Beaujolais “Madame Placard” 2019 – Yvon Métras

Abbiamo già parlato più volte di Beaujolais su queste pagine. Lo rifacciamo oggi dopo l’assaggio di un vino che ci ha molto colpito. Si tratta del Beaujolais Villages di un produttore artigiano fondamentale per la zona: parliamo di Yvon Métras che per primo seguì, negli anni ’80, il manipolo di produttori naturali innovatori – Jean Foillard, Marcel Lapierre, Jean-Paul Thévenet e Guy Breton – che si dedicarono a produrre vini di qualità in un territorio allora dedito prevalentemente ai vini novelli a base gamay (il celeberrimo beaujolais nouveau). Per un sintetico approfondimento sulla regione leggi questo nostro post.

Métras segue i suoi 5 ettari di vigna dando vita a poche e contese bottiglie di Beaujolais Villages e Beaujolais Cru (Moulin à Vent e Fleurie). Abbiamo assaggiato il vino che non ricade in alcun cru e che è chiamato “Madame Placard”, annata 2019. Si tratta di un vino vinificato in cemento con macerazione semi-carbonica a grappolo intero, senza solfiti aggiunti.

Beaujolais “Madame Placard” 2019 – Yvon Métras

Colore rubino chiaro con riflessi porpora, la velatura rende la veste ancor più accattivante.

L’olfatto, dopo una iniziale e brevissima riduzione, si apre su una macedonia di fragole, ribes e lamponi, poi una nota floreale molto fine (violetta) e quindi, da ultimo, un’intrigante arancia sanguinella.

Il sorso è fantastico per dinamicità, freschezza e scorrevolezza, il vino non è per nulla banale però, anzi l’acidità solletica il palato ed accompagna un tannino a grana finissima appena accennato. La chiusura è sapida e di buona lunghezza su ritorni di ribes e arancia.

Ha retto bene l’abbinamento con un arrosto di pollo ma, potendo, provatelo con un bel pollo ruspante alla diavola!

Diego Mutarelli
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Manzoni bianco: il connubio perfetto tra il riesling renano e il pinot bianco

Oggi parliamo del vitigno Manzoni bianco che nasce negli anni ‘30 del secolo scorso per opera del Prof. Luigi Manzoni, Preside della Scuola di Enologia di Conegliano Veneto, una tra le più antiche ed importanti scuole del vino nel mondo. In quegli anni le ricerche in viticoltura erano concentrate sull’individuazione di nuovi vitigni con l’obiettivo finale di trovare varietà più resistenti alle malattie.

Il Professore decise di intraprendere la via dell’impollinazione dedicando anni di ricerche a generare nuovi vitigni impollinando i fiori di un vitigno con quelli di un’altra varietà. Le sue riconosciute competenze di agronomo e le sue conoscenze genetiche lo portarono a generare un numero elevato di “incroci” quindi di nuovi vitigni: nascono nuove varietà che possiedono il patrimonio genetico delle piante da cui sono stati generati ma che sono a tutti gli effetti nuovi vitigni. Nel suo impianto sperimentale il Professore creò l’incrocio 6.0.13, conosciuto e chiamato semplicemente Manzoni bianco, ottenuto incrociando riesling renano e pinot bianco e dove la serie di numeri sta a indicare l’appezzamento, il filare e la vite “incrociata”.

In degustazione presentiamo il Manzoni Bianco IGT Marca Trevigiana “Le Conche” dell’azienda Salatin. Ai piedi del’altopiano del Cansiglio, un altopiano prealpino tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, a cavallo tra le province di Belluno, Treviso e Pordenone in una zona vocata alla vite già dal XV secolo, nasce questo vino nobile e raffinato che prende il suo nome da una particolare conformazione del terreno: Le Conche.

Dopo qualche ora di macerazione a freddo il mosto viene separato dalle bucce a mezzo di una pressatura soffice. Una piccola parte affina in barrique mentre il resto in acciaio con lunga lisi sulla feccia fine.

Alla vista si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi leggermente dorati, il vino non è filtrato e quindi la leggera velatura che ti aspetti è ben visibile. All’olfatto è intenso e complesso, con note minerali, di panificazione e di frutta matura che fanno pensare all’albicocca, all’ananas e alla pesca gialla. In bocca ritroviamo l’intensità avvertita in fase olfattiva con un gusto avvolgente, sapido e con un finale lungo che richiama la frutta matura avvertita al naso. Si tratta di un vino di bella struttura, dal profumo delicato e intenso al tempo stesso, di discreta gradazione, dal gusto pieno, armonico, corposo, elegante e saporito.

Un vino in grado di accompagnare diversi piatti come minestre, risotti e zuppe e primi piatti a base di pesce. La sua struttura consente altresì l’abbinamento ai secondi piatti a base di carni bianche e pesce.

Però si può anche osare!

Propongo l’abbinamento con una pizza al formaggio “tipica ascolana” e salamino nostrano. Il vino in questo caso esalta la materia prima della pizza: il formaggio pecorino.

In chiusura si può affermare che il Manzoni bianco si difende molto bene tra due giganti della viticoltura della regione Veneto come la garganega, vitigno principale del Soave e la glera, vitigno del bel noto Prosecco.

Walter Gaetani

Tre vitigni e una pergola: 33/33/33 biodinamico campano da scoprire!

Oggi parliamo di un vino bianco decisamente originale, si tratta del 33/33/33, Campania IGT Bianco 2017 di Vallisassoli.

33/33/33 è un vino ottenuto da un unico vigneto di un ettaro allevato con il sistema di pergola avellinese, in cui convivono tre vitigni che in parti uguali – come suggerisce il nome del vino – confluiscono nel prodotto finale.

La scelta più spontanea è stata quella di vinificare insieme le tre varietà a bacca bianca simbolo della Campania, o meglio dell’avellinese: fiano, greco e coda di volpe.

Ci troviamo in Valle Caudina, in provincia di Avellino ma al confine con la provincia di Benevento, ed è qui che Paolo Clemente dedica tutte le sue energie a quella singola pergola di un ettaro piantata dal padre. L’azienda segue i dettami della biodinamica (certificazione Demeter). La fermentazione è spontanea, vinificazione in serbatoi di acciaio inox, nessuna chiarifica ma affinamento sulle fecce fini piuttosto prolungato. Poco più di 2.000 le bottiglie prodotte.

Il colore è un bel giallo oro antico. Il naso è molto intrigante, si susseguono macchia mediterranea, nocciola, castagna affumicata, nespola, il tutto accompagnato sullo sfondo da sentori marini di alghe/battigia.

In bocca il vino si muove agile, delicato, ma di grande personalità, i 13% di titolo alcolometrico sono perfettamente gestiti grazie ad una materia ricca ed equilibrata, in cui il lavorio delle fecce fini gioca un ruolo importante donando slancio e spessore al sorso. In chiusura la sapidità è molto netta (è il greco che gioca la sua parte) e i ritorni sono di frutta, roccia e mare.

Abbinamento territoriale azzeccato con una pasta, patate e provola affumicata.

Diego Mutarelli
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La potenza è nulla senza controllo: Cavariola 2015

Quando nel 1994 l’agenzia di comunicazione Young&Rubicam coniò lo slogan pubblicitario “La potenza è nulla senza controllo” non credo proprio immaginasse il successo di questo motto, diventato vero e proprio modo di dire.

Ho ripensato a quegli anni e mi è venuta in mente l’immagine, a suo modo innovativa e provocatoria, di Carl Lewis ai blocchetti di partenza sui tacchi a spillo, mentre degustavo l’Oltrepò Pavese Rosso Riserva Cavariola 2015 di Bruno Verdi.

Si tratta di un rosso fermo dell’Oltrepò ottenuto da un blend tipico del territorio, ovvero croatina (almeno 60%), barbera, ughetta di Canneto e uva rara. Cavariola è un vero e proprio cru, cioè una singola vigna dell’azienda Bruno Verdi con una pendenza media del 35% e conseguente disposizione dei filari a giropoggio. L’età delle viti è importante, con esemplari che superano agevolmente i 70 anni di età. In cantina il vino si ottiene con fermentazione spontanea in tonneaux, affinamento per 20 mesi in barrique e almeno 10 mesi in bottiglia.

Rosso rubino compatto con riflessi bluastri, fin dal colore appare giovanissimo. Olfatto ricco e variegato: confettura di more e mirtillo, cioccolatino Mon Chéri, cannella, chiodi di garofano, cuoio, sentori balsamici.

Bocca calda e morbida in ingresso, satura il palato di frutto scuro, cioccolato e spezie, il vino ha però ottima mobilità, con grip tannico presente accompagnato da una sorprendente freschezza. Si sviluppa senza strappi con un’ottima progressione che porta ad una chiusura lunga, rinfrescante e sapida.

Plus: vino vigoroso, alcolico (15,5%), potente eppure, come da incipit, “controllato”. La dinamica, l’energia e l’acidità supportano il sorso facilitandone la beva. Potrà evolvere molto favorevolmente, anzi consiglio chi lo avesse in cantina di attenderlo almeno un lustro.

Diego Mutarelli
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Qualche bella bottiglia assaggiata a Live Wine 2023

Sono ancora divertenti e didattiche le fiere del vino? I banchi di assaggio? I saloni enogastronomici?

La risposta è molto soggettiva naturalmente, e dipende anche dalla curva di esperienza che ciascun appassionato di vino sta attraversando. Quando si è alle prime armi ci si getta sugli eventi vinosi con entusiasmo bulimico, ci si esalta per la possibilità di assaggiare molte cose e conoscere i produttori e si corre volentieri il rischio di assaggiare tanto e capirci poco. Quando ci si fa più smaliziati ed esperti si tende a snobbare questi eventi per masterclass o degustazioni mirate. Da qui in poi le strade divergono: qualcuno inizia a bere solo per edonismo e si concentra su poche etichette dal “valore sicuro”, altri non rinunciano al piacere della scoperta, dell’incontro con nuovi produttori e tipologie di vino, sprezzanti del pericolo di imbattersi in vini poco interessanti, noiosi o imprecisi.

Dopo la mia visita al Live Wine 2023 di Milano, da quest’anno riservato ai soli operatori, la mia risposta alla domanda iniziale è dunque affermativa. Sì, alle fiere del vino si impara e ci si diverte ancora. A patto di lasciarsi coinvolgere, di essere capaci di accogliere la serendipità, la scoperta fortuita, che è pronta a sorprenderci tra i banchetti dei diversi produttori.

Di seguito ti racconto dei vini che mi hanno colpito di più, alcuni di questi di produttori che non avevo ancora mai provato.

L’azienda Agricola Caprera si trova in Abruzzo, tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e quello della Maiella a 400 metri s.l.m, in questo territorio oltre alla vigna alleva e custodisce grano, ulivi, bosco. Tra i vini assaggiati di questa azienda due sono quelli che mi hanno particolarmente colpito. L’ottimo Cerasuolo d’Abruzzo “Sotto il Ceraso” 2020, ottenuto da una vigna di 90 anni, vendemmiato la prima metà di ottobre e affinato in acciaio e tonneaux, è fine ed elegante, un cerasuolo di montagna che però pinotteggia nel suo incedere fresco e nel frutto rosso vivace, il sorso è succoso, vibrante, lungo e gustoso su ritorni di ciliegia e sale. Sorprende per finezza e leggiadria anche il Montepulciano d’Abruzzo “Le Vasche” 2020, tipologia che spesso eccede in tratti muscolari e alcolici, e qui invece è fresco ed equilibrato, ma sapido e di grande persistenza.

Non conoscevo l’Azienda Agricola Antonio Ligabue che in Valcamonica produce vini naturali senza aggiunta alcuna di solforosa. Tra i vini assaggiati mi ha stupito il Vino Rosso “Minègo” 2007, una barbera ultracentenaria che ha maturato 31 mesi in botti di 500 litri, integrità sbalorditiva, per un vino dal frutto vivo, dal sorso profondo e dall’incedere aristocratico. Di interesse anche il Vino Bianco “BLE” 2021, da petite arvine, che si propone con accattivanti sentori di pesca gialla e delicato vegetale, per uno sviluppo fresco e dinamico.

Istinto Angileri è un’azienda agricola di Marsala che non avevo mai provato e che ha presentato una gamma di alto livello, nessun vino men che esemplare. Dal Terre Siciliane IGP “Principino” 2021, un grillo di grande carattere da una vigna affacciata sul mare che integra perfettamente il suo generoso tenore alcolico (14%) in una materia ricca e stratificata, all’affusolato zibibbo secco Terre Siciliane IGP “ZETA” 2021, per arrivare al salatissimo Rosato IGP Terre Siciliane “Ro.Sa.” 2021 ottenuto dall’originale vitigno autoctono parpato.

Altra azienda siciliana di interesse, seguita dal medesimo enologo di Istinto Angileri, è Nuzzella. L’Etna Rosso “Selmo” 2020 è ottenuto da nerello mascalese dal versante Nord-Est dell’Etna, di grande piacevolezza pur se dal profilo austero che si dipana tra frutta rossa, erbe di montagna e rimandi minerali, sorso con più fibra che polpa, ottimo sviluppo e chiusura minerale.

Per chiudere torniamo al nord, in Valle d’Aosta, con la Maison Maurice Cretaz, produttore biodinamico che presenta una “rocciosa”, floreale e sapida petite arvine, si tratta del “Lie Banques” 2021, in rosso stupisce il “BOS Monot” 2019, un nebbiolo di montagna che sa di melograno, ribes ed erbe aromatiche, dall’impatto gustativo piacevolmente “elettrico”, dal tannino croccante e saporito.

Ebbene sì, alle fiere del vino si possono ancora fare belle scoperte, purché si sposi la filosofia di quel tale che disse “preferisco avere una mente aperta alle novità che una mente chiusa dai dogmi.”

Diego Mutarelli
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La Cantina di Enza a salvaguardia del vitigno coda di volpe rosso

Oggi parliamo di Enza Saldutti, titolare dell’azienda La Cantina di Enza, e del suo vino “Volpe rossa” prodotto dal vitigno coda di volpe rosso, varietà a rischio estinzione in Irpinia che Enza protegge e difende dall’oblio continuando a vinificarla in purezza.

Ci troviamo nel comune di Montemarano che sorge nell’area della Valle del Calore. È un borgo di quasi 3.000 abitanti, situato a 820 metri sul livello del mare e a 25 km da Avellino. È una zona molto vocata per il maestoso vitigno aglianico che in queste terre ha trovato il suo terroir d’elezione riuscendo a offrire il meglio di sé e a sprigionare la sua potenza tannica.

È qui che Enza, donna determinata e decisa come il suo territorio, sta lavorando e portando avanti una passione che è soprattutto tanta fatica e lavoro in vigna. Il terreno infatti, situato ad una altitudine di 400 mt, è di natura argillosa e richiede molte ore di lavoro per un suolo unico e che ha spesso bisogno di cure e attenzioni particolari. Stiamo parlando di un vino biologico e naturale e, riportando la citazione di un lavoratore della terra di altri tempi di mia conoscenza, diviene vitale ascoltare e captare tutti i segnali che il terreno e il vigneto può mandarci: “la vigna non può parlare”…mi diceva sempre…”sei tu che devi capirla!”

Prima di passare alla degustazione un cenno al coda di volpe rosso, una varietà a rischio estinzione in Irpinia dove i vigneti sono in genere condotti nelle forme tradizionali a starseto (pergola avellinese) oppure, come nel caso in questione, con il sistema “vecchia raggiera”.

Coda di volpe, deriva dal latino “Cauda Vulpium”, per la caratteristica forma del grappolo lunga, affusolata e compatta che ricorda appunto la coda della volpe. Le viti sono a piede franco quindi non innestate ed hanno un’età media di 70 anni. La data di inizio vendemmia si colloca verso metà novembre e può protrarsi sino ai primi giorni di dicembre con una modalità manuale di raccolta delle uve in cassette. La macerazione sulle bucce dura 15-20 giorni e una particolare attenzione viene dedicata alla fase di estrazione poiché è ricca fenoli.

In degustazione presentiamo il Volpe Rossa 2014.

All’esame visivo si presenta di un colore rosso rubino intenso con riflessi aranciati. Al naso si avvertono note di frutti rossi, amarena e fragola ma anche di spezie e vaniglia con delle note di lavanda che impreziosiscono di un tocco floreale il bouquet. Al palato si può apprezzare un sorso caldo e avvolgente con una trama tannica di tutto rispetto e un’acidità che ben si bilancia con l’importante tenore alcolico.

La sosta in barrique di rovere francese (24 mesi) si indovina dal netto richiamo alle spezie in fase di assaggio, con evidenti note balsamiche e di macchia mediterranea con il mirto in evidenza. Il tannino è vibrante con un finale lungo di matrice speziata (chiodo di garofano).

L’esiguo numero di bottiglie prodotte, 250 circa, ci fanno pensare che questo nettare rappresenti non solo l’identità di una cantina e di un produttore ma la difesa di una memoria storica patrimonio di tutta l’Irpinia.

Complimenti ad Enza Saldutti!

Walter Gaetani

Faccia a Faccia: riesling

Qual è il modo migliore di raccontare un vino? Ce ne è per tutti i gusti: schede tecniche, analisi sensoriali, descrizioni didattiche, narrazioni commerciali, svolazzi poetici, racconti onirici… Su Vinocondiviso abbiamo pensato di provare qualcosa di diverso con la rubrica “Faccia a Faccia” che inauguriamo oggi.

L’idea è semplice: mettere a confronto, o meglio in dialogo, due vini bevuti in parallelo per verificare se così facendo non si possa raccontarli più adeguatamente e al contempo comprenderli più a fondo. Fateci sapere nei commenti che ne pensate!

Inauguriamo la rubrica con due riesling della medesima annata ma di diversa provenienza.

Deidesheim Riesling Trocken Kalkstein 2020 – Georg Mosbacher

Il produttore, Weingut Georg Mosbacher, si trova a Forst, nel Palatinato (Pfalz). Si tratta di un’azienda certificata biologica di ottima reputazione e di riferimento non solo nella regione, ma in tutta la Germania.

Il vino che abbiamo nel calice è un riesling ottenuto da una parcella particolarmente vocata nei vigneti di Deidesheim, dal terreno prevalentemente calcareo. La fermentazione è spontanea.

Il colore è un giallo paglierino con riflessi verde-oro. Olfatto di scorza d’agrumi, leggero idrocarburo, fiori bianchi e, da ultimo, una sensazione di mineralità chiara di gesso e calcare che ricorda un grande Champagne Blanc de Blancs. Il sorso è teso, quasi elettrico, percorso da una scossa acida chirurgica, un po’ di carbonica è ancora presente e testimonia l’estrema gioventù del vino (dopo pochi minuti di permanenza nel bicchiere comunque scompare). Lo sviluppo non è dettato solo dall’acidità, la materia è saporita e il vino risulta ricamato, cesellato direi, con tutte le componenti in grande armonia. La chiusura è pulita, sapida, fresca e agrumata.

Vino che ha una bevibilità disarmante e che può accompagnare degnamente piatti di crostacei e molluschi, come ad esempio una padellata di gamberi e verdure oppure delle coquilles Saint-Jacques gratinate.

Langhe Riesling 2020 – Chionetti

Di Chionetti abbiamo già scritto, dopo una visita in cantina a Dogliani. Anche in questo caso si tratta di un’azienda certificata biologica che però, a differenza di Georg Mosbacher, concentra la propria produzione sui vini rossi. Dunque il confronto sulla carta pare impari ma, forse proprio per questo, risulta intrigante.

Il colore è del tutto paragonabile al vino della Pfalz, con un naso maggiormente fruttato (pesca bianca), un tocco di salvia, affumicatura e bergamotto. Nel complesso il quadro olfattivo è elegante e misurato. Bocca agile ma di buon volume, solo 12% il titolo alcolometrico, freschezza ben presente ma in filigrana nella materia del vino. La chiusura è molto convincente, sapida e succosa, su ritorni di agrumi e sale.

Vino semplice, gradevole e ben fatto, adatto ad accompagnare antipasti a base di verdure oppure una quiche lorraine.

Riflessioni conclusive

Medesimo vitigno, medesima annata, prezzo simile (20 € circa), cosa ci lascia il confronto “Faccia a Faccia” di questi due vini? Il vino di Mosbacher è un vino più nervoso e minerale, un grande esempio di riesling secco proveniente dal suo territorio di elezione e da una mano particolarmente felice (oltre che grande specialista del riesling). Il vino di Chionetti però regge benissimo il confronto e, pur perdendo ai punti, si contrappone con una versione agile e appena più fruttata, ma sapida e gustosa, meno minerale ma equilibrata e precisa.

Diego Mutarelli
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Les Cocus 2020, lo stupefacente chenin di Thomas Batardière

Le regioni francesi vocate per i vini bianchi sono molteplici eppure, se dovessi sceglierne solo una, senz’altro la mia personalissima preferenza ricadrebbe sulla Loira, grazie alle magistrali interpretazioni che molti produttori danno al quel magnifico vitigno che è lo chenin. La riflessione è confermata, una volta di più, dall’assaggio di questo splendido vino di Thomas Batardière.

Les Cocus 2020 – Thomas Batardière

Thomas Batardière si installa a Rablay-sur-Layon nel 2012 e si ritrova come vicino di casa e di vigna il mitico Richard Leroy, sì proprio il produttore del vino di Loira più ricercato del momento, ovvero Les Noëls de Montbenault, che gli appassionati di mezzo mondo si contendono a caro prezzo (quotazioni che sfiorano i 500 € a bottiglia, sigh!).

La filosofia seguita da Thomas è quella naturale, con certificazione biodinamica (Demeter) acquisita nel 2015. Sono poco più di 3 gli ettari a disposizione, chenin in prevalenza, ma anche cabernet franc e grolleau. Il vecchio vigneto da cui deriva il vino che abbiamo nel calice, impiantato nel 1968, è proprio a fianco al Montbenault, alla destra orografica del Layon, 0,6 ettari in cima alla collina. Il vino fermenta senza inoculo di lieviti selezionati e affina circa 10 mesi in legno, per poi passare pochi mesi in acciaio prima di essere imbottigliato con aggiunta minima solforosa.

Nel calice scorre un liquido dal colore oro antico di grande luminosità. Molto articolato al naso con sensazioni che vanno dal pop-corn, alla frutta gialla, poi sentori marini (alghe, battigia), roccia, affumicatura e un’intrigante nota agrodolce di scorza di limone candida. Bocca snella e agile, l’alcol (13%) è in secondo piano perché ben integrato nella materia, non poderosa comunque, del vino. Ne risulta una beva molto facile, mai banale, anzi l’articolazione e lo sviluppo sono decisamente da grande vino, l’acidità è corroborante e vivace e i ritorni sono uno splendido mix di mare, sale e frutta. Chiusura soffice ma di carattere grazie ad un’astringenza appena accennata che però fornisce grip e lunghezza.

Plus: vino naturale ed espressivo ma non “selvatico”, nulla sembra lasciato al caso in questo vino dall’equilibrio mirabile. Peccato che il produttore, come ormai molti vignerons naturali, decida di non rivendicare in etichetta la AOC di riferimento (Anjou) e preferisca dichiararsi semplicemente Vin de France…

Diego Mutarelli
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Carignano del Sulcis Riserva “Seruci” 2018 – Enrico Esu

Abbiamo già parlato del Carignano del Sulcis di Enrico Esu, per l’esattezza del “Nero Miniera”, vino che nasce letteralmente sulle miniere di Carbonia.

Oggi torniamo sul produttore perché abbiamo avuto modo di assaggiare il Carignano del Sulcis Riserva “Seruci” 2018, vino ottenuto dalla selezione delle migliori uve di carignano di una vigna ad alberello e a piede franco del 1958. Il vino affina per 12 mesi in tonneaux e, in questa annata colpita da peronospora, la produzione è stata limitata dal punto di vista delle quantità e delle rese.

Color impenetrabile e compatto, di un rosso rubino dai riflessi bluastri. Il vino scorre nel calice lento e denso, dà fin da subito l’idea di un vino pieno, fitto e concentrato.

L’olfatto è dapprima sulla frutta (marasca, prugna), poi mineralità scura, datteri, cioccolatino alla menta, fiori rossi macerati…

Il vino ha gran volume in ingresso, entra morbido grazie ad una poderosa materia fruttata, ma fortunatamente non impasta la bocca, non si ferma lì, ma si sviluppa benissimo in profondità grazie ad un’acidità ben presente e al tannino che fornisce grip ed allungo. Il vino è un piccolo miracolo di equilibrio insomma, soprattutto grazie alla mirabile gestione dell’alcol che pur sostenuto (15%) è ben integrato nella “fibra muscolare” del vino. Il risultato è un sorso sorprendentemente dinamico e facile alla beva.

In chiusura, dopo la deglutizione, il vino rimane a lungo su ritorni aromatici di frutta, sale e liquirizia.

Plus: non è affatto comune trovare in vini così potenti verve e mobilità degna di un peso piuma, un vino Riserva che si differenzia nettamente dal Nero Miniera, più agrumato e “chiaro” il Nero Miniera, più scuro e compatto questo. Insomma, ce ne è per tutti i gusti!

Diego Mutarelli
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Chionetti, il portabandiera di Dogliani

L’appuntamento autunnale con le Langhe è ormai diventato una piacevole consuetudine. Quest’anno abbiamo deciso di dedicarlo al portabandiera di Dogliani, ovvero all’Azienda Agricola Chionetti.

Fondata a inizio ‘900, oggi l’azienda possiede 15 ettari vitati, producendo circa 80.000 bottiglie ogni anno, la metà delle quali esportate all’Estero. L’azienda si trova a Dogliani, in località San Luigi, e da sempre è focalizzata nella valorizzazione del dolcetto, vitigno molto interessante, che coniuga immediatezza e longevità, semplicità di beva e articolazione.

In anni recenti l’azienda ha acquistato 1,5 ettari in zona Barolo, con tre diversi appezzamenti, rispettivamente nel cru Parussi (Castiglione Falletto), Roncaglie (La Morra) e Bussia Vigna Pianpolvere (Monforte d’Alba).

La visita inizia da una didattica camminata in vigna dove è possibile apprezzare le vigne che hanno appena perso le foglie e sono pronte per il riposo invernale, il terreno inerbito un filare sì e uno no (l’azienda è certificata biologica), il terreno più argilloso ad inizio collina e più calcareo in cima, e un bellissimo panorama che abbraccia tutte le Langhe, dal Monviso a Monforte d’Alba e oltre.

La cantina è moderna e spaziosa, con i contenitori di vinificazione e affinamento in inox, legno grande e cemento disposti ordinatamente in due sale contigue.

Di seguito qualche impressione sui vini assaggiati in azienda, ma ci ritorneremo tra qualche tempo, quando avremo avuto modo di degustare con calma i vini acquistati in loco:

Langhe Riesling 2020: l’unico bianco aziendale viene dalla vigna Martina, a 500 metri sul livello del mare a Dogliani. Il vino è molto fine al naso con ricordi di agrumi, pesca, erbe aromatiche, idrocarburi e delicati sentori vegetali. Sorso di ottima freschezza, beva agevolata da una struttura snella e meno “dimostrativa” di altri riesling di Langhe. Convincente

Dogliani Briccolero 2021: dalla porzione sud-est del cru San Luigi si ottiene questo Dogliani gustoso e compatto, giovanissimo e giustamente compresso in questa fase con un’olfatto prevalentemente sui frutti scuri e i fiori rossi oltre a un tocco terroso. Bocca intensa ma dinamica, con un’acidità ben presente a supportare lo sviluppo e fornire allungo in chiusura. Da attendere con fiducia

Dogliani San Luigi vigna La Costa 2019: dai ceppi più vecchi posti sulla sommità della collina Briccolero, affina in grandi botti di rovere francese ed esce in commercio dopo tre anni dalla vendemmia. Si tratta di un Dogliani aristocratico e complesso, che pur mantenendo un’ottima beva, si impone grazie al un frutto rosso croccante, i fiori appassiti, il pepe, la liquirizia…l’incedere in bocca è caratterizzato da materia e succo, slancio e vigore, la trama tannica è fitta, il sorso profondo e succoso. Dolcetto o scherzetto? Qui non si scheza affatto!

Langhe Nebbiolo la Chiusa 2019: bel nebbiolo che sa di ribes, rose e mineralità chiara, il tannino è fitto ma fine, si beve con grande piacere grazie ad un’acidità rinfrescante che accompagna il vino verso un finale fatto di ribes e liquirizia. Attraente

Barolo Roncaglie 2018: un Barolo estroverso che si esprime su note di melograno, sangue, fiori macerati, un tocco ferroso. La trama è fitta e la materia compatta, eppure il vino è articolato, caratterizzato da un tannino serrato e saporito e da una profonda scia minerale. Vino che migliorerà ancora ma che dimostra la sua classe anche in questa fase giovanile. Maestoso

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