3 giovani produttori a Vinitaly 2022

Vinitaly è senza dubbio la più importante fiera del vino d’Italia. Il numero di espositori e visitatori che gravitano intorno a Verona nei giorni del Vinitaly sono impressionanti. Noi di Vinocondiviso non potevamo mancare ma abbiamo deciso di visitare il Vinitalty 2022 con uno sguardo attento anche alle novità e ai piccoli produttori o denominazioni.

Sì, perché il Vinitaly non è solo fatto di grandi consorzi o grandi aziende, ma in diverse collocazioni trovano spazio produttori emergenti, denominazioni minori, vini biologici, artigiani, naturali…

Anche quest’anno, come accaduto nel 2019, tra i numerosi eventi e convegni abbiamo avuto modo di partecipare a Young to Young, l’ormai consueto momento di confronto, moderato da Paolo Massobrio e Marco Gatti, tra giovani vignaioli e comunicatori del vino.

­Ecco gli interessanti vini degustati!

Spumante Lessini Durello Riserva Metodo Classico brut 2017 – Fongaro

L’azienda Fongaro è stata fondata nel 1975 da Guerrino Fongaro, ma dal 2020 alla guida dell’azienda vi è Tanita Danese, under 30, amministratore unico dell’azienda e con le idee molto chiare: certificazione biologica, focus sul Metodo Classico e cura maniacale del vitigno feticcio dell’azienda, la durella. Il vino che abbiamo nel calice matura in bottiglia sui propri lieviti 48 mesi, si presenta in veste giallo oro luminoso, il perlage è sottile e continuo. L’olfatto è stratificato e originale: viola, pompelmo, un tocco di frutta esotica, nocciola, il tutto avvolto da una soffusa mineralità. Al sorso il vino sorprende per una grande freschezza che il dosage (6-8 gr/litro) stempera appena. Sorso profondo ma sorretto da intensità e corpo. Chiusura sapida e lunga.

Indomito

Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese TIĀMAT 2020 – Cordero San Giorgio

I tre giovani fratelli Cordero si trasferiscono dalle Langhe in Oltrepò rilevando nel 2019 l’azienda Tenuta San Giorgio. 22 ettari vitati con vigne piuttosto vecchie a Santa Giulietta e voilà, parte l’avventura di Cordero San Giorgio

Il vino che degustiamo, con l’inconscia diffidenza che si impossessa di noi quando assaggiamo un pinot nero italico, è sorprendente. Un classico rubino scarico di bella trasparenza fa da apripista ad un naso fatto di lamponi e ribes, hibiscus, cannella e altre spezie in divenire, grafite. La bocca in ingresso è caratterizzata dalla piacevole dolcezza dei fruttini rossi percepiti al naso, buon volume e grande beva per un liquido che si muove con dinamica e con un tannino elegante (il 10% dell’uva non viene diraspata).

Promettente

Rossese di Dolceacqua Superiore Peverelli 2019 – Mauro Zino

Alla guida dell’azienda Mauro Zino vi è un ragazzo poco più che ventenne. Recupera l’attività e le vigne di famiglia, tra le quali l’impervia vigna Peverelli, conosciuta con questo nome fin dal 1700.

Rosso rubino intenso il colore. L’olfatto si apre sulla frutta rossa, l’incenso, le rose appassite e la macchia mediterranea. Il sorso è leggero, danza con eleganza sul palato lasciando in ricordo un’eco di mare e sale. Vino ispiratissimo e produttore che si impone all’attenzione dei tanti appassionati di Dolceacqua e del suo rossese. Peccato solo per le esigue quantità di questo specifico cru, prodotto in non più di 400 bottiglie.

Raffinato

Diego Mutarelli
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A.A.A.: Alto Adige Again

Che qualcuno, qui a Vinocondiviso, abbia un debole per l’Alto Adige, ne abbiamo tracce in alcuni articoli (ad esempio: qui, oppure qui, ma anche qui): l’occasione di partecipare all’evento “Vignaioli indipendenti del Trentino e dell’Alto Adige”, tenutosi domenica 13 marzo a Milano, era troppo ghiotta per farsela sfuggire.

Fra produttori che già apprezzavamo e altri per noi nuovi (Oberstein e Untermoserhof) abbiamo scelto sei vini che ci hanno colpito per eleganza (due pinot bianco), potenza (due pinot nero) e identità territoriale (e questi ultimi due ve li sveliamo dopo).

Il vitigno a bacca bianca per cui è famoso l’Alto Adige è il gewürztraminer, ma questa regione riesce a regalare grandi espressioni di pinot bianco; eccone due, campioni di eleganza:

  • Lapis 2018 di Weingut Oberstein: il nome del vino significa pietra in latino e la scelta è azzeccata; freschezza e mineralità sono i fili conduttori sia al naso che all’assaggio.
  • In der Låmm 2019 di Weingut Abraham: qui il pinot bianco si fa ancora più elegante e femminile con note di mughetto ed erbe di montagna, in bocca verticale e incredibilmente sapido. Nota: sì, da donna mi permetto di usare ancora l’aggettivo “femminile” per un vino senza sentirmi “politicamente scorretta”.

Eccoci ora a parlare del re pinot nero, coltivato in Alto Adige almeno da metà Ottocento, ovvero prima della sua annessione in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale, grazie al sostegno dell’Arciduca Giovanni d’Asburgo, in due versioni, diverse per luogo e tecnica di affinamento, che ci hanno colpito per la loro potenza:

  • Schwarze Madonna Pinot Nero Riserva 2018 di Klosterhof: l’ultima generazione in azienda ha avuto esperienze in Borgogna e lo sguardo è irrimediabilmente sempre verso la Cote d’Or ma … coi piedi ben radicati nelle loro vigne, nella Bassa Atesina (siamo vicino al lago di Caldaro). Bocca piena e avvolgente, tannino fine, ampi margini di evoluzione.
  • Vigna Zis Pinot Nero 2016 di Brunnenhof: siamo stati anni fa nella cantina di Kurt Rottensteiner,  e ci ricordavamo nella bellissima “Vigna Zis” a Mazzon;  questa single vineyard, prodotta solo nelle annate migliori, sempre in tonneaux, è la summa del pensiero di Kurt: far emergere annata e terroir. Ci provano e lo dicono in tanti ma come si dice in inglese “easier said than done”. Naso intenso e austero, sorso ampio, grande persistenza: e pensare che Kurt lo teneva nascosto, al banco d’assaggio 😉

Passiamo ora a due vini che ci hanno colpito per la loro identità territoriale:

  • Santa Maddalena Classico 2020 di Untermoserhof: la cantina è proprio vicino alla chiesetta simbolo della denominazione, nell’omonimo villaggio che si raggiunge a piedi (ma in salita) da Bolzano; già al nostro primo sorso capiamo quanto tenga alla schiava, uva base del Santa Maddalena, e quanto impegno ci sia nel valorizzarla. Abbiamo degustato il vino con Massimo Zanichelli, che ne ha scritto una interessantissima verticale su Acqua buona:  I due Santa Maddalena di Georg e Florian Ramoser – Racconto di una verticale. Bellissima scoperta e lettura superconsigliata (questo il link).
  • AnJo 2019 di Strasserhof: siamo nella Valle Isarco, dove il kerner dà il suo meglio e infatti quello prodotto da Hannes è egregio. Qui vi parliamo di un altro vino che ci ha molto colpito sia per la sua aderenza territoriale sia per la voglia di sperimentare: Anjo, ultimo nato in azienda (siamo solo a due annate prodotte, 2018 e 2019), un blend di sylvaner (50%), riesling (35%), kerner (15%) affinato in legno. Un vino di struttura e di grande equilibrio gustativo, destinato ad un ottimo invecchiamento.

HALLO SÜDTIROL, SEHEN WIR UNS BALD WIEDER!

Alessandra Gianelli
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Nuovi pionieri a San Casciano in Val di Pesa: La Sala

Il comune di San Casciano in Val di Pesa è l’avamposto settentrionale dell’areale del Chianti Classico. Ha visto la sua fortuna con Antinori, attraverso brand come Tignanello e ancora di più Solaia. Sebbene la storia vitivinicola di questa terra abbia radici antiche, in passato i viticoltori erano soprattutto conferitori di uve. Al giorno d’oggi, invece, si respira un’aria nuova, fatta di ricerca e aspirazione verso la migliore espressione di sangiovese, desideroso di affermarsi per quella che è la sua identità e la sua impronta nel territorio. Finalmente le aziende di qualità hanno la possibilità di affermarsi e di diventare rappresentative per il loro comune e la denominazione.

In questo contesto di romanticismo agronomico sorge l’azienda vinicola La Sala, che oltre alla distesa di ulivi e bosco possiede una trentina di ettari vitati dislocati tra le località Montefiridolfi e Sorripa.

Francesco Rossi Ferrini ha acquisito la proprietà nel 2014 e da subito ha intrapreso un percorso all’insegna del biologico e della sostenibilità, contando sul supporto di collaboratori giovani e affezionati a questo luogo.

Visitando la cantina e percorrendo la terra lungo i filari a Montefiridolfi, si percepisce la continua ricerca verso la perfezione. “Perfezione” non certo intesa come aggiustamenti e miglioramenti artificiali in cantina, ma come indagine sopraffina in campagna e in cantina, dialogo con la natura, aspirazione verso un’armonia e un equilibrio eccezionali.

All’assaggio diversi elementi fondamentali sono degni di nota. Il primo riguarda il Chianti Classico e la Riserva, poiché se oggi le mode vanno verso la sottigliezza, i colori trasparenti e le strutture esili e “pinotteggianti”, al contrario questi vini sono concentrati, composti da luci ed ombre, sono fatti di materia e per questo non risultano per nulla banali ed anzi piacevolmente gastronomici.

Il Campo all’Albero è un blend di merlot e cabernet sauvignon. Al naso privilegia la purezza del frutto, sia rosso che viola, seguito da sentori minerali e speziati, come la bacca di vaniglia.

In bocca è fresco, concentrato, il tannino fa sentire di più la sua presenza rispetto agli altri vini, anche per la giovane età di questa 2019.

Infine, il Chianti Classico Gran Selezione il Torriano, un vino che imprime nel calice l’impronta esatta del terroir, in un bouquet raffinatissimo dove si esalta la viola e fiori carnosi come la peonia, il tutto avviluppato da note minerali e di sottobosco, con un frutto rosso in sottofondo che invoglia all’assaggio. La trama tannica è fitta ma funge da sostegno al sorso, non è soverchiante. Il finale lungo, rinfrescante e sapido.

Redazione

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Il pinot nero è la risposta?

“Cosa vuoi fare da grande?”

Quante volte ce lo siamo sentiti domandare, da piccoli. E quante volte ce lo siamo chiesti, da adulti.

courtesy of Alessandro Anglisani

L’Oltrepò sembra ancora alle prese con questa domanda, nonostante una storia vitivinicola che si perde fino ai tempi dell’Impero Romano; un territorio esteso, immenso se paragonato ad altre zone vinicole italiane, dove è scontata la presenza di tanti vitigni e la produzione di vini diversi; dove tuttavia non dovrebbero mai esser dati per scontati qualità e rigore nelle scelte aziendali, in vigna, in cantina, sul mercato. Di rigore ha parlato Armando Castagno, giornalista, scrittore e grande comunicatore del vino, al secondo evento organizzato dall’associazione “Oltrepò, terra di pinot nero” a Milano, lo scorso giovedì 2 dicembre, confrontandosi con Filippo Bartolotta, altro importante rappresentante della critica enologica in Italia e nel mondo: “rigore a livello associativo, di viticoltura, di produzione, su disciplinare, di comunicazione, di sostenibilità economica … (un rigore) speso per conoscere e far conoscere i frutti di un territorio dalle potenzialità enormi”.

Al termine del dibattito, tanti gli assaggi di pinot nero nelle sue due declinazioni – spumantizzato e vinificato in rosso – dei 23 produttori presenti; ne abbiamo scelti due che ci continuano a stupire per classe e qualità: il metodo classico Farfalla Cave Privée 2013 di Ballabio e il Giorgio Odero 2017 di Frecciarossa.

E che il Pinot nero sia veramente la risposta alla domanda iniziale, ce lo suggeriscono vini come questi.

Alessandra Gianelli
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Benvenuto Brunello 2017 e Riserva 2016: tra aspettative e realtà

Fin dalla sua nascita Vinocondiviso è stato pensato come un progetto aperto ai contributi dei lettori. Riceviamo da uno di questi un pezzo che abbiamo deciso di condividere. Invitiamo chiunque voglia condividere le emozioni legate al nostro liquido odoroso preferito di inviarci i propri contributi!

Dopo quasi due anni dall’ultima volta, finalmente la scorsa settimana abbiamo partecipato al Benvenuto Brunello per assaggiare il Brunello di Montalcino 2017 e la Riserva 2016 che entreranno nel mercato a gennaio 2022.

A essere sinceri le aspettative erano piuttosto fatalistiche: dopo i vini opulenti e in alcuni casi “ben cotti” della 2015, cos’avremmo potuto trovare in un’annata ancora più calda e secca, la 2017?

Va beh, poco importa, tanta era la voglia di scoprire come i produttori avevano affrontato questa sfida, e poi a consolarci ci sarebbero state le Riserve 2016, un millesimo al quale finora abbiamo potuto attingere ben poco, non avendo partecipato all’edizione del Benvenuto di febbraio 2021.

La formula delle ultime due anteprime si è dimostrata decisamente intelligente: non solo ha risposto alle necessità di distanziamento in sicurezza del momento, ma secondo i produttori anche fuori da Montalcino, questa sarà la chiave di svolta per il futuro degli eventi del vino. Bisogna infatti dimenticare il metodo “sagra” che tutti noi, ahimè, conosciamo. Per partecipare bisognava prenotarsi un posto a sedere in una determinata fascia oraria, a disposizione c’erano cinque calici e la lista dei vini presenti, mentre un numeroso gruppo di sommelier portava alla tua postazione i vini che avevi scelto – devo fare i miei complimenti all’Ais per la loro velocità di servizio, disponibilità e gentilezza. Ci sono mancati molto i produttori in questa edizione, ma riteniamo che la cosa più importante sia stata trovare un modo per riconoscere la giusta dignità sia al vino che alla persona che lo ha creato.

Questo Benvenuto Brunello è stato formulato in maniera intelligente anche per la scelta del periodo. James Suckling, infatti, ha pubblicato la lista dei suoi Top 100 wines proprio nelle scorse settimane, tra i quali compaiono anche diversi Brunelli tra Riserve e selezioni 2016. Così, cavalcando l’onda della stampa, il Consorzio del Brunello non solo si è distaccato dalle altre anteprime di Toscana (normalmente svolte a febbraio), ma ha potuto dare sia agli altri giornalisti che agli operatori del settore il materiale necessario per definire già da ora le vendite del 2022.

Ma passiamo ai vini.

Non abbiamo volutamente letto le recensioni di professionisti affermati e più competenti di noi per vedere se la nostra opinione avrebbe rispecchiato il loro giudizio.

Come già anticipato, ci aspettavamo dai campioni di Brunello 2017 vini evoluti, o come ci piace dire scherzosamente, “da bere ieri”, seduti e verdi nel tannino. Per quanto riguarda le Riserve 2016 invece l’asticella era molto alta, dal momento che in Toscana e non solo questo millesimo è stato di gran lunga il migliore degli ultimi dieci anni.

Ebbene, come volevasi dimostrare le difficoltà dell’annata si sono fatte sentire, com’è giusto che sia, anche se alcune eccellenze hanno dimostrato una grandissima abilità nell’affrontarla al meglio senza stravolgerla.

In particolare, ho ritrovato buoni risultati tra i Brunelli 2017 del nord. Se il versante meridionale generalmente si distingue per la sua complessità, estroversione e profondità, quello settentrionale risulta generalmente più semplice nel corredo aromatico e nel volume in bocca, ad eccezione dello straordinario caso della collina di Montosoli. Tuttavia, nel versante nord negli ultimi anni si stanno ottenendo ottimi risultati esaltando l’eleganza e la sinuosità del sangiovese, e la 2017 ne è un esempio lampante, specialmente per coloro che non hanno voluto strafare, senza esagerare né nelle estrazioni né nell’uso del legno per ammorbidire l’impronta di quel tannino verde lasciato da annate estremamente calde.

Ora però viene la nota dolente, ovvero la delusione delle Riserve 2016: caramella mou, menta, eucalipto, rosmarino, vaniglia, armadio chiuso, con ogni probabilità abbiamo assaggiato cinquanta sfumature di legno. Tornando seri, ci chiediamo perché parlare di Riserva rimane ancora oggi sinonimo di eccesso di legno. E soprattutto, perché rovinare un’annata che ha fatto prima soffrire in vigna poi sognare durante la vendemmia? Capiamoci, dall’elenco dei nostri migliori assaggi noterete che abbiamo comunque preferito le 2016 alle 2017, tuttavia i risultati che ci aspettavamo erano ben diversi. Ad ogni modo, avendo assaggiato comodamente sessantacinque campioni, possiamo comunque affermare che le belle sorprese ci sono state.

Ecco i nostri migliori assaggi:

BRUNELLO DI MONTALCINO 2017

Poggio di Sotto Brunello di Montalcino 2017 – hanno esaltato la complessità che si ritrova a Castelnuovo dell’Abate, riuscendo a imbastire un vino slanciato nonostante l’annata. Ecco, ancora una volta i vini migliori sono ottimi sia da giovani sia dopo un lungo invecchiamento.

Mastrojanni Brunello di Montalcino Vigna Loreto 2017 – perché ogni anno dimostra una coerenza rassicurante nella sua entrata di bocca gentile per lasciare il passo ad un finale potente e incisivo (dobbiamo ammettere però che la sua espressione migliore è riservata ad altre annate)

Castello Tricerchi Brunello di Montalcino AD 441 2017 – anche se ci chiediamo quanto rappresenti l’annata un vino così scarico, rimane comunque tra i più slanciati ed eleganti in assaggio.

Ciacci Piccolomini d’Aragona Brunello di Montalcino 2017 Pianrosso – dinamicità sorprendente.

Il Colle del Fante Brunello di Montalcino 2017 – dell’azienda Ventolaio, naso etereo, si riconosce il tannino graffiante della 17, ottima acidità che lo rende vivace.

Le Chiuse Brunello di Montalcino 2017 – naso un po’ più estroverso del solito, ad ogni modo è un vino che merita ancora un po’di attesa per il suo tannino ancora graffiante.

BRUNELLO DI MONTALCINO RISERVA 2016

Albatreti Brunello di Montalcino Riserva 2016 – quando classe e naturalezza diventano sinonimi per raccontare il vino.

Canalicchio di Sopra Brunello di Montalcino Riserva 2016 – apprezziamo sempre la loro coerenza cupa e austera. Un grande classico.

Il Poggione Brunello di Montalcino Riserva 2016 Vigna Paganelli – a nostro parere ha tutto quello che serve per un Brunello, non manca nulla.

Agostina Pieri Brunello di Montalcino Riserva 2016 – sorpresa inaspettata, naso cupo e bocca sapida.

Cava d’Onice Brunello di Montalcino Riserva 2016 – sapido, floreale, etereo. Anche il Brunello 2017 è stata una piacevole sorpresa (“sorpresa” per modo di dire, perché si sa che le annate difficili sono l’asso nella manica di Simone Nannetti).

Fattoi Brunello di Montalcino Riserva 2016 – al naso si coglie un uso del legno poco timido, lo apprezziamo soprattutto per il suo sorso pieno e sapido.

ROSSO DI MONTALCINO 2020

Il Paradiso di Manfredi Rosso di Montalcino 2020 – questo è un mondo a parte, si distingue da qualsiasi altro vino ma vale la pena di essere nominato. Ci viene in mente una citazione di Nietzsche che ci proietta improvvisamente fuori da questo contesto, in un altro tempo e spazio: “E se tu riguarderai a fondo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te”.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi

Mercato dei Vini FIVI a Piacenza: assaggi e riflessioni

La decima edizione del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti era particolarmente attesa, visto che nel 2020 non si era potuta tenere a causa della pandemia. La paziente attesa è stata ripagata da una grande affluenza di produttori espositori (oltre 600) e di visitatori, in gran parte appassionati e operatori del settore.

Organizzazione e logistica

Spesso gli eventi vinosi peccano in organizzazione e logistica, soprattutto se l’affluenza è considerevole. Non è stato il caso di questo evento. Piacenza Expo è risultata una location sufficientemente ampia – anche nei parcheggi – e ben collegata con un servizio di navette efficiente e puntuale che faceva spola tra la fiera e la stazione dei treni. Su quest’ultimo punto suggerirei ai promotori di Modena Champagne Experience una chiacchierata con i colleghi FIVI perché decisamente siamo su un altro pianeta… L’inevitabile coda all’apertura dei cancelli, nonostante la verifica del Green Pass, è stata smaltita in un tempo ragionevole e all’interno dei padiglioni si riusciva a passeggiare con una certa tranquillità. Persino lo spazio dedicato al ristoro mi è sembrato ben dimensionato e, soprattutto, di qualità.

Assaggi

In un’evento del genere è impossibile assaggiare tutto, ovviamente, e per questo ho deciso di dedicarmi ai produttori che frequento con meno costanza o che non conoscevo. La serendipità negli assaggi è anche agevolata dalla mancanza di un ordine preciso dei banchetti: i produttori non sono dislocati per denominazione o area geografica, capita così che mentre degusti un Chianti ti cada l’occhio sul banchetto vicino di un produttore pugliese o sardo che magari non conoscevi.

Di seguito quindi, senza un ordine particolare, un cenno ai vini che mi hanno più colpito.

Partiamo dal Valtellina Superiore Grumello 2015 di Gianatti Giorgio con un color melograno chiarissimo, con un naso delicato ma frastagliato come un ricamo, suadente e profondo, un vino d’altri tempi. Decisamente convincente il Chianti Classico Riserva Levigne 2013 di Istine di gran frutto e spessore, migliorerà ancora. Il Vin Santo Albarola Val di Nure di Barattieri si conferma tra i migliori vini passiti italiani, ho assaggiato i millesimi 2008 e 2010, con una leggera preferenza per il 2008, ma sono gusti individuali che nulla tolgono all’emozione derivante dall’assaggio di questo nettare di malvasia di Candia aromatica che sosta 10 anni in caratelli (alcuni dei quali del 1800!). Da segnalare il Grignolino del Monferrato Casalese Bestia Grama 2020 di BES, un grignolino comme il faut speziato e spigliato, floreale e beverino, sapidissimo in chiusura, bravi! Il Chianti Classico Riserva 2016 I Fabbri è ancora giovane ma già estroverso con ribes, alloro, viole e terra smossa al naso, la bocca è intensa, ampia, succosa e lunga dal tannino perfettamente estratto. Il vino bianco che più mi ha colpito nella manifestazione è di un’azienda biodinamica toscana, si tratta di Le Verzure che con il loro BiancoAugusto 2019, trebbiano e malvasia macerati e affinati in anfore di terracotta, danno vita ad un vino complesso e preciso, goloso e mediterraneo, elegante e “proporzionato”. Chiudiamo con un altro vino bianco, l’Amforéas 2020 di Marco Ludovico da uve trebbiano allevate in provincia di Taranto e macerate quattro mesi in anfora, il vino risulta saporito e di personalità ma rigoroso e fine.

Ci sarebbero stati molti altri vini da assaggiare e raccontare ma ho terminato gli assaggi per partecipare ad una masterclass dedicata ad un vitigno friulano “in verticale”, ma ne parleremo in un prossimo post!

Diego Mutarelli
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Modena Champagne Experience 2021: i nostri coups de cœur

In Italia è senza alcun dubbio l’evento più importante dedicato alle bollicine d’Oltralpe. Oltre 600 etichette in degustazione, più di 120 produttori, una due giorni imperdibile che si è tenuta a Modena il 10 e l’11 ottobre.

Stiamo parlando di Modena Champagne Experience, evento che tutti gli anni viene organizzato da Società Excellence, l’associazione che riunisce diciotto tra i maggiori importatori e distributori di champagne.

Impossibile un resoconto dettagliato dei tanti champagne assaggiati, ma non ci tiriamo indietro e sveliamo le tre bollicine che più ci hanno colpito, i nostri coups de cœur insomma.

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Champagne Blanc de Blancs Brut Grand Cru La Chapelle du Clos 2014 – Claude Cazals

Maison familiare fondata nel 1897 a Le Mesnil-sur-Oger oggi guidata con sicurezza da Delphine Cazals, presente alla manifestazione. Champagne Cazals, situata nel cuore della Côte des Blancs, possiede uno dei rari clos di Champagne, un unico appezzamento di 3,70 ettari, circondato interamente da un muro (un clos, per l’appunto), che ne identifica l’unicità ed il particolare microclima, anzi forse sarebbe meglio dire “microcosmo”. Da questa parcella l’azienda ottiene due Champagne, il Clos Cazals e La Chappelle du Clos. Quest’ultimo vino, che abbiamo degustato nel millesimo 2014, è ottenuto da una parcella del Clos situata nei pressi di una Cappella, affina 6 anni sui lieviti prima della sboccatura per un dosaggio di 6 g/litro.

L’olfatto del vino è un ricamo delicato ed elegantissimo: fiori bianchi, note minerali di gesso e calcare, scorza d’agrume e susine Mirabelle. Sorso soave, perlage fine, sottile, gentilmente persistente, sviluppo meravigliosamente armonico. Chiusura pulita e persistente di grande raffinatezza minerale.

Champagne Blanc de Blancs Extra Brut Grand Cru De Caurés à Mont-Aigu 2014 – Guiborat

Anche Guiborat si trova nella Côte des Blancs e, più precisamente, a Cramant. L’azienda possiede 8 ettari esclusivamente dedicati allo chardonnay. Produttore non ancora così noto, ma ben recensito dagli esperti di bollicine, ci ha colpito in particolare con questa cuvée ottenuta da 2 parcelle di Chouilly; le uve provengono per l’84% da uve del vigneto Le Mont Aigu, piantato nel 1970 e per il 16% da Les Caurés, piantato nel 1946.

Il vino non fa malolattica e non ha dosaggio.

Non è uno champagne da evento, si concede lentamente ed il tempo da dedicargli, in una manifestazione che rischia di trascinarti in assaggi compulsivi, rischia di non essere sufficiente. Ma il calice ci ha chiesto di attenderlo, per ascoltare i suoi sbuffi di nocciole e gesso, agrumi e pasta frolla…la bocca ha grande armonia, struttura e pienezza, ma si muove in profondità grazie ad un’acidità ben presente che allunga la persistenza in un finale dissetate e piacevolmente sapido.

Champagne Extra Brut Dizy Terres Rouges 2013 – Jacquesson

Jacquesson si trova a Dizy, ai piedi della Montagne de Reims. La storia dell’azienda è antica, infatti la fondazione della cantina risale alla fine del 1700; non tutti sanno che si deve a Jacquesson la messa a punto, nel 1844, della gabbietta che trattiene il tappo a fungo degli champagne.

Il Terres Rouges è un lieu-dit 100% pinot nero, 7 anni sui lieviti con un dosaggio di appena 0,75 g/litro. L’olfatto si apre sulla frutta rossa, marchio di fabbrica del pinot nero, in questa fase non c’è però alcun eccesso di maturazione o estratto, il frutto rosso è anzi croccante, fresco e scattante, la mineralità non è affatto in secondo piano, anzi si fonde perfettamente nel profilo del vino e lo accompagna anche nello sviluppo lungo il cavo orale. Potenza ed eleganza, espressività e rigore, è uno champagne che unisce gli opposti e, pur giovanissimo, è già molto godibile.

Questi sono stati i nostri assaggi indimenticabili, quali i tuoi? Scrivicelo nei commenti al post!

Diego Mutarelli
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Istantanee dalle Langhe

Il successo dei vini delle Langhe, trainato da Barolo e Barbaresco, richiede all’appassionato di vino che voglia visitarne il territorio alcune accortezze. In questo post abbiamo pensato – freschi della nostra ultima ricognizione a Barolo e dintorni – di dare qualche suggerimento e suggestione utili ad organizzare al meglio la propria visita. Nessuna ambizione di esaustività, solo delle istantanee dalle Langhe che, come da nostra missione, vogliamo condividere.

Comm. G.B. Burlotto

Pianificazione delle visite

Lo sappiamo, è sempre una buona abitudine pianificare per tempo le visite. Nelle Langhe, visto il costante flusso di enoturisti, è ormai una necessità; se poi consideriamo che il Covid ha portato alcune aziende a sospendere temporaneamente l’accesso in cantina… diventa evidente che è bene organizzare il proprio percorso con buon anticipo.

Acquisti

Acquistare direttamente dal produttore non è solo conveniente ma spesso consente di “ancorare” il ricordo della visita al momento in cui stapperemo la bottiglia. Nelle Langhe però, così come nei più importanti territori vinicoli del mondo, è ormai difficile acquistare direttamente. Ha preso orami piede il cosiddetto fenomeno delle assegnazioni che riguarda anche l’acquisto da parte dei privati. Di cosa si tratta? Per gestire l’enorme richiesta di vino cercando di accontentare più appassionati possibile, le aziende pre-assegnano del vino – con limiti di quantità – alla propria clientela. In tal modo ogni anno le aziende vendono tutto il vino dell’annata prima ancora che le bottiglie siano in commercio.  Se i vantaggi commerciali sono evidenti, per gli appassionati fuori da assegnazione non resta che mettersi in lista di attesa, sperando che gli anni successivi qualche cliente non confermi gli acquisti e liberi il posto a chi è in coda.

Il fenomeno non è certo nuovo ma fino a pochi anni fa era limitato alle aziende più prestigiose. Ora si sta allargando anche ad aziende meno note ma che sono salite alla ribalta per la qualità dei propri vini.

Mangiare

Una sosta con le gambe sotto il tavolo per gustare la cucina piemontese è sempre gradita. Le nostre soluzioni preferite sono quelle che coniugano qualità della cucina, carta vini dai giusti ricarichi e rapidità di servizio (che dopo il pranzo altre visite ci attendono!). Un luogo che risponde perfettamente a queste caratteristiche è il ristorante Repubblica di Perno che ci ha accolto con l’immancabile assaggio di insalata russa e ci ha poi coccolato con il golosissimo uovo in camicia alle spugnole e la rolata e frise di agnello con piselli. A chiudere un assaggio di formaggi. Dalla carta dei vini la scelta è caduta sul Langhe Nebbiolo 2019 di Philine Isabelle, che conferma tutto quello che di buono avevamo sentito dire sul suo conto. Olfatto di grande dolcezza tra note di anguria e melograno il tutto avvolto da un alito quasi marino, la bocca al contrario è fitta, dal tannino denso e saporito che si scioglie però nel sorso per nulla difficile. La bottiglia finisce rapidamente ma la facilità di beva non tragga in inganno, non si tratta di un “nebbiolino”.

Un altro posto che ci sentiamo di consigliare è l’Osteria Casa Ciabotto, a Verduno. Menu semplice ma gustoso e ampia scelta di vini con particolare focus sui produttori di Verduno. Vi è anche la possibilità, a prezzi contenuti, di un’orizzontale di Verduno Doc (vitigno pelaverga), perché non di solo nebbiolo vivono le Langhe (vedi prossimo paragrafo).

Abbiamo bevuto un bicchiere di un Barolo fuori dai nomi più noti e che ci è parso molto centrato. Si tratta del Barolo Bricco San Biagio 2013 – San Biagio (Giovanni Roggero). Un Barolo di La Morra senza eccessi modernisti: naso di grande frutto (lampone e fragola), fiori rossi carnosi, mineralità scura, un tocco di spezie. La bocca è gustosa, se vogliamo un po’ rapida nello sviluppo, con tannini ben distesi e dalla chiusura tersa ed elegante.

Non solo Barolo e Barbaresco

Lo dicevamo poco fa, non di solo nebbiolo vivono le Langhe. Il vitigno pelaverga in particolare ci sembra che possa meritare grande attenzione. Nelle migliori versioni dà infatti vita a vini golosi e dall’intrigante dettaglio aromatico, digesti e di facile abbinamento a tavola.

Un esempio tra tutti è il Verduno Basadone 2019 di Castello di Verduno, già solo il colore rubino chiarissimo e lucente mette di buon umore, l’olfatto è tutto giocato su spezie (pepe, noce moscata), frutta e fiori rossi che si rincorrono, il sorso è agile e sapido, fresco ed elegante con una piacevole nota amaricante in chiusura ed una persistenza delicata e pulita.

Diego Mutarelli
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Questo vino non esiste (ancora)

A noi di Vinocondiviso, nomen omen, piace condividere bottiglie, degustazioni, libri sul mondo del vino, cene, racconti di viaggi enoici… insomma ci muove da sempre uno spirito compartecipativo.

Per questo vogliamo raccontarvi di “Questo vino non esiste”, un’iniziativa di crowdfunding così vicina, appunto, alla nostra idea di condivisione.

Questo vino non esiste

Proviamo a sintetizzarvelo: siamo in una piccola zona dell’Appennino, fra Piemonte e Liguria, la Val Borbera, più abitanti a quattro zampe che umani.
In questa valle spopolata, stretta su se stessa, la conservazione di specie vegetali quasi endemiche è un diritto che la Natura, talvolta, si riserva; fra queste anche una ventina di vitigni che i due vignaioli, Maurizio Carucci, azienda Barban e Andrea Tacchella di Nebraie, hanno fatto analizzare all’ampelografo Stefano Raimondi, preziosa risorsa per i Colli Tortonesi.

Tra i vitigni analizzati quello che più ha destato interesse è stato il muetto, un’uva rossa semiaromatica, abbastanza scarica di tannini e colore, da cui si potrebbe ottenere un vino leggero, fruttato, un vino da strabere.
Perché abbiamo scritto “si potrebbe ottenere?”. Perché, finché un’uva non è iscritta nel registro delle varietà viticole, non può essere utilizzata per produrre del vino.
Perché registrare e provare a vinificare proprio muetto? Perché è patrimonio di quella valle, è specchio e anima di quei sentieri della libertà così carichi di vita, storia, resistenza.

Ecco il link con i dettagli per partecipare e un video che racchiude questo sogno: Questo vino non esiste.

Alessandra Gianelli
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Le sfumature del nebbiolo a Fermento Milano

Domenica 11 ottobre 2020 si è tenuta – nell’ambito dell’evento Fermento Milano – un’interessante masterclass sul nebbiolo. Finalità della degustazione era quella di accompagnare i presenti alla scoperta delle sfumature che il nebbiolo assume nei suoi tradizionali terroir di riferimento.

Salone degli Affreschi – Chiostri di S. Barnaba

La cornice della masterclass, come si dice sempre in questi casi, era splendida. Ma stavolta è vero! La degustazione si è svolta nello stupefacente Salone degli Affreschi dei Chiostri di S. Barnaba.

Ecco i vini che abbiamo assaggiato con le nostre personalissime impressioni:

Spanna Runcà 2016 – Valle Roncati

Bellissimo colore granato chiaro, screziato da vivaci lampi rubino. Naso semplice ma ricamato: ribes, fragoline ed una nota ematica di contorno. Bocca magra dalla spiccata acidità, tannini fini ma ben presenti e calore alcolico che scappa un po’ via in chiusura. Migliora molto nel bicchiere.

Valle d’Aosta Nebbiolo Sommet 2017 – Les Crêtes

Rosso rubino chiaro, frutta dolce (confettura di lamponi) e fiori appassiti appena versato, poi si susseguono corteccia, pepe bianco, propoli, mineralità chiara. Sorso agile e goloso, di grande armonia nelle sue componenti con un’acidità perfettamente fusa nel corpo del vino. Chiusura di ottima persistenza su ritorni floreali e di sale.

Valtellina Superiore Sassella Le Tense 2017 – Nino Negri

Granato. Olfatto non immediato che sprigiona con l’ossigenazione ciliegia e liquirizia, oltre ad una nota che ricorda il caffè verde e la salvia. Bocca rapida nello sviluppo, ma tersa e caratterizzata da un tannino giovanile ed esuberante in chiusura.

Vino Rosso 1703 – Togni Rebaioli

Nebbiolo della Val Camonica che si presenta in veste rubino chiaro. Naso estremamente accattivante e mutevole: rose rosse fresche e arancia, anguria e lamponi, un tocco di pepe bianco… Sorso verticale e profondo, governato da un’acidità pronunciata. Saporito e, direi, dissetante. Profilo essenziale e magnetico.

Colli del Limbara Nebbiolo Kabaradis 2016 – Depperu

Nebbiolo che in Sardegna acquisisce un profilo tutto suo. Foglie e fiori appassiti, prugna, carne, macchia mediterranea e spezie caratterizzano l’olfatto del vino, che si offre intrigante ed estroverso. La bocca è di buon volume, il sorso riempie il cavo orale in larghezza con alcol sotto controllo, la progressione è però supportata da ottima acidità e tannini poderosi e saporiti. Lunga la chiusura, su ritorni di fiori appassiti e sapidità marina.

Barolo Castelletto 2015 – Manzone

Rosso rubino con riflessi granati. In partenza il naso è etereo e pungente, poi si dipana tra note di prugna e agrumi, spezie e sangue, fiori rossi ed un tocco balsamico. Bocca potente, ampia e materica, acidità e tannini alleggeriscono il sorso, donano profondità e souplesse. Chiude su ritorni di liquirizia. Da attendere con fiducia.