E’ raro, ma a volte capita, che ad una degustazione di ottimi vini ve ne sia uno che si impone con la sua classe superiore al punto da far dimenticare tutti gli altri, letteralmente eclissati dalla luminosa grandezza del vino in questione. Quando poi il vino si chiama “Unico”, pensi che tutto sommato il suo nome se lo sia meritato.
Vega Sicilia “Unico” 1981
Siamo nella Ribera del Duero, nella Spagna centro settentrionale. E’ qui che viene fondata, nel lontano 1864, sulla sinistra orografica del fiume Duero, Pagos de la Vega de Santa Cecilia, oggi nota a tutti come Vega Sicilia. Vega Sicilia Unico è il più noto vino spagnolo e universalmente riconosciuto come uno dei più grandi vini rossi del mondo. Inizialmente il vino ero ottenuto in prevalenza da vitigni bordolesi, solo in tempi relativamente recenti la quota tempranillo è diventata maggioritaria (80%) con un saldo di cabernet sauvignon a completare l’uvaggio.
Vino rosso dal più lungo affinamento al mondo (si arriva a 10 anni tra barrique, tonneaux e vetro) ha una straordinaria capacità di evoluzione, mostrando non solo doti di longevità e tenuta, ma persino di miglioramento con il passare dei decenni.
Ribera del Duero “Unico” 1981 – Vega Sicilia Bellissimo color rubino integro, non certo luminoso ma vivace. Naso che alla cieca ti porta a Bordeaux con tabacco e note balsamiche, ma la dolcezza di un fruttino scuro ancora croccante (mirtillo) ravviva il quadro. L’olfatto è estremamente mutevole, con il passare dei minuti nel calice si susseguono note di corteccia, caramello, sangue che si mescolano a fieno e fiori appassiti. La bocca è sferica, ovvero ampia e dolce, riempie il cavo orale con grazia. L’elegante calore alcolico è perfettamente funzionale allo sviluppo del sorso, che risulta ferroso e saporito, accompagnato da un tannino dolce e da una lunghissima chiusura sapida. Vino di un’armonia incredibile, non si avverte alcuna spigolosità al sorso eppure il vino è di magnetica personalità.
Per la cronaca: la 1981 non è neppure una tra le migliori annate.
94
Gli altri vini della serata, relegati senza colpa al ruolo di comprimari? Eccoli!
Oggi ti parlo di due vini del filone cosiddetto “naturale”, ovvero vini prodotti da vigneron che hanno un approccio non interventista in vigna ed in cantina. Quindi vendemmie manuali, condotta della vigna con criteri biologici o biodinamici, rinuncia a pesticidi di sintesi, erbicidi o insetticidi. In cantina si opta per fermentazioni spontanee senza aggiunta di lieviti o enzimi, senza il controllo delle temperature, rinunciando ad additivi e correttori, e limitando il più possibile l’utilizzo di solforosa, che comunque in imbottigliamento è consentita. Insomma, il controllo (in tutte le sue forme) nella filosofia naturale è visto come un’azione che toglie autenticità – potremmo dire verità – al vino, che deve invece rispecchiare, costi quel che costi, il territorio ed il millesimo di provenienza.
I risultati? A volte straordinari – possono definirsi naturali (prima che questo termine avesse il significato “politico” che assume oggi) – molti dei migliori vini del mondo. Altrettanto spesso però i vini risultano poco aggraziati, spigolosi, l’olfatto può presentare note animali o la pungenza della volatile. Al di là delle buone intenzioni insomma, come sempre, bisogna saper distinguere e valutare senza pregiudizi ma anche senza partigianeria.
Inizio a raccontarti di un vino della maison Ligas, azienda vitivinicola che si trova nel nord della Grecia, in Macedonia. Ligas è senz’altro uno dei riferimenti della filosofia di vino naturale in Grecia, dichiara di ispirasi persino ai principi della permacultura di Fukuoka e della sua “agricoltura del non fare”.
Assyrtiko 2017 – Maison Ligas
Assyrtiko 2017 – Maison Ligas
Assyrtiko 2017 – Maison Ligas
Vino vinificato con macerazione sulle bucce in acciaio e poi affinato sia in acciaio sia in barrique usate (da Selosse). Nessuna aggiunta di solforosa.
Il vino si presenta giallo dorato luminoso e trasparente. Primo naso sul leggero idrocarburo, a seguire alghe, scorza d’arancia, fiori bianchi e tanta macchia mediterranea. Poi ancora sensazione marine e di bergamotto. Ingresso in bocca brusco, decisamente secco ma di una certa ampiezza. Lo sviluppo è piuttosto rapido con tannino percepibile e finale piuttosto alcolico e un po’ troppo amaro (erbe amare).
+ vino decisamente interessante al naso, con dei richiami marini e agrumati di grande finezza
– irruente in bocca, avrei preferito uno sviluppo meno rapido e più graduale. La chiusura è furiosamente sapida (plus) ma anche piuttosto amara
L’altro vino di cui ti parlo viene invece dalla Spagna, una Spagna “minore” dal punto di vista vitivinicolo, la regione della Mancia. L’azienda si chiama Bruno Ruiz, 65 gli ettari di proprietà condotti in regime biodinamico. Parco vigne decisamente vecchio e dedicato a vitigni autoctoni come Tempranillo, Tinto Velasco e Airén.
Airén ‘Pampaneo Ecologico’ 2017 – Esencia Rural – Bruno Ruiz
Vino macerato 2 mesi in acciaio da viti ad alberello di oltre 100 anni.
Il colore del vino richiama l’ambra. Olfatto spiazzante e complesso: agrumi, panpepato, erbe officinali, spezie…una girandola di profumi che si inseguono e cambiano di continuo. Al palato è molto intenso, saporito, salato, con progressione entusiasmante fatta di leggerissima astringenza, noti dolci/amare, acidità vivacissima. Chiude con ottima persistenza su ritorni di caramella al rabarbaro.
+ Vino complesso e divertente, da scoprire ad ogni sorso e da seguire in un crescendo di sorpresa.
Prosegue il racconto con la seconda puntata del viaggio in Alsazia di Chiara, se non hai ancora letto la prima parte la trovi al seguente link: Alsazia – un prezioso mosaico enologico (1/2).
Passeggiando, al fresco, tra i filari…
Giusto il tempo di mettere un brezel nello stomaco e si riparte per il prossimo appuntamento: la cantina Cle De Sol. Siamo a Ribeauville. Simon, ci aspetta sulla porta, è un giovane vigneron appassionato ed innamorato di vino e del suo territorio, oltre che di motori. Un’altra piccola realtà in cui la sala degustazione si confonde con il magazzino, ma è proprio questo il fascino: si entra nel cuore della vita di questi produttori. Le pareti della stanza sono ricoperte di argilla, la stessa argilla presente nei suoi vigneti. I vini di Cle de Sol sono un elogio alla natura ed al suo tocco, la filosofia di Simon è quella di intervenire il meno possibile sui processi di vinificazione, motivo per il quale le annate si susseguono in un racconto storico. In alcuni anni abbiamo Gewurztraminer dai profumi dolci al naso ma secchissimi alla bevuta, in altre annate il residuo zuccherino è piacevolmente presente, questo dipende anche dal comportamento dei lieviti indigeni. Non parlo certo di processi di vinificazione lasciati al caso, ma sicuro di una gran bella interpretazione di terroir e variabilità delle annate.
Cle De Sol
Oltre ai vitigni classici alsaziani, presso Cle de Sol, comincio il mio percorso di “innamoramento” dei Pinot Noir alsaziani. Nelle annate più recenti troviamo Pinot Noir scattanti, esili, di vibrante acidità; andando indietro nelle annate guadagnano in complessità, corpo e tannino che si fa più presente ma, al tempo stesso, più accattivante. Cle De Sol è una realtà giovane che vale la pena tenere sott’occhio. Producono anche degli ottimi succhi, veri e propri nettare di mele.
Il giorno seguente ci affidiamo ad una solida realtà alsaziana conosciuta in tutto il mondo, Domaine Marcel Deiss a Bergheim, una delle cantine che ha fatto la storia dell’Alsazia vitivinicola nel mondo.
Chez Marcel Deiss
Qui la sala degustazione è un elegante salotto con poltroncine e tanto di schermi su cui poter visualizzare la mappa dei territori e dei terreni. In un’ora di degustazione si viene trasportati in una full immersion sul territorio alsaziano. La scelta di questa maison è quella di non utilizzare vitigni in purezza ma blend già in vigna, infatti, lo scopo ultimo (ed a mio parere molto nobile) è quello di far capire come i medesimi vitigni possano dare risultati straordinariamente diversi a seconda del cru nel quale vengono coltivati (N.d.R.: per approfondimenti leggi cosa scrive Deiss sulla complantation). Quindi passiamo da vini di grande aromaticità: fiori, frutti e morbidezze a vini di mineralità quasi graffiante e straordinaria complessità. Vengo folgorata da due etichette in particolare: Gruenspiel 2013, nasce sul deposito di un torrente e regala sentori di polvere da sparo, cipria ed una grande potenza alcolica che si integra perfettamente nel corpo solido di questo vino. Altenberg, Gran Cru 2011; un racconto di aromaticità, freschezza e lieve sapidità; un vino da dimenticare in cantina (se si riesce) per farsi sorprendere dall’invecchiamento.
Concludiamo con la cantina di Paul Ginglinger, al centro del villaggio di Eguisheim. Le sue vigne sorgono sui Grand Cru Eichberg e Pfersigberg. Degustiamo Riesling secchi e minerali, che ancora una volta preferisco alla versione abboccata. Mi emoziona il suo Gerwurztraminer in cui il residuo zuccherino è perfettamente bilanciato da un lievissimo tannino che solletica le gengive. Con Michel Ginglinger degusto i Pinot Nero che più mi sono piaciuti in questo viaggio; vengono affinati in vecchie barrique ereditate dai cugini di Borgogna. Sono vini scattanti nella freschezza, ma ricchi sia al naso che nella rotondità del corpo, sentori ematici e di frutto rosso tipici del Pinot Noir ed una sorprendente nota di castagna, che confesso di aver ritrovato in diversi Pinot Noir di questa regione.
Pinot noir di Ginglinger
Gewurztraminer Grand Cru Pfersigberg
Non sarebbe stata un’esperienza così coinvolgente se non avessimo accompagnato tutti questi vini alle specialità alsaziane: doveroso citare il foie gras (canard ed oie) in perfetto abbinamento con un Gewurztraminer abboccato, le deliziose terrine di carne ben supportate da Riesling d’annata, il tipico Choucroute (crauti aromatizzati al ginepro con salsiccia, stinco di maiale e prosciutto) che esige un bel Pinot Nero. La notte di capodanno non potevamo non brindare invece con un crémant d’Alsace: le morbide e sensuali bollicine alsaziane che abbiamo deciso di abbinare ad una grandiosa assiette di formaggi francesi.
Suolo alsaziano
Difficile riassumere e cercare di mettere ordine in tutte queste esperienze di degustazione, l’Alsazia è un mosaico di straordinaria varietà per vitigni e terroir; sicuramente non dimenticherò i sentori stuzzicanti di frutti tropicali, i profumi pastosi di cipria e roccia, le acidità custodi del futuro di questi vini, e il residuo zuccherino di misura e grande eleganza, quindi…au revoir Alsace!
Quando annunciavo con entusiasmo del mio viaggio in Alsazia vedevo i volti stupiti dei miei interlocutori: “Si trova in Germania?” oppure “Dov’è l’Alsazia?”. Nulla da eccepire, per chi non è un wine addicted può essere una regione europea come tante altre; ma anche per i più appassionati la notorietà dell’Alsazia soffre un po’ la concorrenza delle ben più note vicine di casa: dalla Borgogna, allo Champagne. Ho scelto l’Alsazia come mio primo viaggio enologico in Francia basandomi su un presupposto errato, ma tante belle scoperte paiono essere nate da ipotesi non corrette. Infatti, non mi sentivo ancora pronta per le grandi regioni enologiche francesi: troppo complesse, ampie, lontane e forse ancora troppo poco studio da parte mia. Insomma, L’Alsazia mi pareva essere più alla mia portata, mi sbagliavo. Ma sono contenta di essermi fatta smentire e ora mi viene l’acquolina in bocca dal desiderio di scoprire ed approfondire ancora di più questo magico territorio.
La Route des Vins d’Alsace è una lunga striscia del territorio francese, di circa 120 km, incastonata tra il fiume Reno ed i monti Vosgi, a stretto contatto con il confine tedesco (territorio al quale è appartenuta dagli anni ’70 dell’ottocento fino al 1918, subendo inoltre il giogo nazista nel periodo della seconda Guerra Mondiale). La cultura del territorio alsaziano è quindi un bellissimo “blend” di Francia e Germania e questa ricchezza si riflette anche nel carattere dei vini che mostrano raffinatezza francese e carattere teutonico. Un terreno antico, di straordinaria varietà orografica, quasi un mosaico le cui tessere sono: granito, scisto, arenaria e terreno vulcanico verso la montagna; calcare e argille sotto le colline dei Vosgi. Il clima è continentale con forti escursioni termiche annuali e bassi livelli di precipitazioni. A distanza di poche centinaia di metri passiamo da terreni rossastri a trama grossolana a terreni cupi e fini. È un rincorrersi di piccoli paesini fatati, le corti delle piccole case a graticcio dalle tinte pastello custodiscono le caves che sono parte del cuore pulsante dell’economia di questo territorio. Si passa dalle grandi maisons ai piccoli/piccolissimi produttori che realizzano straordinari vini quasi nei garage delle loro abitazioni. Gli alsaziani sono solari, accoglienti ma la cosa che in assoluto mi piace di più è che custodiscono la loro tradizione vitivinicola come un vero tesoro, di cui portano l’orgoglio stampato sul petto.
Scorcio d’Alsazia
Abbiamo speso quattro giorni (pochissimi per approfondire il territorio) ripercorrendo da nord a sud, per decine di volte, la Route des Vins D’Alsace, tante visite in cantina e tante altre che non è stato possibile realizzare. Vi tedierei a raccontarle tutte, soprattutto non potendo accompagnare la narrazione con un calice; ecco quindi una selezione di piccoli e grandi cantine.
La gamma in assaggio di Kamm
Il primo appuntamento è con la cantina Jean-Louis et Eric Kamm, io ed Eric, erede vigneron della cantina, ci siamo rincorsi sui social per diversi giorni e finalmente troviamo il momento giusto per la visita. La cantina Kamm è una piccola realtà, in una corte del paesino di Dambach-la-Ville. La sala degustazione è una stanzetta spoglia, riscaldata da una piccola stufa, alle pareti tutti i loro premi e qualche souvenir dell’Alsazia. Il percorso di degustazione che scegliamo è quello sui vini naturali. Degustiamo Auxerrois, Pinot Gris, Gewurztraminer e Riesling. Il tratto comune dei vini Kamm è la bella mineralità rocciosa e le acidità spinte che proiettano i vini nel futuro. Il residuo zuccherino, a differenza di altre realtà alsaziane, è presente in minima parte. Le bottiglie che degustiamo sono un susseguirsi di stupore, due mi colpiscono in particolare: il Pinot Gris Terre de Volcan che, come richiama il nome, porta con sé dei bei sentori tipici del terreno vulcanico: cenere e pietra focaia; un corpo rotondo, ricco ed una bella persistenza in accordo con il naso. Il Riesling Frankstein è il vero principe della cantina, la sua denominazione di Gran Cru si ritrova in un’eleganza superiore; profumi raffinati di frutta esotica (non s’intuisce l’idrocarburo) ed un grande equilibrio in bocca, guidato da una bella freschezza. Per alcune etichette degustiamo in parallelo la versione “non nature”: vini di egual valore, ma un po’ più “addomesticati”, personalmente preferisco la franchezza delle loro versione naturale.
Citato la prima volta nel lontano 1085, Girlan (Cornaiano in italiano) è sede della Cantina Girlan: 200 viticoltori, che lavorano 215 ettari di vigneti fra l’Oltradige e la Bassa Atesina, ad un’altitudine fra i 250 e i 550 m s.l.m. Guidata dal kellermeister (capocantina) Gerhard Kofler, produce tre distinte linee: le Selezioni, i Vigneti e i Classici. Vini ottenuti da uve autoctone (gewürtraminer, schiava, lagrein, moscato rosa) e da varietà internazionali (chardonnay, sauvignon, müller-thurgau, pinot nero e bianco, ecc.) che trovano in Alto Adige un ambiente ottimale.
Martedì 29 gennaio, al Park Hyatt di Milano, per mano del funambolico Luca Gardini, l’azienda ha presentato i suoi nove vini di punta.
I vini bianchi in degustazione
Flora Cuvée Bianco Riserva 2016, vigneti a 450-500m s.l.m., blend di chardonnay, sauvignon e pinot bianco, affinamento in botti di rovere per 12 mesi e 6 mesi in tini d’acciaio. Un vino perfettamente bilanciato nella sua cuvée, fresco e sapido, in cui emergono note floreali, di agrumi freschi (pompelmo e lime) e sentori di erbe aromatiche.
Flora Pinot Bianco Riserva Riserva 2016, vigneti a 450-500m s.l.m., affinamento in botti di rovere per 12 mesi e 6 mesi d’acciaio; un vino giovane ma di sicura longevità, dove le note agrumate cedono il passo a frutti gialli maturi e delicate note salmastre.
Flora Chardonnay 2016, vigneti a 450-500m s.l.m., affinamento in botti di rovere da 12-15hl per 12 mesi; un vino di grande eleganza, esempio di magistrale uso di legno (nuovo) funzionale ad esaltare le caratteristiche del vitigno.
Flora Sauvignon 2017, vigneti a 500m s.l.m., affinamento 50% in botti di rovere e 50% acciaio; un vino fresco, dai sentori minerali e di fiori bianchi; quello che mi ha colpito meno tra i bianchi in degustazione.
Flora Gewürztraminer 2017, vigneti a 300-450m s.l.m., affinamento in acciaio; sicuramente quello che mi è piaciuto più della batteria dei bianchi, perfettamente equilibrato fra dolcezza e acidità, con sentori delicati di rosa e mughetto. Dimenticatevi certi gewürztraminer molli e stucchevoli in cui spesso ci si imbatte.
Gschleier Alte Reben Vernatsch 2017, vigneti 450m s.l.m., lunga macerazione, affinamento 9 mesi in botti di rovere; ottenuto da vigne di oltre 80 anni (Alte Reben significa infatti “vecchie vigne”) è un perfetto connubio di freschezza e acidità, dove il sentore di frutti rossi iniziale cede il passo a note aromatiche (alloro e rosmarino). La definizione che gli ha dato Luca Gardini è stata per me illuminante: Dolce & Selvatica.
Patricia Pinot Noir 2016, vigneti 450m s.l.m., lunga macerazione, affinamento 9 mesi in botti di rovere; una bellissima espressione di pinot nero giovane, fresco. Si avvertono sentori di arancia sanguinella, frutti rossi, menta, un tocco di zenzero e pepe bianco.
Trattmann Pinot Noir 2016, vigneti 400-500m s.l.m., affinamento 15 mesi in barrique/botti di rovere; qui il pinot nero comincia a emergere in tutta la sua potenziale longevità. Spicca il tannino, croccante e fragrante, polveroso, perfettamente pronto ad evolvere.
Pinot Nero Riserva 2015 Vigna Ganger
Vigna Ganger Pinot Nero Riserva 2015, vigneti 360-380m s.l.m., fermentazione sui raspi e affinamento 20 mesi in barrique/botti di rovere. Eccolo, finalmente, Vigna Ganger, il fiore all’occhiello dell’azienda: un vigneto monopole, situato a Mazzon, zona altoatesina particolarmente vocata per il pinot nero con netta esposizione a sud-ovest e, caratterizzato da un microclima unico e terreni argillosi in superficie e con substrato calcareo. Il 2015 è fuori dubbio giovane: nell’aspettarlo fra qualche anno, per ora mi “accontento” di Patricia.
Aglianico, ai tempi Eleanico o Ellenico, vitigno portato nel sud Italia dai Greci intorno al VII secolo a.C. Si tratta di un vitigno tardivo, la vendemmia avviene generalmente ad ottobre. L’aspro territorio irpino presenta temperature rigide che rendono la coltivazione di questa varietà difficile nella gestione. Fu proprio l’habitat inospitale dell’Irpinia che riuscì a tardare l’attacco della fillossera, che nell’800 perversò in Italia ed Europa decimando vigne e raccolto. Questo garantì una grande produzione in un momento storico in cui la viticultura europea soffriva ed infatti, parte di questa produzione, veniva portata anche in Francia grazie all’antica ferrovia del vino.
Taurasi DOCG – foto modificata dall’originale di Campania Stories
Fanno parte della DOCG Taurasi 17 comuni, una netta distinzione delle zone di produzione è data dal fiume Calore.
Nord-ovest del fiume: comuni di Venticano, Torre le Nocelle, Pietradefusi. Qui è favorita l’esposizione a sud, la zona è più calda e la maturazione arriva a metà ottobre.
Ovest: terre del Fiano, comuni di Montemiletto, Montefalcione, Lapio, San Mango sul Calore. Clima continentale, con grandi escursioni termiche.
Centro Ovest sulla riva del Calore: comuni di Taurasi, Mirabella, Bonito, Sant’Angelo all’Esca, Luogosano, Fontanarosa. Zona fresca e boschiva, terreni pietrosi e calcarei, vini di eleganza, acidità e potenza tannica.
Sud, alta valle del Calore: Montemarano, Castelfranci, Paternopoli, Castelvetere. Decise escursioni termiche, maturazioni lente, maggiore alcolicità, tannino e necessità di maggiori affinamenti.
Il suolo è prevalentemente composto da argilla e calcare, nello strato più superficiale i sedimenti sono invece di origine vulcanica (tufo, pomice, lapilli) e questo conferisce al vino la grande potenza che conosciamo. Anche le forti escursioni termiche contribuiscono a forgiarne il carattere. Il disciplinare prevede 3 anni di invecchiamento di cui almeno 12 mesi in botti di legno. Il Taurasi è un vino da degustare con lentezza, stessa lentezza della vite per portare a maturazione il frutto e la lentezza dovuta negli affinamenti. Mettetevi comodi!
Taurasi: i vini in degustazione
Taurasi DOCG Antico Castello, 2012. San Mango sul Calore. Colore fitto, cupo, opaco, privo di note granate. Al naso: ciliegia, polvere, cipria, una nota vegetale di geranio. In bocca l’acidità è spiccata, sul finale arriva la nota amaricante e la percezione della potenza alcolica. Lasciandolo nel calice si esprime in una bella nota agrumata e di affumicato.
Taurasi DOCG Sertura, 2012. Torre le Nocelle. Colore molto simile al precedente, al naso si intuisce una nota eterea di naftalina e poi legno umido. Ritorna la nota di polvere e sul finale poi l’amaretto. In bocca l’acidità è maggiore ed il tannino si fa più piccante; sulla persistenza una nota dolce da legno e maggiore speziatura di pepe. Lasciandolo nel calice amplia lo spettro olfattivo: la nota eterea si fa più incisiva e spuntano ricordi di profumeria.
Radici, Mastroberardino, 2014. Atripalda. Questo vino, di maggior brillantezza all’impatto visivo, presenta un naso completamente differente rispetto ai primi due Taurasi. Qui le note prevalenti sono di sottobosco, funghi, castagna e violetta. Torna l’affumicatura nel finale ed il tannino è più pastoso con maggiore capacità astringente. Lasciandolo riposare nel calice non evolve particolarmente lo spettro, rimanendo ancorato alle note di umidità e sottobosco. In bocca sulla persistenza esce la nota vanigliata dell’affinamento in barrique. Sicuramente questo vino sconta un po’ l’annata non favorevole. Mi piacerebbe riassaggiarlo in altre annate.
Fren, Stefania Barbot, 2013. Paternopoli. L’impatto olfattivo diventa nettamente più elegante e “croccante” con arancia sanguinella e frutto rosso. Ritornano le note di polvere, cipria ed il finale affumicato. In bocca conferma l’eleganza, l’acidità è perfettamente integrata e bilanciata da una bella sapidità. Il tannino è pepato e solleticante. Riposando nel calice spuntano note etere, plastiche.
Taurasi Riserva, Borgodangelo, 2010. Sant’Angelo all’Esca. Una linea olfattiva profonda e scura, si parte con delle note di dattero e caffè che trasportano fino al catrame ed alla rosa essiccata. In bocca il tannino è ruvido, di trama fine, la potenza alcolica è netta e balsamica. La persistenza chiude con note di melograno. La riserva si sente tutta nella complessità di questo vino.
Taurasi Riserva, Feudo Apiano, 2009. Lapio. Conclude il percorso facendoci ritrovare le ormai chiare sensazioni di cipria e castagna, la ciliegia qui diventa più amarena e ci stupisce con una bella nota di sigaro. Ritroviamo anche in questo caso dattero, cacao e fico. In bocca, complice l’età, l’acidità è più spenta e prevale la salinità.
La mia personalissima classifica vede al terzo posto proprio la riserva di Feudo Apiano, al secondo posto la fragrante eleganza di Stefania Barbot, al primo posto Sertura che ha dimostrato eleganza, potenza e la capacità di evolvere nel bicchiere senza spegnersi.
Oltre a voler approfondire ulteriormente questa straordinaria realtà vitivinicola voglio assolutamente assaggiare i fichi di San Mango, uno dei tesori agroalimentari della Campania.
Ringrazio in modo particolare Dalila Condello di Hic Enoteche per i contenuti sia teorici che dei calici.
Vinocondiviso ha partecipato alla presentazione del catalogo di Proposta Vini. Di seguito ti racconto i 10 vini che più mi hanno colpito “emotivamente”. Partiamo da sud a nord, una volta tanto:
Sardegna
1) Quartomoro di Sardegna L’azienda, attiva dal 2011, produce oggi circa 20.000 bottiglie per una quindicina di etichette, forse troppe. Ma questa complessità rispecchia il numero di vigne sparse sul territorio sardo, a cui ogni etichetta è dedicata. Mi hanno colpito particolarmente 3 vini: Z Frizzante Sui Lieviti, un rifermentato in bottiglia a base vermentino e malvasia, vino da aperitivo disimpegnato ma non troppo. Naso molto interessante floreale ed agrumato, senza sentori insistiti di buccia di mela che spesso i vini di questa tipologia presentano. Il sorso è gustoso e la bollicina vivace ma non grossolana, l’amaricante in chiusura dona sapidità ed allungo. Q Brut, un Metodo Classico sorprendente, da uve vermentino. Qui saliamo di livello, il vino è decisamente complesso ed elegante. L’olfatto è un misto di frutta bianca, mare e toni affumicati. Bocca affilata e profonda. MRS 2017, da uve Muristeddu da vigne di oltre 60 anni di Mandrolisai. Vino spiccatamente floreale, di ottima verve acida con alcol gestito alla perfezione. Grinta, originalità e carattere al sorso.
2) Tanca Gioia U Tabarka L’azienda nasce nel 2000 a Carloforte, nell’Isola di San Pietro. Le vigne sulla sabbia sono a piede franco. Sono stato rapito da due vini di fattezze opposte: Carignano del Sulcis Roussou 2011, vino che inizia il suo momento migliore di beva in questo momento, a 6 anni dalla vendemmia. Austero ma compiuto, il tannino è dolce e gli aromi marini e di macchia mediterranea giocano a nascondino con le spezie in formazione. Bovale Ciù Roussou 2017, vino più spigliato, il produttore lo definisce “picaresco”, più aperto e fruttato del precedente, un corpo più sottile ed un sorso agile.
Bovale Ciù Roussou 2017 – Tanca Gioia U Tabarka
Sicilia Le due aziende che mi hanno colpito maggiormente sono entrambe etnee:
Vinudilice – I VigneriNerello dei Cento Cavalli 2016 – Sive Natura
3) I Vigneri Azienda che non ha bisogno di presentazioni, una delle colonne portanti dell’Etna con il suo splendido Etna Rosso Vinupetra. Questa volta però mi ha colpito un vino diverso, ovvero il Vinudilice, un rosato ottenuto dalla vinificazione contemporanea di uve a bacca bianca e nera come alicante, grecanico, minnella…vino piacevolmente fruttato al naso e decisamente acido in bocca, molto dinamico e succoso.
4) Sive Natura Nuovo progetto nella zona est dell’Etna. Sono stato colpito dal Nerello dei Cento Cavalli 2016, nerello mascalese e cappuccio da vigne ad alberello che donano un vino di grande equilibrio, elegante ma pieno di energia e sapore.
Calabria Produttore di Cirò dalle indimenticabili etichette anni ’50:
5) Scala Bella tuttala gamma, in particolare i Cirò rosso classico superiore e la riserva Durì, ma il vino che mi ha lasciato a bocca aperta era una magnum del Cirò Classico Superiore 2014: marino e fruttato, speziato e minerale, vino che dà il meglio di sé al sorso, dove la grinta del tannino del gaglioppo inizia a sciogliersi in una trama dolce e suadente. Delicata la chiusura ma di enorme persistenza.
Lazio Due aziende che interpretano in modo magistrale un vitigno fino a qualche anno fa decisamente bistrattato e che da qualche tempo sta iniziando ad acquisire una meritata notorietà:
Cesanese del Piglio Superiore Riserva Lepanto 2015 – Giacobbe Cesanese di Olevano Romano Riserva Kosmos 2015 – Antonelli
6) Giacobbe Alberto L’azienda agricola si estende su una superficie di circa 15 ettari collocati nei comuni di Paliano, Piglio ed Olevano Romano. Elegantemente floreale (viola) il Cesanese del Piglio Superiore Riserva Lepanto 2015, vino gustoso e complesso al tempo stesso, direi gastronomico.
7) Antonelli Marco Solo 3 ettari per questa azienda di Olevano Romano, ma con vigne dai 50 ai 70 anni di età. Uno dei vini che più mi ha colpito dell’intera rassegna è il Cesanese di Olevano Romano Riserva Kosmos 2015, vino stratificato, ampio ed austero, floreale e speziato, con un tannino piacevolmente liquirizioso che accarezza la lingua e accompagna una chiusura profonda e dissetante. Bellissimo vino!
Toscana Siamo nell’altra Toscana, quella di “serie B” potremmo dire, lontano dal Chianti e da Montalcino. Ci troviamo nel Mugello, uno dei territori più vocati per il pinot nero in Italia.
Pinot Nero Vigneto di Fortuni 2014 – Podere Fortuna
8) Podere Fortuna Circa 6 gli ettari di proprietà di Podere Fortuna che si ispira senza alcun timore reverenziale alla Borgogna. Ho trovato una gamma estremamente pulita ed elegante, con un uso del legno magistrale, cosa che non sempre avviene neppure al di là delle Alpi. I vini, a differenza di molti pinot nero italiani, non sono “appiccicosi”, molli e stramaturi e neppure eccessivamente lavorati, ma anzi esprimono grazia e spontaneità. Buona tutta la gamma, se devo evidenziare un vino forse la mia preferenza va al Pinot Nero Vigneto di Fortuni 2014, floreale e speziato, elegante in bocca senza però perdere energia e carattere.
Piemonte In Piemonte ho segnato sul taccuino due aziende per certi versi opposti, una celebra e storica, l’altra neo-costituita e praticamente sconosciuta:
9) Castello di Verduno Tutta la gamma presente in assaggio decisamente interessante, in particolare mi è piaciuto il Barolo 2015, ancora compresso ed austero com’è giusto che sia e solo bisognoso di tempo per esprimere il potenziale già sottotraccia.
Carema 2016 – Chiussuma
10) Chiussuma Bellissime notizie arrivano da Carema, territorio estremo per eccellenza i cui fasti hanno rischiato di andare per sempre perduti. Solo la Cooperativa dei Produttori di Carema e Ferrando hanno resistito negli ultimi decenni ad un declino che sembrava inarrestabile. In tempi recenti però nuove aziende stanno provando con entusiasmo e fatica a rilanciare un territorio difficile e costoso. Il recupero di antiche vigne terrazzate, abbarbicate sulla montagna ed affacciate sulla Dora Baltea sono imprese per poeti e sognatori…e i ragazzi di Chiussuma lo sono. Il Carema 2016 gli dà ragione, un vino terso, limpido e montano, sa di ribes e fiori rossi, spezie e mineralità chiara, la struttura è snella, “tutta fibra”, profondo e sapido il sorso.
Ricevo da un amico degustatore le sue impressioni da Io Bevo Così, evento che si è tenuto a Milano il 13 e 14 gennaio 2019. Ecco i vini che lo hanno più colpito, qualche appunto scritto di getto che ho deciso di non modificare.
Potevo non condividerlo? 🙂
Io Bevo Così
Di Cato – Malvasia 17 buona, fresca. Rosato Terre Aquilane, Cerasuolo declassato perché non raggiunge i 12°. In degustazione 15, 16 e 17, i 16 e 17 simili, leggerini, frutta chiara, il 15 è assolutamente notevole, frutto molto intenso, speziatura dolce, ampio, variegato, cresce in complessità nel bicchiere, beva golosa. Montepulciano 17 bello fruttato, note di cuoio dolce, buona lunghezza. Cherubini Wines – metodo classico appena fuori dalla Franciacorta. Piaciuto il rosé Levis 2011, 60 mesi sui lieviti, bel frutto rotondo, dolce, succoso, ben sorretto da corpo e acidità, lungo, molto pulito. Buono anche il Subsidium, da uve Chardonnay e PN, 60 mesi sui lieviti, annata 2011, cremoso, floreale. Enrico Druetto – Morej (14 o15) da uve barbera con qualche altro vitigno in piccolissime quantità, vino succoso, bella acidità, un filo di rusticità, beva asciutta e godibile. Rovej 15 da uve slarina, varietà autoctona, grappoli piccoli con acini molto piccoli e ricchi di pruina – tanto che viene anche chiamata cinerina. Al naso frutti neri, balsamicità, spezia affumicata, bocca fresca, tannini fini, ritorni di frutta e tabacco. Preja, bianco da uve baratuciat, autoctono dell’area torinese. Annata 16, vino ossidativo perché la botte si è scolmata, l’ho trovato potente ma sgraziato, annata 17, vinificato in bianco vino di gran beva, tenero, floreale e frutta bianca. Podere Sotto il Noce – dell’amico Max ho provato solo una novità: un rosso fermo da tre varietà di Lambrusco che veramente mancava. Alta gradevolezza, aperto, morbido, equilibrato, frutta chiara, bacche di bosco, note di nocciola, vino da consumare a litri. Col di Corte – verdicchio di buon livello per questa azienda, in specie la riserva Sant’Ansovino 2016 decisamente di alto livello, ricco, potente, grasso, fresco e fine, grande intensità ed equilibrio. Martilde – ottima la croatina Ghiro d’Inverno 2010, pulita, speziata, profonda, frutto ricco e croccante, dolcezza intensa e fine. Cantina Giara – piaciuto il Fiano Cicaleccio 2017, alcuni giorni di macerazione, bella terrosità, maturo e fruttato con note di frutta secca, susine, uva spina. Beva franca e aperta. Philippe Gilbert – Menetou-Salon rosé 2017, vino di una beva golosissima, frutto solare, fiori e spezie chiare, tenero e sapido. Marco Merli – Buona serie di vini, particolarmente mi è piaciuto il Tristo, trebbiano macerato molto elegante, vegetale fresco, balsamico, succoso, fiori bianchi macerati, macchia mediterranea. Appagante al palato, lungo e pulito Tatsis – produttore macedone con una bellissima gamma. Provati 3 differenti vini da uve Roditis del 2016, uno vinificato in bianco e molto semplice, 2 versioni macerate per 30/32 giorni, uno resinato e uno no. La versione resinata molto ampio, vario, intenso ma ancora piuttosto sgraziato e scomposto, il macerato “normale” è un vino affascinante, intenso, ricco, dinamico, vario, frutta bianca matura, fiori, aria di mare, sabbia bagnata, grande tensione nel bicchiere, struttura importante ma la freschezza equilibra la beva rendendola golosissima. Rosso Limnio 2017, vitigno autoctono. Vino luminoso, frutto arioso e croccante, un cesto di frutta rossa, succoso e vivace, da bere a canna tanto è irresistibile. Giovanni Iannucci – gradevoli le sue Falanghina, Campo di Mandrie fresca, frutto chiaro, sapida e floreale, beva pulita ed appagante. La Forma, Falanghina macerata, decisamente intensa, fiori bianchi macerati, buccia di mela, rotonda e lunga ben sorretta da acidità equilibrata. Le Verzure – un gradevole Bianco Augusto 2016, trebbiano a malvasia macerati, ampio e succoso, aromatico e fruttato, bella bevibilità. Sileo 2016 è un sangiovese vinificato in anfora con 6 mesi di macerazione, ne esce un vino brillante, aperto, qualche leggera rusticità per un frutto fresco, una terrosità fine, una balsamicità cremosa, con qualche punta ruvida che gli dà personalità, chiusura freschissima e lunga. Golosissimo, per me molto più valido dei due sangiovese vinificati tradizionali in acciaio e legno da loro prodotti. Samuel Cano Vinos Patio – una bella gamma di vini, puliti, succosi. Tra questi un rosso da uve Tinto Velasco chiamato Paeriza, fruttini dolci, morbido, speziato, carnoso, caldo. Un rosato pet-nat, Atardecer en el Patio 2017, morbido e profumato, dolce, fresco, beva irresistibile. Poi un bianco macerato da uve Airen, Aire en el Patio 2015, che mostra una certa immaturità ma anche intensità e classe, ricco di sapore, frutta matura, sapido, punte un po’ rustiche che richiedono tempo. Darà soddisfazioni. Manlio Manganaro – Grillo 2017, prima annata di questo produttore. Vino espressivo, balsamico, cremoso, solare, intenso. Da tenere sotto osservazione per le prossime annate. Le Selve – nebbioli di Donnas (picotendro) in varie interpretazioni di vigne e vinificazioni. Molto interessanti, tipici vini di montagna, sottobosco, fiori macerati, carne, acidità lieve, tannini fini e vivaci.
Ci troviamo approssimativamente tra le note città di Narbonne e Carcassonne, l’appellation Minervois si estende da est a ovest per 60 km e da nord a sud per 20 km.
La AOC è piuttosto recente (1985) e conta quasi 4.000 ettari. Solo da qualche decennio però, grazie all’abbassamento delle rese e delle quantità prodotte, i vini si sono imposti all’attenzione dei degustatori.
Grenache, syrah, mourvèdre, cinsault, terret, picpoul, aspiran sono i vitigni a bacca nera in cui l’enofilo può imbattersi (spesso in uvaggio); in bianco invece troviamo grenache blanc, bourboulenc, maccabeu, marsanne, roussanne, vermentino…
Minervois AOC “Campagne de Centeilles” 2013 – Clos Centeilles
Minervois AOC “Campagne de Centeilles” 2013 – Clos Centeilles
Il vino – cinsault quasi in purezza – si presenta con un bel rosso rubino chiaro di grande luminosità.
Naso subito pimpante, apre le danze un bel floreale (garofano) a seguire frutti di bosco aciduli (ribes) e maturi (mirtilli).
Dopo qualche secondo l’olfatto si rasserena su toni più dolci e terziari come la prugna ed il cacao.
La bocca in ingresso è decisamente succosa, sensazioni acidule di ribes e di frutta più matura mantengono il sorso dinamico e gustoso.
L’acidità, sempre in primo piano, è ben rintuzzata da alcol e tannini, che non perdono mai misura e compostezza.
Il finale è “dissetante” e sapido.
Oggi ti parlo di un vino proveniente dalla più estesa denominazione del Rodano settentrionale: Crozes-Hermitage,
Con i suoi 1.500 ettari, Crozes-Hermitage non è certo la più prestigiosa zona del Rodano, ma è comunque capace di dare vini piacevoli (sia rossi da syrah, sia bianchi a base di marsanne e roussanne), non troppo impegnativi e spesso più agili e meno pretenziosi rispetto ai vini delle denominazioni limitrofe.
Crozes-Hermitage “Les Meysonniers” 2014 – M. Chapoutier
Rosso rubino chiaro il colore. Naso piuttosto elegante, quasi timidamente emergono, uno alla volta, sentori di frutta matura (susina, ciliegia), fiori freschi (violetta), un po’ di spezie (cannella), cioccolatino alla menta.
La bocca ha un buon volume ma senza eccessi, il sorso è composto, vibrante e succoso, con acidità funzionale ad equilibrare le morbidezze alcoliche e la dolce materia fruttata.
La chiusura è pulita, anche se manca di un po’ di lunghezza, ma la sapidità lascia la bocca piacevolmente saporita.