosofia di Simon è quella di intervenire il meno possibile sui processi di vinificazione, motivo per il quale le annate si susseguono in un racconto storico. In alcuni anni abbiamo Gewurztraminer dai profumi dolci al naso ma secchissimi alla bevuta, in altre annate il residuo zuccherino è piacevolmente presente, questo dipende anche dal comportamento dei lieviti indigeni. Non parlo certo di processi di vinificazione lasciati al caso, ma sicuro di una gran bella interpretazione di terroir e variabilità delle annate.

Cle De Sol
Cle De Sol

Oltre ai vitigni classici alsaziani, presso Cle de Sol, comincio il mio percorso di “innamoramento” dei Pinot Noir alsaziani. Nelle annate più recenti troviamo Pinot Noir scattanti, esili, di vibrante acidità; andando indietro nelle annate guadagnano in complessità, corpo e tannino che si fa più presente ma, al tempo stesso, più accattivante. Cle De Sol è una realtà giovane che vale la pena tenere sott’occhio. Producono anche degli ottimi succhi, veri e propri nettare di mele.

Il giorno seguente ci affidiamo ad una solida realtà alsaziana conosciuta in tutto il mondo, Domaine Marcel Deiss a Bergheim, una delle cantine che ha fatto la storia dell’Alsazia vitivinicola nel mondo.

Chez Marcel Deiss
Chez Marcel Deiss

Qui la sala degustazione è un elegante salotto con poltroncine e tanto di schermi su cui poter visualizzare la mappa dei territori e dei terreni. In un’ora di degustazione si viene trasportati in una full immersion sul territorio alsaziano. La scelta di questa maison è quella di non utilizzare vitigni in purezza ma blend già in vigna, infatti, lo scopo ultimo (ed a mio parere molto nobile) è quello di far capire come i medesimi vitigni possano dare risultati straordinariamente diversi a seconda del cru nel quale vengono coltivati (N.d.R.: per approfondimenti leggi cosa scrive Deiss sulla
complantation). Quindi passiamo da vini di grande aromaticità: fiori, frutti e morbidezze a vini di mineralità quasi graffiante e straordinaria complessità. Vengo folgorata da due etichette in particolare: Gruenspiel 2013, nasce sul deposito di un torrente e regala sentori di polvere da sparo, cipria ed una grande potenza alcolica che si integra perfettamente nel corpo solido di questo vino. Altenberg, Gran Cru 2011; un racconto di aromaticità, freschezza e lieve sapidità; un vino da dimenticare in cantina (se si riesce) per farsi sorprendere dall’invecchiamento.

Concludiamo con la cantina di Paul Ginglinger, al centro del villaggio di Eguisheim. Le sue vigne sorgono sui Grand Cru Eichberg e Pfersigberg. Degustiamo Riesling secchi e minerali, che ancora una volta preferisco alla versione abboccata. Mi emoziona il suo Gerwurztraminer in cui il residuo zuccherino è perfettamente bilanciato da un lievissimo tannino che solletica le gengive. Con Michel Ginglinger degusto i Pinot Nero che più mi sono piaciuti in questo viaggio; vengono affinati in vecchie barrique ereditate dai cugini di Borgogna. Sono vini scattanti nella freschezza, ma ricchi sia al naso che nella rotondità del corpo, sentori ematici e di frutto rosso tipici del Pinot Noir ed una sorprendente nota di castagna, che confesso di aver ritrovato in diversi Pinot Noir di questa regione.

Non sarebbe stata un’esperienza così coinvolgente se non avessimo accompagnato tutti questi vini alle specialità alsaziane: doveroso citare il foie gras (canard ed oie) in perfetto abbinamento con un Gewurztraminer abboccato, le deliziose terrine di carne ben supportate da Riesling d’annata, il tipico Choucroute (crauti aromatizzati al ginepro con salsiccia, stinco di maiale e prosciutto) che esige un bel Pinot Nero. La notte di capodanno non potevamo non brindare invece con un crémant d’Alsace: le morbide e sensuali bollicine alsaziane che abbiamo deciso di abbinare ad una grandiosa assiette di formaggi francesi.

Suolo alsaziano
Suolo alsaziano

Difficile riassumere e cercare di mettere ordine in tutte queste esperienze di degustazione, l’Alsazia è un mosaico di straordinaria varietà per vitigni e terroir; sicuramente non dimenticherò i sentori stuzzicanti di frutti tropicali, i profumi pastosi di cipria e roccia, le acidità custodi del futuro di questi vini, e il residuo zuccherino di misura e grande eleganza, quindi…au revoir Alsace!

Chiara EM Barlassina
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ALSAZIA: un prezioso mosaico enologico nel cuore dell’Europa (1/2)

Alsazia
Alsazia

Quando annunciavo con entusiasmo del mio viaggio in Alsazia vedevo i volti stupiti dei miei interlocutori: “Si trova in Germania?” oppure “Dov’è l’Alsazia?”. Nulla da eccepire, per chi non è un wine addicted può essere una regione europea come tante altre; ma anche per i più appassionati la notorietà dell’Alsazia soffre un po’ la concorrenza delle ben più note vicine di casa: dalla Borgogna, allo Champagne.
Ho scelto l’Alsazia come mio primo viaggio enologico in Francia basandomi su un presupposto errato, ma tante belle scoperte paiono essere nate da ipotesi non corrette. Infatti, non mi sentivo ancora pronta per le grandi regioni enologiche francesi: troppo complesse, ampie, lontane e forse ancora troppo poco studio da parte mia. Insomma, L’Alsazia mi pareva essere più alla mia portata, mi sbagliavo. Ma sono contenta di essermi fatta smentire e ora mi viene l’acquolina in bocca dal desiderio di scoprire ed approfondire ancora di più questo magico territorio.

La Route des Vins d’Alsace è una lunga striscia del territorio francese, di circa 120 km, incastonata tra il fiume Reno ed i monti Vosgi, a stretto contatto con il confine tedesco (territorio al quale è appartenuta dagli anni ’70 dell’ottocento fino al 1918, subendo inoltre il giogo nazista nel periodo della seconda Guerra Mondiale). La cultura del territorio alsaziano è quindi un bellissimo “blend” di Francia e Germania e questa ricchezza si riflette anche nel carattere dei vini che mostrano raffinatezza francese e carattere teutonico.
Un terreno antico, di straordinaria varietà orografica, quasi un mosaico le cui tessere sono: granito, scisto, arenaria e terreno vulcanico verso la montagna; calcare e argille sotto le colline dei Vosgi. Il clima è continentale con forti escursioni termiche annuali e bassi livelli di precipitazioni. A distanza di poche centinaia di metri passiamo da terreni rossastri a trama grossolana a terreni cupi e fini.
È un rincorrersi di piccoli paesini fatati, le corti delle piccole case a graticcio dalle tinte pastello custodiscono le caves che sono parte del cuore pulsante dell’economia di questo territorio. Si passa dalle grandi maisons ai piccoli/piccolissimi produttori che realizzano straordinari vini quasi nei garage delle loro abitazioni.
Gli alsaziani sono solari, accoglienti ma la cosa che in assoluto mi piace di più è che custodiscono la loro tradizione vitivinicola come un vero tesoro, di cui portano l’orgoglio stampato sul petto.

Scorcio d'Alsazia
Scorcio d’Alsazia

Abbiamo speso quattro giorni (pochissimi per approfondire il territorio) ripercorrendo da nord a sud, per decine di volte, la Route des Vins D’Alsace, tante visite in cantina e tante altre che non è stato possibile realizzare. Vi tedierei a raccontarle tutte, soprattutto non potendo accompagnare la narrazione con un calice; ecco quindi una selezione di piccoli e grandi cantine.

La gamma in assaggio di Kamm
La gamma in assaggio di Kamm

Il primo appuntamento è con la cantina Jean-Louis et Eric Kamm, io ed Eric, erede vigneron della cantina, ci siamo rincorsi sui social per diversi giorni e finalmente troviamo il momento giusto per la visita.
La cantina Kamm è una piccola realtà, in una corte del paesino di Dambach-la-Ville. La sala degustazione è una stanzetta spoglia, riscaldata da una piccola stufa, alle pareti tutti i loro premi e qualche souvenir dell’Alsazia. Il percorso di degustazione che scegliamo è quello sui vini naturali. Degustiamo Auxerrois, Pinot Gris, Gewurztraminer e Riesling. Il tratto comune dei vini Kamm è la bella mineralità rocciosa e le acidità spinte che proiettano i vini nel futuro. Il residuo zuccherino, a differenza di altre realtà alsaziane, è presente in minima parte. Le bottiglie che degustiamo sono un susseguirsi di stupore, due mi colpiscono in particolare: il Pinot Gris Terre de Volcan che, come richiama il nome, porta con sé dei bei sentori tipici del terreno vulcanico: cenere e pietra focaia; un corpo rotondo, ricco ed una bella persistenza in accordo con il naso. Il Riesling Frankstein è il vero principe della cantina, la sua denominazione di Gran Cru si ritrova in un’eleganza superiore; profumi raffinati di frutta esotica (non s’intuisce l’idrocarburo) ed un grande equilibrio in bocca, guidato da una bella freschezza.
Per alcune etichette degustiamo in parallelo la versione “non nature”: vini di egual valore, ma un po’ più “addomesticati”, personalmente preferisco la franchezza delle loro versione naturale.

Chiara EM Barlassina
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CONTINUA…

Aglianico, Aleanico, Ellenico: tutte le sfumature della DOCG Taurasi

Aglianico, ai tempi Eleanico o Ellenico, vitigno portato nel sud Italia dai Greci intorno al VII secolo a.C. Si tratta di un vitigno tardivo, la vendemmia avviene generalmente ad ottobre. L’aspro territorio irpino presenta temperature rigide che rendono la coltivazione di questa varietà difficile nella gestione. Fu proprio l’habitat inospitale dell’Irpinia che riuscì a tardare l’attacco della fillossera, che nell’800 perversò in Italia ed Europa decimando vigne e raccolto. Questo garantì una grande produzione in un momento storico in cui la viticultura europea soffriva ed infatti, parte di questa produzione, veniva portata anche in Francia grazie all’antica ferrovia del vino.

Taurasi DOCG – foto modificata dall’originale di Campania Stories

Fanno parte della DOCG Taurasi 17 comuni, una netta distinzione delle zone di produzione è data dal fiume Calore.

  • Nord-ovest del fiume: comuni di Venticano, Torre le Nocelle, Pietradefusi. Qui è favorita l’esposizione a sud, la zona è più calda e la maturazione arriva a metà ottobre.
  • Ovest: terre del Fiano, comuni di Montemiletto, Montefalcione, Lapio, San Mango sul Calore. Clima continentale, con grandi escursioni termiche.
  • Centro Ovest sulla riva del Calore: comuni di Taurasi, Mirabella, Bonito, Sant’Angelo all’Esca, Luogosano, Fontanarosa. Zona fresca e boschiva, terreni pietrosi e calcarei, vini di eleganza, acidità e potenza tannica.
  • Sud, alta valle del Calore: Montemarano, Castelfranci, Paternopoli, Castelvetere. Decise escursioni termiche, maturazioni lente, maggiore alcolicità, tannino e necessità di maggiori affinamenti.

Il suolo è prevalentemente composto da argilla e calcare, nello strato più superficiale i sedimenti sono invece di origine vulcanica (tufo, pomice, lapilli) e questo conferisce al vino la grande potenza che conosciamo. Anche le forti escursioni termiche contribuiscono a forgiarne il carattere.
Il disciplinare prevede 3 anni di invecchiamento di cui almeno 12 mesi in botti di legno.
Il Taurasi è un vino da degustare con lentezza, stessa lentezza della vite per portare a maturazione il frutto e la lentezza dovuta negli affinamenti. Mettetevi comodi!

Taurasi: i vini in degustazione
Taurasi: i vini in degustazione
  • Taurasi DOCG Antico Castello, 2012. San Mango sul Calore. Colore fitto, cupo, opaco, privo di note granate. Al naso: ciliegia, polvere, cipria, una nota vegetale di geranio. In bocca l’acidità è spiccata, sul finale arriva la nota amaricante e la percezione della potenza alcolica. Lasciandolo nel calice si esprime in una bella nota agrumata e di affumicato.
  • Taurasi DOCG Sertura, 2012. Torre le Nocelle. Colore molto simile al precedente, al naso si intuisce una nota eterea di naftalina e poi legno umido. Ritorna la nota di polvere e sul finale poi l’amaretto. In bocca l’acidità è maggiore ed il tannino si fa più piccante; sulla persistenza una nota dolce da legno e maggiore speziatura di pepe. Lasciandolo nel calice amplia lo spettro olfattivo: la nota eterea si fa più incisiva e spuntano ricordi di profumeria.
  • Radici, Mastroberardino, 2014. Atripalda. Questo vino, di maggior brillantezza all’impatto visivo, presenta un naso completamente differente rispetto ai primi due Taurasi. Qui le note prevalenti sono di sottobosco, funghi, castagna e violetta. Torna l’affumicatura nel finale ed il tannino è più pastoso con maggiore capacità astringente. Lasciandolo riposare nel calice non evolve particolarmente lo spettro, rimanendo ancorato alle note di umidità e sottobosco. In bocca sulla persistenza esce la nota vanigliata dell’affinamento in barrique. Sicuramente questo vino sconta un po’ l’annata non favorevole. Mi piacerebbe riassaggiarlo in altre annate.
  • Fren, Stefania Barbot, 2013. Paternopoli. L’impatto olfattivo diventa nettamente più elegante e “croccante” con arancia sanguinella e frutto rosso. Ritornano le note di polvere, cipria ed il finale affumicato. In bocca conferma l’eleganza, l’acidità è perfettamente integrata e bilanciata da una bella sapidità. Il tannino è pepato e solleticante. Riposando nel calice spuntano note etere, plastiche.
  • Taurasi Riserva, Borgodangelo, 2010. Sant’Angelo all’Esca. Una linea olfattiva profonda e scura, si parte con delle note di dattero e caffè che trasportano fino al catrame ed alla rosa essiccata. In bocca il tannino è ruvido, di trama fine, la potenza alcolica è netta e balsamica. La persistenza chiude con note di melograno. La riserva si sente tutta nella complessità di questo vino.
  • Taurasi Riserva, Feudo Apiano, 2009. Lapio. Conclude il percorso facendoci ritrovare le ormai chiare sensazioni di cipria e castagna, la ciliegia qui diventa più amarena e ci stupisce con una bella nota di sigaro. Ritroviamo anche in questo caso dattero, cacao e fico. In bocca, complice l’età, l’acidità è più spenta e prevale la salinità.

La mia personalissima classifica vede al terzo posto proprio la riserva di Feudo Apiano, al secondo posto la fragrante eleganza di Stefania Barbot, al primo posto Sertura che ha dimostrato eleganza, potenza e la capacità di evolvere nel bicchiere senza spegnersi.

Oltre a voler approfondire ulteriormente questa straordinaria realtà vitivinicola voglio assolutamente assaggiare i fichi di San Mango, uno dei tesori agroalimentari della Campania.

Ringrazio in modo particolare Dalila Condello di Hic Enoteche per i contenuti sia teorici che dei calici.

Chiara EM Barlassina
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Minervois AOC, il cuore del Languedoc

Oggi ti porto nel sud della Francia, in Languedoc o meglio nella denominazione Minervois AOC.

Languedoc-Roussillon (credits: Briscoe Bites)
Languedoc-Roussillon (credits: Briscoe Bites)

Ci troviamo approssimativamente tra le note città di Narbonne e Carcassonne, l’appellation Minervois si estende da est a ovest per 60 km e da nord a sud per 20 km.
La AOC è piuttosto recente (1985) e conta quasi 4.000 ettari. Solo da qualche decennio però, grazie all’abbassamento delle rese e delle quantità prodotte, i vini si sono imposti all’attenzione dei degustatori.
Grenache, syrah, mourvèdre, cinsault, terret, picpoul, aspiran sono i vitigni a bacca nera in cui l’enofilo può imbattersi (spesso in uvaggio); in bianco invece troviamo grenache blanc, bourboulenc, maccabeu, marsanne, roussanne, vermentino…

Minervois AOC "Campagne de Centeilles" 2013 - Clos Centeilles
Minervois AOC “Campagne de Centeilles” 2013 – Clos Centeilles

Minervois AOC “Campagne de Centeilles” 2013 – Clos Centeilles

Il vino – cinsault quasi in purezza – si presenta con un bel rosso rubino chiaro di grande luminosità.
Naso subito pimpante, apre le danze un bel floreale (garofano) a seguire frutti di bosco aciduli (ribes) e maturi (mirtilli).
Dopo qualche secondo l’olfatto si rasserena su toni più dolci e terziari come la prugna ed il cacao.
La bocca in ingresso è decisamente succosa, sensazioni acidule di ribes e di frutta più matura mantengono il sorso dinamico e gustoso.
L’acidità, sempre in primo piano, è ben rintuzzata da alcol e tannini, che non perdono mai misura e compostezza.
Il finale è “dissetante” e sapido.

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