Au Chant de la Huppe 2022 – Henri Chauvet

gamay-pinot noir

Oggi parliamo di un altro vino di Henri Chauvet, produttore dell’Auvergne di cui abbia già parlato qualche tempo fa. Per qualche informazione sul produttore invitiamo a leggere quel post, qui proseguiamo invece parlando del vino che abbiamo assaggiato in questa occasione.

Henri Chauvet

Côtes d’Auvergne “Au Chant de la Huppe” 2022 – Henri Chauvet

Vino naturale ottenuto da gamay e pinot noir vinificati separatamente e poi assemblati e invecchiati in botti di legno esauste. Il vino ha un bel colore rubino chiaro di grande luminosità. Naso pulito ed espressivo di frutta rossa (fragola, arancia rossa), viola, mineralità scura, cola.

Sorso improntato sulla freschezza che, insieme ad un tenore alcolico piuttosto contenuto (11,5%), rendono la beva scorrevole e golosa. La delicata effervescenza presente nel vino appena versato (suggeriamo una caraffatura) svanisce dopo qualche minuto di attesa. Il vino è estroverso anche in bocca, tanta frutta rossa e dinamicità, tannino setoso, sottile scia sapida e chiusura su ritorni di fruttati e amarognoli che richiamano la radice di liquirizia.

Plus: vino ben fatto che metterà d’accordo sia i winesnob, che ne apprezzeranno l’eleganza e l’impronta borgognona, che gli intransigenti del vino naturale che ne riconosceranno la spontaneità.

Diego Mutarelli
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Les Suchots di Confuron-Cotetidot alla prova del tempo

I vini della Côte de Nuits sono senza ombra di dubbio i più desiderati dagli appassionati di tutto il mondo. E purtroppo, soprattutto da una decina di anni, le quotazioni stellari che i più ricercati pinot noir di Borgogna hanno raggiunto li hanno relegati al ruolo di chimere irraggiungibili, piuttosto che di vini di prestigio certo, ma che con qualche sacrificio anche appassionati bevitori non milionari possono saltuariamente degustare. E le cose peggiorano ulteriormente se malauguratamente si decide di assaggiare vini del comune di Vosne-Romanée, terroir baciato dal dio Bacco in cui si annoverano i grand cru più prestigiosi del mondo.

Vosne-Romanée
Vosne-Romanée (photocredit: Vins De Bourgogne)

Ma la passione, si sa, porta a far dei sacrifici e trovare qualche compromesso e così, con alcuni amici degustatori, ci siamo organizzati per una verticale di un premier cru di ottima reputazione e dalla quotazione meno esorbitante dei grand cru di Vosne-Romanée: Les Suchots.

Condividiamo di seguito dunque la degustazione di cinque annate del Vosne-Romanée 1er cru Les Suchots del domaine Confuron-Cotetidot. Les Suchots è un premier cru di poco più di 13 ettari rivendicato da ben 25 aziende. L’interpretazione che ne dà il domaine Confuron-Cotetidot, come vedremo, è piuttosto lontana dall’idea di pinot noir tutto fruttini e spezie orientali, il produttore persegue infatti uno stile di vinificazione più austero fatto di uva raccolta a piena maturazione, fermentazione con raspo, macerazione prolungata, utilizzo solo di legno di secondo o terzo passaggio (quindi non legno nuovo), per vini che hanno bisogno di tempo per esprimere tutto il loro potenziale.

Di seguito il resoconto dei vini assaggiati!

2015

Fin dal colore lo stile di Confuron-Cotetidot si differenzia da molti pinot noir di queste latitudini, non il solito rubino chiaro e luminoso, ma piuttosto un rubino compatto e profondo, colore che accompagnerà con piccole differenze tutti i millesimi assaggiati. Al naso un bel frutto rosso maturo (fragola, lampone) che cambia molto nel corso della serata, si susseguono altre note più chiare (arancia bionda) e boschive (aghi di pino), il tutto avvolto da un intrigante ricordo di foglia di menta. La bocca è compressa e fitta, il tannino è ben presente e sopra la media borgognona (ricordiamo la fermentazione con i raspi), la chiusura dolce-amara. Un bellissimo vino che va atteso ancora per esprimere tutto il suo potenziale. L’evoluzione nel bicchiere fa ben sperare in tal senso. La scommessa del futuro (se ti piace vincere facile).

2014

Vino più rassicurante e aperto del precedente, si muove su sentori di frutti di rovo (more), fiori e tocchi vegetali. Le spezie dolci qui fanno capolino ed introducono ad un sorso setoso e fresco, dal tannino fine e dalla chiusura lunga e sapida. Il vino dunque è più aperto e immediato rispetto all’annata 2015, ma anche più semplice e meno dinamico. Carpe Diem.

2012

Vino purtroppo rovinato da un tappo non perfetto, che porta ad un naso poco nitido ed un sorso piuttosto astringente. Non giudicabile.

2010

Colore più chiaro dei precedenti e olfatto delicato, elegante e complesso: ribes ed agrumi, spezie, floreale di viola. Dei vini assaggiati quello con il sorso più terso ed fresco, l’acidità lo rende ficcante e gustoso, ma al contempo il vino si sviluppa soffice ed aggraziato. Una bottiglia di grande eleganza e compostezza, che manca forse, ad essere severi, di un quid di intensità in più per renderlo indimenticabile. Signorile.

2009

In questo generoso millesimo il vino si presenta con note mature di frutta (pesca, lampone), ma anche viola, tamarindo, spezie (chiodi di garofano), erbe macerate, liquirizia. Sorso sferico, di buon volume e impatto, dalla progressione entusiasmante, la bocca è saporita, vellutata e sapide e chiude lunga e soffice su ritorni di liquirizia, spezie e lamponi. La quadratura del cerchio.

La degustazione si è tenuta presso il Ristorante Novanta di Bressana Bottarone (PV), che oltre a sopportare una gang di agguerriti bevitori ci ha deliziato con piatti ottimamente eseguiti. Da segnalare una carte dei vini di assoluto rilievo.

Diego Mutarelli
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Un sorprendente pinot noir d’Auvergne

Ormai lo sappiamo, tra il riscaldamento climatico e le ambizioni di giovani e talentuosi viticoltori alla ricerca di terreni a prezzi umani, la viticoltura francese sta riscoprendo territori “minori”, fuori dal gotha del vino. Tra questi senz’altro merita un posto di rilievo l’Auvergne (o Alvernia in italiano), una regione ricca di vulcani spenti e dunque geologicamente molto interessante, non è certo un caso che fino alla fine del XIX secolo l’Alvernia fosse una delle zone più vitate di Francia. A seguito dell’arrivo della fillossera la coltivazione della vite subì un forte declino ed oggi gli ettari vitati sono poco più di 400.

Abbiamo già parlato di un gamay di questa zona (leggi il post), ed oggi tocca ad un pinot noir, che ci ha particolarmente sorpreso.

Lapilli Garden 2023

Puy-de-Dôme IGP Pinot Noir “Lapilli Garden” 2023 – Domaine Lapilli

Domaine Lapilli, è un’azienda agricola che si trova a sud di Clermont Ferrand, nel villaggio di Les Martres-de-Veyre. Sono 5 gli ettari di vigna – chardonnay, gamay e pinot noir – situati su 3 parcelle su suoli di origine vulcanica (da cui l’evocativo nome dell’azienda). L’impostazione è non interventista sia in vigna che in cantina. Il pinot noir che abbiamo nel calice è stato ottenuto da una macerazione a grappolo intero di nove giorni, fermentazione spontanea e affinamento in legno, con pochi solfiti aggiunti solo in fase di imbottigliamento.

Il vino si presenta in veste rubino chiaro, il primo naso è dominato dai frutti di rovo (lampone, more), quindi note minerali di ardesia e zolfo, poi scorza d’arancia e un tocco di cannella. In ingresso il vino ha una bella dolcezza, con frutto in evidenza, lo sviluppo è sì goloso ma anche profondo e fresco, l’acidità agevola la progressione che porta il vino ad una chiusura saporita caratterizzata da un tannino croccante derivante certamente dalla macerazione con i raspi. Tannino che però fornisce grip senza cedere ostiche note vegetali, insomma un pinot noir dal naso elegante ma dal sorso stratificato. La chiusura è lunga su ritorni di frutta rossa e agrumi amari.

Plus: vino naturale gustoso e preciso, espressivo e semplice alla beva, ma per nulla banale, anzi un’interpretazione di pinot noir che esalta la mineralità del territorio vulcanico di provenienza. Vino da attendere con fiducia, migliorerà ancora.

Diego Mutarelli
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Ancora Isère: Domaine Les Alpins

L’Isére è forse il territorio vinicolo meno considerato di tutta la Francia. Eppure da qualche tempo – complice il cambiamento climatico e la nouvelle vague di giovani produttori naturali alla ricerca di terreni vocati al giusto prezzo – si nota un certo dinamismo e delle bottiglie originali e di grande interesse.

Qualche mese fa abbiamo già parlato di Jérémy Bricka, oggi invece riferiamo del Domaine Les Alpins. Si tratta della creatura di Sébastien Benard, quattro ettari a La Buisse, nel nord dell’Isère, all’interno del Parco Naturale Regionale de la Chartreuse, a circa 20 km da Grenoble. L’azienda è certificata biologica ma la gestione è naturale, i soli trattamenti contemplati in vigna sono lo zolfo ed il rame in dosi molto limitate (da 1 a 2 kg per ettaro all’anno).

Isére Coteaux du Gresivaudan IGP “Les Comperes” 2020 – Domaine Les Alpins (Sébastien Benard)

Il vino è ottenuto da gamay (in maggioranza), con a saldo mondeuse, persan e pinot noir. Il gamay viene vinificato a grappolo intero con macerazione semi-carbonica, gli altri vitigni vengono vinificati insieme e poi uniti al gamay. Dopo l’assemblaggio il vino affina per circa un anno in barrique e fusti di rovere usati.

Les Comperes si presenta di un bel rosso rubino chiaro con luminosi riflessi porpora. Primo naso molto floreale (rosa, peonia), poi arriva il frutto rosso (fragola), ma anche inchiostro e una spezia che ricorda il pepe verde.

La bocca è scorrevole e golosa, la beva è trascinata da un’acidità rinfrescante e dissetante che però trova una carnosa materia fruttata a compensarne l’esuberanza. Tannino appena accennato e chiusura su ritorni floreali. Dopo il primo sorso la bocca resta fresca e pronta ad un nuovo assaggio, complice il titolo alcolometrico molto contenuto (12%).

Può accompagnare degnamente un piatto di salsiccia e fagioli ma anche un semplice panino al salame.

Plus: vino espressivo e di grande beva ma non un semplice glou glou. L’immediatezza del gamay trova equilibrio nei suoi compari (“Les Comperes….”) di assemblaggio, con il pinot noir che apporta raffinatezza e la mondeuse e il persan che conferiscono nerbo e struttura.

Diego Mutarelli
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Faccia a Faccia: pinot nero / pinot noir

Come abbiamo già raccontato nella prima puntata del “Faccia a Faccia” dedicata al riesling, lo scopo della rubrica è quello di mettere in connessione e dialogo due vini in qualche modo confrontabili. L’idea di fondo non è quella di paragonare i due vini, quanto di trovarne nuove chiavi di lettura per comprenderli meglio. É quello che succede anche nelle relazioni personali: entrando in empatia con chi si ha di fronte, si finisce per conoscere meglio non solo l’altro ma anche sé stessi.

Dopo il riesling, oggi tocca ad un altro vitigno fluoriclasse, il pinot nero. Abbiamo degustato in parallelo un pinot nero italiano e un pinot noir di Borgogna.

Friuli Colli Orientali Pinot Nero 2018 – Le Due Terre

Dell’azienda Le Due Terre abbiamo già parlato in un post di qualche anno fa, si tratta di un’azienda artigiana dei Colli Orientali del Friuli che segue con scrupolo ed attenzione 5 ettari di vigna a Prepotto dando vita a ottimi vini tra cui i due uvaggi portabandiera Sacrisassi Bianco e Sacrisassi Rosso. Nel calice oggi abbiamo il pinot nero, vino ottenuto da cloni di pinot noir francesi e tedeschi, fermentazione spontanea e affinamento in barrique.

Il calice riflette un colore rubino chiaro con riflessi granati, in primo piano la frutta rossa e fresca come lampone, fragole e anguria, poi un floreale che ricorda la lavanda e quindi un tocco speziato di pepe e cardamomo. A bicchiere fermo dopo qualche minuto fa capolino un’intrigante sentore agrumato di scorza d’arancia. L’acidità ben presente dà al sorso una bella freschezza, lo sviluppo è piuttosto rapido ma profondo e pulito. La chiusura è saporita e lunga su ritorni di frutta rossa e agrumi.

Vino dall’olfatto intrigante e nel complesso di ottima beva, l’annata è stata piuttosto calda ma in questo vino i 14% di titolo alcolometrico sono gestiti alla perfezione. Al sorso ho notato solo un leggero deficit di polpa che dà a centro bocca una sensazione di asciuttezza appena troppo accentuata. Stiamo parlando comunque di un bellissimo vino ottenuto da un vitigno estremamente sfidante. Si contano sulle dita di una mano i pinot nero italiani di questo livello.

Ladoix Clos des Chagnots 2018 – Domaine d’Ardhuy

Abbiamo già assaggiato alcuni vini di questo produttore storico di Borgogna (vedi questo post, ad esempio) che possiede molte parcelle sia in Côte de Nuits sia in Côte de Beaune. Nel calice un monopole, ovvero una vigna di proprietà esclusiva del Domaine d’Ardhuy, il Clos des Chagnots.

Rosso rubino chiaro con vivaci riflessi porpora, olfatto di lamponi macerati, fiori rossi ed incenso. Ingresso in bocca succoso, di bella progressione con materia fruttata piuttosto concentrata a supportare sviluppo e persistenza. Legno ben amministrato per un vino che in chiusura resta sapido e vivace, di ottima lunghezza su ritorni di frutta dolce.

Vino semplice e ben fatto ma che, pur nella sua immediatezza, risulta molto equilibrato e di grande piacevolezza.

Riflessioni conclusive

Due vini ottenuti dalla medesima varietà e proposti al mercato nella stessa fascia di prezzo (30 € – 40 € euro a seconda delle fonti di acquisto) ma provenienti da due territori lontani. Come era lecito aspettarsi dunque – pur con alcuni punti di contatto – le due interpretazioni sono diverse. Il campione dei Colli Orientali è un vino dal naso più articolato e che al sorso non cerca immediatezza nè “piacioneria”, il campione di Borgogna è più immediato e diretto e gioca le sue carte sul frutto e la piacevolezza di beva.

In conclusione direi che il match tra Italia e Francia sul pinot noir finisce in parità, due espressioni diverse di pinot nero che si muovono però sul medesimo piano qualitativo.

Diego Mutarelli
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Champagne non dosé “La Cave” – Tristan Hyest

Non tutti sanno che, a volte, alcuni produttori di Champagne – soprattutto i più piccoli e dinamici – confezionano per distributori, rivenditori o importatori fedeli, delle cuvées personalizzate nel dosaggio o nell’affinamento. É il caso del vino di cui ti parlo oggi, prodotto da Tristan Hyest espressamente per la bella enoteca Tregalli di Senigallia.

Spendo volentieri due righe sull’enoteca Tregalli: se passate a Senigallia andate assolutamente a conoscere di persona Andrea Ruggeri e la moglie, appassionatissimi di bollicine francesi e importatori di champagne dal prezzo davvero centrato. Sempre in zona non mancate neppure una sosta gourmet dal Clandestino di Moreno Cedroni, location da lacrime ed ottimo menù.

Torniamo allo champagne che abbiamo nel bicchiere. Si tratta di un assemblaggio di meunier (60%), chardonnay (30%) e pinot noir (10%), con un 40% di riserva Solera. Sboccatura 03/22, quindi assai giovane, produttore oggi in grande ascesa e molto chiacchierato, onestamente altre cuvées assaggiate recentemente non mi avevano così convinto, questa è invece davvero interessante: naso gessoso ma soprattutto “terroso” da meunier, con note di lievissima ossidazione, bocca molto tirata di bella materia e profondità (grazie alla Solera), torna la sensazione terrosa, il sorso è sgrassante, ha ancora diversi anni davanti per esprimersi al meglio.

Da abbinare a dei tagliolini ai porcini o perché no, spaziamo nel far east, ad un’anatra pechinese fatta come si deve (fortunatamente questo splendido piatto ormai si trova anche in Italia).

Gregorio Mulazzani
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Champagne l’Aérienne 2004 – Tarlant

Poche settimane fa abbiamo già parlato di questa antichissima, serissima e ultimamente sempre più blasonata, maison di Oueilly.

L’Aérienne 2004, sboccatura 2018 e zero dosaggio (come da stile di questa maison, lunghissime permanenze sui lieviti e appunto dosaggio nullo per preservare al massimo l’integrità territoriale), blend di chardonnay (70%) e pinot noir (30%), senza fermentazione malolattica.

Naso con classici lievi accenni di ossidazione, voluta, sensazioni minerali profondissime di gesso e calcare, poi zenzero, liquirizia, bocca impressionante per acidità e “droiture”, certo non uno champagne per tutti ma che regala emozioni a chi lo sa ascoltare, sontuoso e lussuoso aperitivo in abbinamento con delle ottime polpette di baccalà o freschissime alici fritte.

Gregorio Mulazzani
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Bourgogne Pinot Noir Vieilles Vignes 2017 – Domaine Joseph Voillot

Secondo la legislazione vigente in Borgogna dagli anni trenta dello scorso secolo, questo vino sarebbe alla base della piramide gerarchica che suddivide il territorio in tre livelli;  saranno i suoli delle vecchie vigne a Volnay, sarà l’annata, sarà la mano esperta di Jean Pierre Charlot, insieme a Etienne Chaix, ma questo vino si stacca nettamente dalla base la cui appellation in etichetta lo vorrebbe relegare, alzando lo sguardo verso denominazioni di superiore talento, come alcune parcelle ‘Villages’ della stessa Volnay, e persino blasonati cru della Côte de Nuits più delicata.

È proprio la delicatezza il filo conduttore di questo vino: al naso la fanno da padrone piccoli frutti rossi e spezie chiare, in bocca però il sorso si fa più ampio  e fa capolino il tannino a ricordarci che stiamo sempre degustando un vino rosso (accanto ad un pollo ruspante ottimamente arrostito).

Alessandra Gianelli
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Champagne: non è tutto oro quel che luccica

Un paio di assaggi di bollicine d’Oltralpe abbastanza deludenti, che come nostra abitudine condividiamo.

Champagne Brut 2002 – Jacquesson

Champagne del millesimo 2002 ormai non più in produzione di questa storica Maison di Dizy, epicentro del pinot noir, La bottiglia è stata dimenticata in cantina da un caro amico, sboccatura che si perde nel tempo, 2° trimestre 2010, per un classico blend di chardonnay e pinot noir con dosaggio limitato a 3,5 grammi litro.

Il vino, purtroppo, andava bevuto qualche anno fa, il colore è piuttosto carico, lo stile del produttore già un po’ tendente all’ossidazione (ricordo di averla bevuta praticamente all’uscita e una punta di ossidazione era già presente) non ha giocato a favore, naso che spazia dal biscotto Plasmon, all’oro antico, a note di liquirizia, francamente non troppo piacevole o comunque per amanti del genere “hard”, bocca sicuramente più in forma ma con acidità un po’ troppo scomposta. Edizione che a mio avviso si dimostrava non fortunatissima sin da subito.

Se proprio vogliamo tentare un abbinamento direi di provarlo con formaggi erborinati o un pecorino sardo stagionato.

Champagne “B13” 2013 – Bollinger

B13, una delle “nuove” etichette di Bollinger “simil La Grande Année”, 100% pinot noir prodotto in annata considerata “minore” o comunque non ottimale (ma il prezzo ahimè minore non è), colore molto chiaro quasi scarico, molto giovane al naso con note di buccia di mandarino, argilla e mandorle, bocca elegante ma forse un filo “povera” rispetto alle aspettative, finale di buona acidità per un dosaggio non bassissimo (6 grammi litro) che un po’ si sente.  

Sarò troppo severo ma visto il prezzo di uscita se ne può fare serenamente a meno. Operazione di marketing?

Gregorio Mulazzani
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Un Savigny-Lès-Beaune per riscoprire la spensieratezza del pinot noir

Bere pinot noir di Borgogna al giusto prezzo non è mai stato facile. Anni fa parlavamo di Borgogna accessibile come una sorta di chimera enoica…e il passare degli anni non ha certo agevolato il compito degli appassionati che non vogliono rinunciare alle emozioni della Borgogna rossa senza andare in rosso sul conto corrente!

Ecco allora che si esplorano minuziosamente, palmo a palmo, le zone di produzione meno titolate ed i produttori meno blasonati. Spesso con sonore delusioni, più raramente con insperato successo.

Oggi condividiamo quella che ci è apparsa come una bella sorpresa di Borgogna, un domaine non ancora conosciutissimo eppure con una notevole tradizione e belle parcelle sia in Côte de Nuits sia in Côte de Beaune. Si tratta del Domaine d’Ardhuy di cui abbiamo degustato il Savigny-Lès-Beaune Premier Cru “Aux Clous” 2017.

Savigny-Lès-Beaune Premier Cru “Aux Clous” 2017 – Domaine d’Ardhuy

Il vino si presenta in veste rubino trasparente d’ordinanza, qualche riflesso ancora porpora ne svela la gioventù.

Olfatto accattivante e sobrio, senza effetti speciali ma diretto ed espressivo: ribes rosso e melograno, incenso, fiori rossi freschi, una leggera nota ferrosa.

Bocca di grande equilibrio, al contempo vivace nella sua impronta fruttata ed essenziale nella sua gustosa freschezza. L’acidità accompagna lo sviluppo del vino che si distende sul palato senza rinunciare al frutto, privo però di qualsiasi eccesso dolce. Fa capolino un ricordo di legno nuovo che però scompare del tutto con qualche minuto di bottiglia aperta.

La chiusura è soave e delicata, non particolarmente intensa o materica, ma pulita e beverina. I ritorni di frutta e spezie sono accompagnati da un tannino fine e una saporita scia sapida.

Plus: un Savigny-Lès-Beaune dall’ottimo rapporto qualità-prezzo che consente una bevuta disimpegnata ma intrigante.

Diego Mutarelli
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